Diseguaglianze e partecipazione elettorale a Napoli (2001-2016)

di Pietro Sabatino, Ciro Clemente De Falco (ottobre 2017)

Di recente il voto nelle periferie delle grandi città italiane è tornato a suscitare interesse nel dibattito pubblico. In occasione delle elezioni comunali del 2016 [1] si è fatto esplicito riferimento a una contrapposizione centro-periferia, in particolare nei casi di Roma e Torino: una contrapposizione sia territoriale che socio-economica, con le aree centrali delle grandi città orientate verso i candidati dei partiti di governo e quelle periferiche che hanno premiato i candidati che si sono posti in aperta rottura con il sistema tradizionale dei partiti (nel caso di specie le due candidate del Movimento 5 Stelle).

Pochi mesi più tardi, le analisi dei risultati del referendum costituzionale, hanno ulteriormente alimentato il dibattito su questa linea di frattura. Una frattura sia a livello macro (Nord-Sud) che a livello micro, con il voto al No spinto dal malessere dell’elettorato dei quartieri periferici delle grandi città e il Sì che ha prevalso esclusivamente nei quartieri dove sono concentrati i ceti urbani medi e alti.

Sembra così essere tornata d’attualità una lettura dei risultati elettorali per aree centrali e marginali [2], legata cioè alla condizione socio-economica a livello “sub-comunale” (il quartiere, la circoscrizione), sia in elezioni di primo ordine (politiche) sia in quelle per la scelta degli amministratori locali, in particolare i sindaci. Tuttavia in un periodo storico in cui i tassi di astensione si sono attestati su livelli ben al di là di quelli fisiologici[3], diventa centrale porre la giusta attenzione anche sulla non-partecipazione al voto in un’ottica centro/periferia interna alle città.

Tanti i fenomeni che a livello locale, nella lunga fase della crisi economica italiana, possono avere influenzato una mobilitazione di elettorati differenti per istruzione, condizione economica e occupazionale: la crisi finanziaria di centinaia di comuni anche medi e grandi; la conseguente difficoltà a garantire livelli minimi di welfare e di servizi essenziali; il focus della comunicazione e delle campagne elettorali spostato sui nuovi media e sulle politiche simboliche; l’indebolimento delle strutture organizzative (sezioni, circoli, personale politico) delle organizzazioni politiche tradizionali a livello micro.

A Napoli l’analisi centro-periferia della partecipazione elettorale per la scelta del sindaco e del consiglio comunale può essere interessante per almeno altri due motivi:

– Da una parte una discontinuità nelle coalizioni al governo della città, con l’arrivo a Palazzo San Giacomo di Luigi de Magistris nel 2011 dopo la lunga fase di difficoltà[4] del centro-sinistra “tradizionale” della seconda giunta Iervolino;

– Dall’altra le caratteristiche peculiari delle elezioni locali nel Mezzogiorno, segnate da un ricorso massiccio al voto di preferenza ai candidati consiglieri[5], dalla presenza di estesi meccanismi di scambio e clientelari[6] attivati grazie all’azione di “politici rionali[7]” o di quartiere in grado di influenzare la destinazione di risorse pubbliche.

Quanto allora la riduzione dei trasferimenti ai comuni ha allontanato dal voto i segmenti più poveri e dipendenti da spesa e servizi pubblici locali? Come il passaggio dalle giunte di centro-sinistra a quelle “arancioni” ha (s)mobilitato elettorato nelle diverse aree della città? Quanto ha pesato questo contesto sulla capacità del ceto politico di costruire consenso su basi clientelari e di scambio?

Rispetto a tali domande l’obiettivo che ci si è posti in questo contributo è più circoscritto: verificare come la partecipazione al voto per le comunali a Napoli si sia modificata nel passaggio della crisi prima politica (del centro-sinistra) e poi economico-finanziaria; come questa variazione si sia distribuita tra unità sub-comunali (i quartieri) con differenti livelli di istruzione, condizione occupazionale e abitativa. In sintesi, verificare quanto votano centro e periferia (sociale) a Napoli, e in presenza di una differenza, descrivere le tendenze in atto.

