La salute dei napoletani

di Pio Russo Kraus

Per cercare di descrivere qual è lo stato di salute dei napoletani faremo riferimento a indicatori di “mancanza di salute” (mortalità, morbilità, ecc.) e ad altri indicatori (la speranza di vita, la salute percepita, la diffusione dei fattori di rischio, ecc.) secondo quanto consigliato dalla letteratura[1] e nella convinzione che solo da una pluralità di indicatori può venire un quadro più aderente alla realtà.

Nel leggere i dati è importante conoscere il significato dei termini, quali fattori influenzano l’indicatore in questione e, quindi, cosa esso ci può indicare e cosa non riesce a indicare. Abbiamo notato, soprattutto nella vicenda della cosiddetta Terra dei fuochi e nel dibattito che ne è generato, un uso scorretto di termini epidemiologici e un’errata interpretazione dei dati per mancanza di un minimo di conoscenze in materia. Per questo, prima di illustrare i dati dei vari indicatori, daremo una breve spiegazione dell’indicatore in questione.

Aspettativa di vita (speranza di vita)

È il numero medio di anni che restano da vivere a una persona, in un determinato anno e territorio, in base ai tassi di mortalità specifici per i vari anni registrati nel territorio e nell’anno considerati. Si usa soprattutto la speranza di vita alla nascita. È uno dei più importanti indicatori dello stato di salute di una popolazione, dal momento che a determinarne il valore concorrono i diversi fattori sociali, ambientali e sanitari che definiscono la salute di una popolazione.

I napoletani hanno un’aspettativa di vita alla nascita di 77,9 anni per i maschi e di 82,7 per le femmine (cfr. Tabella 1), valori di quasi 2 anni e mezzo inferiori rispetto alla media degli italiani (80,3 anni per i maschi e 85 per le femmine), che però sono ai primi posti a livello europeo e mondiale (la media dell’Unione europea è 77,5 per i maschi e 83,1 per le donne).

L’aspettativa di vita in buona salute in Campania è di 65,5 anni per i maschi e di 54,9 per le donne, sensibilmente più bassa che al nord e centro Italia (4,8 anni in meno per i maschi campani rispetto a quelli del nord Italia) e analoga al resto del sud Italia.

Mortalità

È la frequenza dell’evento morte in una popolazione. Viene espresso solitamente come tasso (n./abitante/intervallo di tempo). Il tasso di mortalità dipende dalla probabilità di ciascun individuo di morire, ma questa dipende a sua volta dall’età, dal sesso e da altri fattori.

Quando si fanno paragoni tra diverse popolazioni, queste potrebbero avere una diversa strutturazione per età o per sesso ed è quindi necessario neutralizzare questa differenza con un procedimento matematico detto standardizzazione. Un esempio può chiarire. Il tasso di mortalità in Italia è 993/100.000 ab/anno, in Algeria è 472/100.000 ab/anno. Sembrerebbe che noi italiani siamo messi molto peggio degli algerini, ma la struttura della popolazione italiana è molto differente da quella dell’Algeria: da noi vi sono molti vecchi e pochi bambini (età mediana 44 anni), in Algeria molti bambini e pochissimi vecchi (età mediana 28). Se si standardizzano i dati per età (come se ambedue le nazioni avessero la stessa stratificazione per età della popolazione mondiale) avremo per l’Italia un tasso di mortalità standardizzato di 339/100.000 ab/anno e per l’Algeria di 862/100.000 ab/anno[2].

La mortalità è influenzata dall’incidenza (il numero di nuovi casi di malattia) e dalla sopravvivenza, che dipende dalla letalità intrinseca di quella malattia e dall’efficacia del sistema di cure. I dati di mortalità sono tratti dalle schede di morte su cui il medico riporta – oltre a età, sesso, residenza, occupazione, titolo di studio – la causa iniziale e le cause intermedie e finali della morte (secondo una classificazione internazionale delle varie patologie). I dati di mortalità per causa fanno riferimento alla causa iniziale e non certo a quella finale, come purtroppo talvolta si legge sulla stampa o su internet. Tali dati sono registrati sull’intero territorio nazionale per tutte le persone decedute.

A Napoli, rispetto all’Italia, si muore di più, si muore di più di malattie cardiovascolari (in particolare malattie ischemiche del cuore e del cervello), di tumori (in particolare quello polmonare) e di malattie respiratorie (cfr. Tabelle 2 e 3).

