L’aeroporto che cresce, in attesa del trasferimento

di Giuseppe Panico

Il primo volo partito dalla spianata di Capodichino, all’epoca ancora chiamata Campo di Marte, risale al 16 febbraio 1812, quando la francese Marie Sophie Blanchard, prima donna pilota professionista, si levò in aria a bordo del suo pallone aerostatico davanti a una folla di decine di migliaia di persone. E probabilmente proprio per ricordare questo avvenimento una delle strade limitrofe all’aeroporto fu chiamata via della Mongolfiera.

Dal volo della Blanchard, la vocazione aviatoria non ha mai abbandonato Capodichino. Oggi, assorbita interamente dal tessuto urbano, questa zona – il cui nome risulta composto dalle parole capo e clivo a indicare la sua posizione sulla sommità di una piccola altura –, da campo coltivato divenne, in epoca napoleonica sotto il comando di Gioacchino Murat, il Campo di Marte della città destinato a esercitazioni militari, alle quali assistevano spesso migliaia di persone, maneggio e ippodromo. Da quel febbraio 1812 si intensificarono i voli e le sperimentazioni dei primi rudimentali aeroplani fino all’inizio del ventesimo secolo quando, allo scoppiare della prima guerra mondiale, creata la pista di atterraggio, divenne stabilmente una base aeroportuale militare con il nome di Aeroporto del Campo di Marte; poi, dal 1921, Aeroporto Ugo Niutta, nome fino a oggi conservato, in memoria dell’aviatore napoletano caduto nel 1916 nel corso della Grande Guerra.

Se nei primi 150 anni della sua storia la spianata di Capodichino era rimasta fuori dal tessuto costruito, risultando del tutto idonea a quelle prime pioneristiche attività di volo, dalla seconda metà del secolo scorso ne è stata completamente inglobata, tanto che oggi è ormai tecnicamente inadeguata; basti pensare che i velivoli percorrono i sentieri di atterraggio e decollo sorvolando a bassa quota le aree densamente abitate del quadrante nord-orientale della città, passano pochi metri sopra la reggia di Capodimonte e devono rispondere a rigidi protocolli contro l’inquinamento acustico.

Proprio questa nuova condizione ha indotto le amministrazioni cittadine che hanno redatto gli ultimi due piani regolatori, del 1972 e del 2004, a prevedere per l’area dell’aeroporto una nuova destinazione, subordinata al suo trasferimento. Nel Prg del ’72 la zona di Capodichino era identificata come “zona I: verde pubblico – sottozona I/3” con la previsione della creazione di impianti sportivi pubblici una volta avvenuta la chiusura dell’aerostazione; nel Prg del 2004 la zona è la “F – Parco territoriale e altre attrezzature e impianti a scala urbana e territoriale” che “individua le parti del territorio destinate alla formazione di parco territoriale”. Il Prg del 2004 però, pur menzionando l’attesa dell’approvazione del Piano strategico aeroportuale (Psa) per il dislocamento di Capodichino, enuncia nell’articolo 52 (sottozona Fg – aeroporto esistente) la possibilità di realizzare “interventi atti a migliorare (…) le condizioni di sicurezza e a ridurre l’impatto ambientale” nonché “le attrezzature tecniche e funzionali a servizio degli impianti aeroportuali”, riconoscendo di fatto la possibilità che l’aeroporto continui a operare per diversi anni ancora, come in realtà sta avvenendo, pur non confermandone la destinazione.

L’aeroporto di Napoli, nel documento sullo Stato del sistema aeroportuale italiano, scenari e strategie di sviluppo, curato dall’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile), riveste il ruolo di “aeroporto strategico” all’interno della rete nazionale, per le caratteristiche attuali e le prospettive di trasferimento, a medio termine, nella futura infrastruttura di Grazzanise. L’Enac, la Gesac (Gestione servizi aeroporti campani) e gli enti locali interessati, infatti, hanno da tempo individuato come sede per il nuovo aeroporto un’area compresa nel comune di Grazzanise, nella piana di Caserta, a nord di Napoli, dove già da diversi anni opera una base dell’Aeronautica e, più recentemente, vi si è trasferita la base Nato, prima dislocata ad Agnano.

Lo spostamento a Grazzanise dell’aeroporto necessiterebbe però di una serie di infrastrutture che attualmente non sono presenti. Dando per scontate quelle necessarie alla logistica di uno scalo internazionale (parcheggi, terminal, aree di atterraggio e manovra a terra dei grandi velivoli intercontinentali), le infrastrutture stradali dovrebbero prevedere innanzitutto un asse diretto con l’autostrada A1 dall’uscita di Santa Maria Capua Vetere che prolunghi la variante esterna di Caserta, che oggi termina proprio allo stesso casello autostradale; e poi un potenziamento delle tratte con la città e i caselli autostradali di Napoli; quelle su ferro, altrettanto importanti in prospettiva, dovrebbero consentire di inserire l’aeroporto anche nel sistema ferroviario mediante un nuovo raccordo con la vecchia linea Napoli-Formia-Roma, per rendere agevoli gli spostamenti da e verso Roma anche con i treni, e il collegamento con la rete metropolitana regionale per favorire l’accessibilità su ferro dalle altre provincie campane. Si tratta di infrastrutture fondamentali che dovrebbero supportare uno scalo aereo che potrebbe cambiare la geografia dei trasporti nell’alta Campania e nel basso Lazio.