Partecipazione elettorale in città. Uno sguardo di insieme

L’andamento della partecipazione alle comunali a Napoli, a partire dalla riforma che istituisce l’elezione diretta del sindaco, si rivela piuttosto stabile fino alle elezioni del 2006: l’affluenza al primo turno oscilla intorno ai due terzi degli aventi diritto. Nei turni di ballottaggio del 1993 (63,6%) e del 2001 (62,9%) il dato è simile a quello del primo turno: in entrambi i casi è presente un calo dell’affluenza, ma le dimensioni dell’elettorato tendono a permanere nella sostanza analoghe.

A partire dal 2011 questa dinamica muta radicalmente. L’affluenza comincia a calare in misura significativa. Il calo al primo turno rispetto al 2006 è di oltre sei punti percentuali, mentre per il ballottaggio il confronto con l’affluenza del 2001 è inequivocabile: nel giro di un decennio scelgono la strada del non voto oltre un decimo degli aventi diritto (-12,32). Le elezioni del 2016 danno ulteriore conferma alla tendenza avviata cinque anni prima: nel primo turno l’affluenza è del 54,12% – ancora sei punti percentuali di astensione aggiuntiva rispetto al 2011 – e al ballottaggio il calo è più simile a un tracollo: si presenta alle urne per la conferma di de Magistris poco più di un terzo degli aventi diritto (35,97%), quindici punti in meno rispetto al ballottaggio del 2011, ventisette punti (!) in meno se si guarda al turno di ballottaggio che porta Antonio Bassolino nel 1993 a Palazzo San Giacomo.

In sintesi tra la tornata del 2006 e quella del 2011 la tendenza dei quindici anni precedenti si interrompe e inizia una fase nuova, segnata da un allontanamento dalle urne per la scelta del sindaco e del consiglio comunale. Allontanamento che presenta dimensioni assolutamente inedite con i turni di ballottaggio del 2011 e ancora di più del 2016.

Se il calo dell’affluenza per l’elezione di sindaci e consigli comunali rappresenta una tendenza di lungo periodo comune a tutte le grandi aree urbane del paese[8], il dato napoletano si distingue per due elementi: da una parte Napoli fa da apripista. Nel 2011 è infatti la prima grande città in cui si avvia un processo del genere: le elezioni amministrative dello stesso anno a Milano e Torino, per esempio, non registrano alcuna riduzione della partecipazione al voto, al contrario nel capoluogo lombardo si verifica una mobilitazione dell’elettorato rispetto al 2006. Solo nel 2016, nelle due principali aree urbane del Nord Italia, la riduzione del ricorso alle urne si fa consistente. Diverso ancora il discorso per Roma, dove la vittoria di Virginia Raggi e del Movimento Cinque Stelle nel 2016 si svolge in un clima di partecipazione crescente rispetto alle comunali precedenti[9].

Il secondo elemento è dato dalla caduta dell’affluenza nei ballottaggi del 2011 e del 2016. Se il risultato relativo al primo turno, seppur in calo, si mantiene non molto distante da quello delle altre metropoli del paese, quando le opzioni si riducono alla sola scelta del sindaco, il numero dei votanti cala in misura così forte da rendere quello napoletano un caso sui generis. Dal punto di vista della partecipazione il primo e il secondo turno sembrano appartenere a due tipologie di elezioni differenti, in qualche modo sempre meno connesse.

C’è da dire che il ridursi della partecipazione elettorale in città al di sotto di determinate soglie non ha riguardato solo il secondo turno delle comunali. L’ultimo ciclo di elezioni[10] in città ha visto livelli tanto deboli, da risultare sorprendenti anche per un’area con una partecipazione alle urne storicamente inferiore alla media nazionale come quella napoletana. Prima di trarre indicazioni “definitive” su un cambiamento del comportamento elettorale in città, vanno comunque tenuti in considerazione gli aspetti di “breve periodo” legati alla singola competizione, all’offerta politica del momento[11]. Tuttavia le dimensioni, e la distribuzione tra quartieri come vedremo in seguito, dell’exit sembrano suggerire un’interpretazione che fa ricorso a fenomeni più profondi e di lungo periodo del rapporto tra città e partecipazione al voto.