Se si analizza la situazione nelle varie zone della città si nota che, sotto i 75 anni:

  • si muore di più nei distretti 30 (Miano, Secondigliano, San Pietro a Patierno), 31 (Mercato, Pendino, Porto, Avvocata), 32 (Barra, Ponticelli);
  • la mortalità per tumore è più frequente, oltre che nei distretti 30 e 32, anche nei distretti 26 (Soccavo e Pianura) e 28 (Piscinola, Chiaiano, Scampia);
  • la mortalità per malattie vascolari è più frequente nei distretti 31 e 28;
  • nei distretti 24 (Chiaia, Posillipo), 25 (Fuorigrotta, Bagnoli) e 27 (Vomero, Arenella) si muore di meno per tutte le cause: per tumori, per malattie cardiovascolari e per quelle respiratorie.

Prevalenza

È il numero di soggetti che soffrono di una determinata malattia in una popolazione. È influenzata dall’incidenza (il numero di nuovi casi di malattia) e dalla sopravvivenza; quindi aumenta sia se ci si ammala di più sia se vi sono cure che evitano la morte per quella patologia.

Per misurare la prevalenza è necessario avere un registro di patologia (per esempio, registro tumori), che riporti tutti i casi di una determinata patologia che avvengono nella popolazione residente su un determinato territorio (dovunque diagnosticati), nonché tipologia e stadio della malattia, evoluzione (guarigione, morte) e altri dati (età, sesso, indirizzo ecc.).

Sono indicatori di prevalenza, ma con un discreto margine di errore, il numero di persone che si ricoverano per una data patologia, il numero di soggetti che hanno esenzione dal ticket per patologia, il numero di soggetti che dichiarano di avere una determinata patologia, ecc.

Il registro tumori di Napoli città è stato istituito solo sul finire del 2012, per questo faremo riferimento al registro tumori dell’Asl Napoli 3 Sud, attivo da molti anni (dal 1996 come ex Asl Napoli 4) e accreditato a livello internazionale. L’ex Asl Napoli 4 comprende 35 comuni (540 mila abitanti) situati a nord e a est del Vesuvio (Nola, Acerra, Pomigliano, San Giuseppe Vesuviano, ecc.).

Nell’ex Asl Napoli 4 vi sono 2.720 persone affette da tumore ogni 100.000 abitanti, meno della media italiana. I tumori più diffusi sono quelli della mammella, del colon-retto, della cervice uterina e del polmone (con prevalenza sempre nettamente inferiore all’Italia). La prevalenza del tumore del fegato è, invece, significativamente più alta rispetto ad altre aree del nostro paese (cfr. Tabella 4).

Un ruolo importante nella più bassa prevalenza dei tumori nell’area napoletana è dato dalla diversa strutturazione per età della popolazione (da noi vi sono più giovani che al nord e centro). Se si standardizzano i dati per annullare l’effetto età il vantaggio dei napoletani si riduce di oltre un terzo. Altro elemento in questione è la più bassa partecipazione agli screening. Mentre in Italia il 70% delle donne ha praticato lo screening mammografico (in Lombardia l’85%), il 77% quello della cervice uterina (in Emilia l’88%) e il 38% quello del cancro del colon (in Emilia il 77%), in Campania sono rispettivamente solo il 44%, il 61% e il 16%[3]. La bassa partecipazione agli screening determina un minore numero di casi diagnosticati e una sopravvivenza più breve.

La prevalenza di asmatici e broncopatici cronici nel sud Italia è intorno al 9%, di ipertesi intorno al 29% (più alte che al nord e al centro), di depressi intorno al 12% (poco meno rispetto al dato nazionale), di dislipidemici intorno al 16%.

Più alto rispetto alla media italiana è il consumo di farmaci per abitante delle seguenti categorie: antidiabetici (Campania 71 dose definita giornaliera/1000ab, Italia 62), ipolipemizzanti (Campania 88, Italia 79), antibiotici (Campania 33, Italia 23), antiasmatici (Campania 53, Italia 40), antiipertensivi (Campania 387, Italia 372). Il consumo di farmaci oncologici è pressoché identico in Campania e in Italia, mentre è minore quello di antidepressivi (Campania 30,5, Italia 39).

Il 16,6% dei cittadini campani riferisce di soffrire di artrosi/artrite, il 3,6% di malattie di cuore, il 4,9 di disturbi nervosi, percentuali non dissimili da quelle riferite dal totale degli italiani. Più alta è la percentuale di intervistati che dichiara di soffrire di bronchite cronica (7,2% contro il 6,1% degli italiani), mentre lievemente più basso è il numero di persone che dichiara di soffrire di malattie allergiche.