Tutto questo però è al di là dal venire. Oggi la società Gesac Spa gestisce l’aeroporto in regime di concessione totale quarantennale a decorrere dal 12 febbraio 2003, in virtù della convenzione n. 50 del 9 dicembre 2002. Mentre le previsioni sulla delocalizzazione venivano formulate e ancora dopo l’approvazione del Prg e fino a oggi, la società di gestione dell’aeroporto di Capodichino è passata agli inglesi della BAA (British Airport Authority), poi agli spagnoli Ferrovial, per tornare italiana nel 2010 quando il fondo F2i ne ha acquistato il 65%. Tutte queste proprietà hanno sempre previsto cospicui investimenti nelle strutture dello scalo. L’ultimo accordo tra l’Enac e la Gesac prevede per il quadriennio 2016-2019, investimenti complessivi per 44,28 milioni di euro. Le stesse previsioni di traffico prevedono una crescita costante del numero di viaggiatori fino al 2025, e per il 2020 una capacità di movimento di 35 aeromobili all’ora.

Del resto, anche se la forte antropizzazione delle zone circostanti, la prossimità a due aree a rischio idrogeologico moderato, le specifiche restrizioni per l’inquinamento acustico, la morfologia del territorio, ne rendono praticamente impossibile un ulteriore sviluppo, e le previsioni dell’Enac ne stimano a breve termine la saturazione, il sistema aeroportuale di Capodichino risulta pienamente integrato nel sistema cittadino e regionale sia per la vicinanza ai grandi assi di collegamento stradale come l’autostrada A1, le varianti di collegamento interprovinciali e la Tangenziale di Napoli, sia per la prossima apertura della fermata della linea 1 della metropolitana di Napoli, prevista per la fine del 2018, che consentirà in pochi minuti spostamenti sia con la stazione ferroviaria di piazza Garibaldi, e quindi con i treni dell’Alta Velocità, che con il porto turistico di cui è stata aperta la fermata pochi mesi fa. La stessa vicinanza, appena 6 km, al centro cittadino, rappresenta per questo scalo un vantaggio, una “comodità” difficilmente replicabile, ma al tempo stesso un impedimento al suo ulteriore, possibile, sviluppo.

Nel 2015 l’aeroporto di Capodichino ha superato i 6 milioni di passeggeri, con un aumento del 3,4% rispetto al 2014 e risultando l’ottavo aeroporto nazionale per numero di passeggeri (il secondo del meridione dopo Catania). Oggi da Napoli è possibile raggiungere 64 destinazioni dirette: 11 nazionali e 53 internazionali, che sono quelle con il maggior incremento percentuale. Le principali destinazioni nazionali sono Milano Linate e Milano Malpensa; le principali internazionali sono, in ordine di passeggeri, Londra, Monaco e Parigi.

Nel gennaio 2016 il comune di Napoli, su richiesta rivolta dall’Enac a tutti i comuni interessati da attività aeroportuali e in osservanza del codice della navigazione, ha presentato il piano di rischio aeroportuale (Pra), il cui ambito di applicazione coincide con i percorsi di decollo e atterraggio dei velivoli. Il Pra prevede, tra l’altro, limitazioni alle proprietà private ubicate nelle aree limitrofe degli scali aeroportuali aperti al traffico civile e alle attività che non devono essere causa di rischio sia verso i voli degli aeromobili sia nei riguardi delle funzioni a terra dell’aeroporto.

L’aeroporto di Napoli vive quindi in una situazione bivalente: da un lato la prevista saturazione e l’ipotesi dello smantellamento/spostamento ne rendono incerto il futuro o, comunque, non consentono una programmazione, che per ora non supera il 2025, dall’altro la crescita del movimento passeggeri (+3,4 nel 2015 rispetto al 2014 e +55% rispetto al 2000), prevista in costante aumento fino al 2025 (quando potrebbe sfiorare i 10 milioni di passeggeri), il potenziamento dei collegamenti su ferro con la nuova della fermata della metropolitana, l’apertura di nuove rotte, impongono comunque investimenti per rispondere alle esigenze crescenti di traffico e standard, qualitativi e di sicurezza.

Insomma, nell’attesa di una chiusura prevista ma non fissata, l’aeroporto di Capodichino continua a essere un’attrezzatura ormai tecnicamente e logisticamente inadeguata, però fondamentale nel sistema infrastrutturale nazionale, nei limiti impostogli dal contesto che la circonda, pienamente efficiente e rispondente alle crescenti esigenze del traffico aereo.