Classificare i quartieri della città: la scelta di un Indice

Il territorio del comune di Napoli presenta al proprio interno un grado di diseguaglianza notevole rispetto ai principali indicatori socio-economici (occupazione, reddito, livelli d’istruzione, condizione abitativa) e difficilmente comparabile con quello di altre aree urbane in Italia e in Europa. Studi sulla povertà a livello cittadino[12] ne descrivono l’intensità facendo ricorso ai c.d. effetti di concentrazione[13] per spiegare la dimensione e raggruppamento della povertà e del disagio sociale in determinati quartieri.

Per costruire una geografia della diseguaglianza in città si è scelto di ri-utilizzare gli indicatori di Vantaggio-Svantaggio Sociale utilizzati in tali lavori, e di aggiornarli rispetto al censimento Istat 2011, la base dati più recente a livello sub-comunale. Sulla base dei punteggi ottenuti nell’Indice Sintetico[14] di Vantaggio-Svantaggio Sociale i ventinove quartieri della città di Napoli sono stati divisi in quattro gruppi[15]. Il risultato è quello di una città profondamente divisa per livelli di “vantaggio sociale” in tre grandi aree territoriali:

– Le periferie est (San Giovanni, Barra, Ponticelli) e nord (Scampia, Secondigliano, Miano, Piscinola, San Pietro a Patierno) caratterizzate da valori estremamente bassi su tutti gli indicatori selezionati. Interessante ai fini dell’analisi che si tratti di aree assai differenti per tradizioni politiche: i quartieri orientali luogo di radicamento storico prima del voto comunista, poi dei soggetti che ne hanno in qualche modo ereditato organizzazione e bacino elettorale; quelli della periferia nord con un orientamento politico meno nettamente connotato.

I quartieri collinari (Vomero, Arenella, Avvocata, Chiaia, Posillipo) e quelli dell’area occidentale della città a ridosso della zona flegrea (Fuorigrotta, Bagnoli) che al contrario rappresentano un’area piuttosto omogenea di “vantaggio sociale”, in cui cioè gli indicatori selezionati raggiungono i valori relativamente più alti.

I quartieri centrali della città che, al contrario, registrano una forte eterogeneità interna: nell’arco di pochi chilometri quadrati si alternano aree presenti nel secondo, terzo o quarto gruppo di vantaggio sociale. Un dato coerente con una rappresentazione consolidata del “ventre di Napoli” segnato dalla promiscuità tra strati sociali differenti.

 

L’inizio di una divergenza. Partecipazione elettorale e periferie

Sulla base della classificazione dei quartieri in base all’Indice Sintetico di Vantaggio Sociale si è proceduto così all’incrocio con le variabili relative al livello di partecipazione alle elezioni comunali nel periodo 2001-2016. Periodo che copre l’ultima parte del governo di centro-sinistra “tradizionale”, la sua crisi culminata con le elezioni di Luigi de Magistris e il suo doppio mandato.

Sebbene il calo dell’affluenza, come visto, sia rilevante in tutta la città, l’allontanamento dalle urne riguarda più direttamente i quartieri classificati a Basso Vantaggio Sociale (-17,81), con un’intensità del calo più sfumata quando si passa ai quartieri con condizioni relativamente più favorevoli (Medio-Basso -14,76; Medio-Alto -12,45; Alto -11,27).

Alcuni quartieri presentano variazioni dell’affluenza in parte fuori dalla nube dei punti (vedi fig.3): tra quelli classificati ad alto vantaggio, Posillipo registra un calo dell’affluenza più marcato e, al contrario nell’insieme di quelli a basso vantaggio, San Pietro a Patierno vede una tenuta della partecipazione più consistente. Resta il fatto che la correlazione tra peggiori condizioni socio-economiche e un maggior calo della partecipazione risulta netta (r = 0,61).

Un dato interessante è che la caduta dell’affluenza colpisce in misura simile quartieri “svantaggiati” storicamente conservatori (Secondigliano -18,4; Miano -18,8) e le vecchie zone “rosse” di insediamento operaio (San Giovanni -19,6; Ponticelli -16). Parallelamente la relativa tenuta accomuna quartieri “bene” generalmente orientati a sinistra (Vomero -10; Arenella -9,7) o a destra (Chiaia -11,4).