Incidenza

È il numero di nuovi casi di una malattia che avviene in una popolazione in un determinato tempo. L’incidenza è influenzata dall’età della popolazione, dai fattori causali (inquinamento, stile di vita, condizioni economiche, ecc.) e dal sistema di diagnosi: può aumentare se migliorano le capacità diagnostiche (per esempio, se inizia un programma di screening si avrà un aumento dell’incidenza, perché saranno diagnosticati molti casi che senza lo screening non sarebbero stati diagnosticati). Vale per l’incidenza quanto detto per la prevalenza sui registri di patologia e sugli altri indicatori approssimativi.

Nel territorio dell’ex Asl Napoli 4 ogni anno in media sono diagnosticati nei maschi 1.285 nuovi casi di tumore ogni 100.000 abitanti e 971 nelle femmine. Standardizzando i dati per età, per poterli confrontare con quelli di altre zone, l’incidenza diventa di 496/100.000 ab/anno per i maschi e di 315/100.000 ab/anno per le femmine: valori più bassi di quelli del nord ovest (maschi 516, femmine 349) e del nord est (maschi 512, femmine 397); nel centro Italia l’incidenza dei tumori nei maschi è più bassa che nel napoletano (439), mentre nelle femmine è maggiore (329). Per quanto riguarda l’incidenza dei singoli tumori nel territorio dell’ex Asl Napoli 4, abbiamo un’incidenza più bassa rispetto ai dati nazionali per i tumori dell’esofago, del colon-retto, del rene, della vescica, della prostata, del melanoma. L’incidenza invece è maggiore per i tumori del polmone, laringe e fegato[4]. Rispetto al passato sono in aumento i tumori del polmone, vescica, fegato, laringe; gli altri sono stazionari o in diminuzione.

Salute percepita e salute “globale”

Dai dati dell’indagine Istat “Aspetti della vita quotidiana 2013” risulta che il 73,8% dei campani dichiara di godere di buona salute, 2,7 punti percentuali in più rispetto alla media italiana. A un’analoga domanda dell’indagine PASSI (compiuta dalle Asl) il 66,3% dei campani dichiara di stare in buona salute (5,7 punti percentuali meno della media italiana). Dichiara di godere buona salute l’88% dei laureati, il 39% delle persone che non hanno conseguito la licenza media inferiore; il 47% di chi dichiara di avere difficoltà economiche, il 73% di chi dichiara di non averne.

Il 19% dei campani dichiara di avere avuto nell’ultimo mese tra 1 e 13 giorni di problemi di salute tali da limitare le attività abituali, il 3% ha avuto 14 o più giorni di ridotta attività. Tra le persone senza licenza media il valore è il triplo rispetto ai laureati, si ha un rapporto analogo tra le persone con difficoltà economiche e quelle senza problemi economici.

L’indice di stato fisico dei campani non si discosta molto da quello degli italiani, mentre l’indice di stato psichico è lievemente più basso.

Stili di vita

La maggioranza dei cittadini campani e napoletani ha stili di vita poco salutari: il 32,5% è fumatore (Italia 28,6%), il 93,5% non mangia 5 porzioni di verdura/frutta al giorno (Italia 89,9%), il 23% non usa sempre la cintura di sicurezza anteriore (Italia 15,8%), l’11% non usa sempre il casco (Italia 5,2%), il 40% è sedentario (Italia 30,3%). Le persone obese sono il 12,4% (Italia 10,5% ), quelle in sovrappeso il 35,9% (Italia 31,6%). L’unica nota positiva è il basso numero di bevitori a rischio e di forti bevitori (10,3% e 1,8%, contro il 16,7% e l’8,7% dell’Italia). Anche gli adolescenti e i bambini campani e napoletani sono ai primi posti in Italia per comportamenti poco salutari. Stili di vita poco salutari sono diffusi soprattutto tra persone di bassa istruzione o con difficoltà economiche.

Conclusioni

Un giudizio è possibile solo sulla base di un termine di confronto. Rispetto ai cittadini del Ciad, che oggi hanno una speranza di vita di 49 anni o di altri abitanti del cosiddetto terzo mondo, oppure ai campani del 1871, che avevano un’aspettativa di vita di 31 anni, i napoletani odierni hanno condizioni di salute splendide. Se si paragonano con i cittadini europei le differenze sono minime. Rispetto agli italiani del nord e del centro le condizioni di salute dei napoletani sono invece sicuramente peggiori: i napoletani vivono circa 2 anni e mezzo di meno, perdono la buona salute circa 5 anni prima, soffrono maggiormente di diabete, malattie respiratorie, ipertensione.

Questo divario tra i napoletani (e in genere i cittadini del sud Italia) e gli abitanti del centro e del nord del paese è di antica data, riscontrandosi già alla nascita dello stato unitario. Questo scarto è andato però riducendosi nel corso degli anni e si è quasi annullato negli anni Settanta del secolo scorso, per poi divaricarsi nuovamente. Questo andamento (ci riferiamo in particolare alla speranza di vita alla nascita, che è un indicatore globale di salute) segue abbastanza l’andamento delle condizioni economiche (soprattutto dal 1900 a oggi) e, dal 1900 al 1970, anche quello dell’istruzione. I cittadini napoletani (e in generale del sud Italia) negli anni Settanta avevano livelli di istruzione e di reddito più bassi del nord Italia (ma con uno scarto inferiore rispetto al periodo del fascismo e del dopoguerra), però avevano anche stili di vita migliori (meno fumatori, meno bevitori, stile alimentare più mediterraneo) e un ambiente meno inquinato (meno auto, meno fabbriche, ecc.). Negli anni successivi il meridione ha perso questi vantaggi (gli stili di vita sono peggiorati, raggiungendo primati negativi, l’inquinamento è aumentato) e il divario economico con il settentrione è andato nuovamente divaricandosi. Ciò spiega anche l’andamento dei tumori: la minore incidenza al sud e nell’area napoletana si mantiene ancora, ma il vantaggio con il nord si attenua sempre più, perché al nord i tassi sono in discesa, mentre al sud, nelle donne, continuano a salire.

Considerare i napoletani come una popolazione omogenea è un grave errore: se osserviamo i tassi di mortalità nei vari distretti sanitari di Napoli, balza agli occhi che nei quartieri ricchi si muore di meno e in quelli poveri molto di più. Anche i dati PASSI evidenziano che la cattiva salute, la depressione, l’obesità, il sovrappeso, la sedentarietà, il fumo di sigaretta sono nettamente più frequenti in chi ha bassa istruzione o cattive condizioni economiche. Probabilmente la differenza nelle condizioni di salute tra nord e sud è data soprattutto dalla diversa composizione sociale: da noi i poveri (poveri assoluti), le persone di basso reddito (poveri relativi), le persone senza licenza media inferiore, superiore e laurea sono molte di più che al nord[5]. E chi ha bassa istruzione o basso reddito fa lavori più rischiosi o usuranti, ha stili di vita meno corretti, vive in zone più inquinate e con minori servizi, sa gestire meno bene la propria salute, mediamente attende di più per praticare esami diagnostici o interventi chirurgici (non avendo le possibilità per usufruire di prestazioni intra moenia o private).

Per migliorare la salute dei napoletani è necessario quindi innanzitutto un sistema di azioni di contrasto alle disuguaglianze, per migliorare la situazione economica di chi è povero o di basso reddito e il livello di istruzione degli strati sociali meno acculturati. Contemporaneamente bisogna aggredire i determinanti delle principali patologie (le malattie cardiovascolari, i tumori e le malattie respiratorie): la scorretta alimentazione e l’inattività fisica (che è questione sociale e politica più che di buona volontà del singolo, visto l’enorme peso delle multinazionali alimentari e il predominio di auto e moto, che ha stravolto la città e il vivere urbano), il fumo di sigaretta (anche qui con un importante ruolo di potenti multinazionali), l’inquinamento atmosferico (che ha nei trasporti la principale fonte). È necessario inoltre salvaguardare il sistema sanitario pubblico e universalistico e renderlo più attento, più sollecito, più accessibile a chi ha più bisogno: i poveri e i meno istruiti.

[1] www.istat.it/it/files/2015/11/Rapporto_salute_26_11_2013_01.pdf.

[2] I dati si riferiscono al 2012: http://apps.who.int/gho/data/node.main.18?lang=en.

[3] Osservatorio nazionale screening, 11° rapporto, in E&P, n. 3, 2015:

www.gisma.it/documenti/pubblicazioni/ONS_2015_full.pdf.

[4] http://itacan.ispo.toscana.it/italian/itacan.htm.

[5] Citiamo un solo dato per dare un’idea del divario: al nord solo il 4,9% delle famiglie è in povertà relativa, in Campania il 19,4 (Istat, 2015).