 

Va sottolineato che tale differenza nella partecipazione al voto nelle elezioni comunali, almeno al primo turno, è un fenomeno relativamente recente, e che si innesca tra la fine del ciclo politico del centro-sinistra tradizionale e l’avvio dell’esperienza di Luigi de Magistris alla guida della città. Ancora nel 2001 la differenza tra i due gruppi estremi, cioè quartieri a Basso Vantaggio (69,19%) e Alto Vantaggio (69,37%) è trascurabile. Con la tornata elettorale del 2006 ha inizio un processo di divergenza nell’affluenza che prosegue e si amplia nelle due elezioni successive. Nel 2016 la differenza tra i due gruppi di quartieri è di oltre sei punti, con un andamento sempre crescente in tutte le tornate considerate.

La tendenza al calo si conferma ed è assai più accentuata per il secondo turno delle elezioni comunali[17]. In questo caso però uno scarto tra quartieri a basso e alto vantaggio sociale è già presente nelle elezioni del 2001 (6,46% la differenza di affluenza), ma questo cresce sensibilmente nelle due tornate successive dove è necessario ricorrere al turno di ballottaggio (2011: 16,89%; 2016: 14,85%).

Ancora all’inizio degli anni Duemila la partecipazione elettorale in città risulta indifferente alla condizione socio-economica dei quartieri: le differenze tra territori sono in generale più sfumate, e a spingere verso l’alto o il basso l’affluenza paiono essere altri fattori, contingenti (la presenza di collettori di voto) o strutturali (la tradizione politica pre-esistente). Un quindicennio più tardi, dopo una lunga crisi economica e un cambio alla guida dell’amministrazione comunale, la distanza nella partecipazione al voto tra aree di maggiore/minore benessere è netta, indiscutibile, e – forse l’aspetto più preoccupante – non accenna a ridursi.

L’impressione è che nel passaggio della crisi, dietro un’apatia crescente rispetto al voto, in questo caso locale, abbia agito una rete: a maglie strette per i segmenti più deboli, marginali, lontani dal “centro” della città, e più larghe per gli integrati dei quartieri del benessere e del ceto medio. La diseguaglianza, stratificata in città in altre dimensioni (culturale, occupazionale, economica), è ora entrata di forza anche nella sfera elettorale, laddove prima non riusciva a esercitare il suo peso.

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[1] Istituto Cattaneo, Periferie, abbiamo un problema. Il rapporto tra nuove marginalità sociali e voto ai partiti, 2016. Tratto da www.cattaneo.org/wp-content/uploads/2016/06/Analisi-Istituto-Cattaneo-Comunali-2016-Partiti-politici-e-periferie-29.06.16.pdf.

[2] Cox K., “Voting in the London suburbs: a factor analysis and a causal model”, in Dogan M., Rokkan S., Quantitative ecological analysis in the social sciences, Cambridge MA, The MIT Press, 1969, pp. 343-370.

[3] Lo studio dell’astensionismo in Italia è stato influenzato per lungo tempo dal fatto che i livelli di partecipazione al voto – per tutte le tornate – fossero assai elevati. I primi segnali di una “stanchezza” dell’elettorato, e quindi un’attenzione maggiore degli studiosi rispetto a tale fenomeno, iniziano a manifestarsi alla fine degli anni Settanta e, in misura più intensa con l’avvio della c.d. “seconda repubblica”.

[4] Brancaccio L., Martone V., “Nuove strategie di consenso a Napoli. Il ceto politico nel decentramento comunale”. Meridiana (70), 2012, p. 17.

[5] De Luca R., “Il ritorno dei ‘campioni delle preferenze’ nelle elezioni regionali”. Polis (2), 2001, pp. 227-248.

[6] Avolio A., “Clientelismo e nuove leadership nei partiti reticolari: il caso di Napoli”, XXIX Convegno SISP, Università della Calabria, Arcavacata di Rende (Cosenza), 2015.

[7] Brancaccio L., “Dall’Assistenza Fiscale al Consenso Elettorale”. Il Mulino (2), 2012.

[8] Nel 2016 le elezioni per le comunali a Milano e Torino hanno registrato cali dell’affluenza comparabili a quelli napoletani, rispettivamente -13 p. p. e -6 p. p. per quanto riguarda il primo turno.

[9] In questo caso nel 2016 c’è stata una mobilitazione dell’elettorato rispetto a quanto verificatosi nel 2013 (elezione di Ignazio Marino) con un aumento dell’affluenza di circa 5 p. p. sia per il primo che il secondo turno.

[10] Nel comune di Napoli alle elezioni europee nel 2014 l’affluenza è stata del 42,84%, inferiore di quasi dieci punti percentuali rispetto alle Europee del 2009 (52,17%) e di oltre quindici punti rispetto alla media nazionale della stessa elezione (58,69%). Discorso analogo va fatto sia per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 (53,87%, oltre 16 punti percentuali in meno rispetto alla media del paese), sia per le elezioni regionali del 2015.

[11] Sono fattori che sono indiscutibilmente entrati in gioco, e che hanno avuto un peso: basti pensare all’aspettativa diffusa rispetto alla rielezione di Luigi de Magistris nel 2016 che può avere in qualche modo scoraggiato un segmento degli elettori a recarsi alle urne.

[12] Morlicchio E., Pratschke J., “La dimensione territoriale della povertà a Napoli”, in Amaturo E., Profili di povertà e politiche sociali a Napoli (p. 1-30), Liguori, Napoli, 2004.

[13] “Gli effetti di concentrazione si manifestano quando il rischio di povertà si distribuisce in modo diseguale nella popolazione e i gruppi maggiormente colpiti tendono a concentrarsi in aree territoriali chiaramente individuabili. Tali effetti comprendono l’isolamento e la disgregazione sociale nonché il diffondersi di un’immagine stigmatizzante dei quartieri svantaggiati, che funziona come credenziale negativa per gli abitanti”: Morlicchio, Pratschke, 2004, p. 6, cit.

[14] L’indice è di tipo fattoriale (Di Franco G., L’analisi multivariata nelle scienze sociali, Carocci, Roma, 2003). L’analisi ha preso in considerazione i seguenti indicatori: tasso di occupazione, percentuale di residenti con un’istruzione superiore (laureati e diplomati), percentuale di residenti in abitazioni di proprietà, percentuale di studenti sul totale della popolazione residente. I valori assunti dai quartieri sull’indice sono stati inoltre riscalati da 0 a 100.

[15] I Gruppo (punteggi sull’Indice Fattoriale da 0 a 25): Quartieri a Basso Vantaggio Sociale (Scampia, Miano, San Pietro a Patierno, Piscinola, Ponticelli, Secondigliano, San Giovanni a Teduccio, Barra).

II Gruppo (punteggi sull’Indice Fattoriale da 25 a 50): Quartieri a Medio-Basso Vantaggio Sociale (Pendino, Poggioreale, Mercato, San Lorenzo, Stella, Pianura, Montecalvario, Zona Industriale, Soccavo, Chiaiano, Vicaria).

III Gruppo (punteggi sull’Indice Fattoriale da 50 a 75): Quartieri a Medio-Alto Vantaggio Sociale (Bagnoli, San Ferdinando, San Carlo all’Arena, Avvocata, Porto, Fuorigrotta).

IV Gruppo (punteggi sull’Indice Fattoriale da 75 a 100): Quartieri ad Alto Vantaggio Sociale (San Giuseppe, Chiaia, Arenella, Posillipo, Vomero).

[16] I gruppo: Basso Vantaggio Sociale, Punteggi 0-25, colore giallo. II gruppo: Medio-Basso Vantaggio Sociale, Punteggi 25-50, colore arancio chiaro. III gruppo: Medio-Alto Vantaggio Sociale, Punteggi 50-75, colore arancio scuro. IV gruppo: Alto Vantaggio Sociale, Punteggi 75-100, colore rosso.

[17] A Napoli il ballottaggio si è verificato nel 2001, 2011 e 2016 – le elezioni comunali del 2006 hanno visto l’affermazione del candidato di Centro-Sinistra Rosa Russo Jervolino al primo turno con il 57,0% dei voti validi.