Presente e futuro dell’area orientale

di Marzia Quitadamo

La zona orientale di Napoli presenta alcune caratteristiche di immediata evidenza: l’unità morfologica pianeggiante, la localizzazione delle antiche porte della città, da cui si dipartono le strade che conducono verso la zona vesuviana e l’area nord; ma anche una vasta superficie impegnata dagli assi ferroviari e dal sistema di accessibilità autostradale, che ne fanno l’ingresso privilegiato in città per chi arriva dal resto dell’area metropolitana, al di là delle destinazioni specifiche. Un territorio quindi fortemente condizionato dalle forniture di servizi, ma anche da terreni ancora disponibili per l’espansione, oltre agli insediamenti di edilizia popolare degli anni Cinquanta e a quelli costruiti negli anni successivi al terremoto del 1980.

Si tratta di un’area diventata città in modo graduale nel corso del Novecento, con il primo piano di industrializzazione e l’annessione degli antichi casali in epoca fascista, poi divenuti quartieri urbani caratterizzati da un tessuto sociale fortemente coeso intorno al lavoro di fabbrica e all’identità operaia. Le attività industriali, però, erano in crisi già negli anni Settanta e oggi sono in quasi completa dismissione; sono rimaste le infrastrutture, i viadotti, gli assi di collegamento con il porto, il sistema petrolchimico – di cui è ancora presente lo stoccaggio, che serve buona parte dell’Italia meridionale. Le raffinerie non sono più attive da decenni ma il passaggio di un oleodotto nel cuore della città costituisce ancora un forte condizionamento per il futuro dell’area. Il problema posto alla pianificazione, a partire dagli anni Novanta, è quello di liberare il territorio da queste servitù, con l’obiettivo di riconquistare alla città e ricomporre le diverse insule che attualmente appaiono divise.

I privati stanno a guardare

Nel 1998 le ex aree industriali di Napoli est vengono designate come Sito di interesse nazionale (Sin), da bonificare sotto la regia del ministero dell’ambiente. Il soggetto attuatore della bonifica è la Sogesid, società di proprietà del ministero, che ancora oggi coordina le attività. I ritardi nella riqualificazione delle aree pubbliche sono ingenti, ma anche il quadro delle bonifiche sui siti privati compresi nel Sin è desolante: 29 siti hanno caratterizzato i suoli, 6 hanno presentato un progetto preliminare di bonifica, solo 3 un progetto definitivo e nessuna bonifica è stata ancora portata a termine.

Nel 2006 la compagnia petrolifera Q8 siglava con gli enti locali un protocollo d’intesa che autorizza la permanenza dei suoi depositi in zona orientale almeno fino al 2026. I depositi sono oggetto di un piano urbanistico attuativo. Smontati gli impianti e le strutture della ex raffineria restano gli oleodotti e le cisterne. La società ha commissionato allo studio di architettura Gasparrini un progetto per le aree di sua proprietà, conforme alla variante del piano regolatore, che prevede residenze, servizi, un grande parco verde, impianti sportivi e attività commerciali. Ma il piano è ancora sulla carta, mentre nel dicembre 2015 i magistrati hanno sequestrato alla Q8 beni per 240 milioni di euro, imputandogli delitti correlati al traffico illecito di rifiuti. La compagnia avrebbe svolto, in maniera organizzata e continuativa, dal mese di dicembre 2010, lo stoccaggio di ingenti volumi di rifiuti pericolosi all’interno dei propri serbatoi situati nell’area orientale, per poi sversarli nel vicino impianto di depurazione delle acque di San Giovanni a Teduccio, con l’obiettivo di aggirare le spese dovute per il corretto smaltimento.

Ad affiancare le strategie dei vari livelli di governo, da alcuni anni si è costituita una cordata di imprenditori privati che si è data il nome di NaplEst. Nel giugno 2010, il consorzio, di cui è presidente Marilù Faraone Mennella, moglie di Antonio D’Amato, ex presidente di Confindustria, presenta in pompa magna una serie di progetti da avviare nei quartieri di Poggioreale, Barra, San Giovanni e Ponticelli. Si va dalla riqualificazione di aree industriali dismesse all’individuazione di nuove aree verdi, dalla sistemazione del fronte costiero alla realizzazione di nuove infrastrutture. I toni sono trionfalistici, il programma prevede il recupero della ex Mecfond, la costruzione del centro commerciale Auchan, la ristrutturazione della ex Snia, il completamento delle residenze universitarie dell’Orientale in via Brin, la creazione della Città del libro, il porto di Vigliena, il Terminal di Levante, il campus universitario della Parthenope, il Palaeventi a Ponticelli e altro ancora. Gli interventi previsti abbracciano un’area di 265 ettari, di cui 90 (circa il 40% del totale) destinati a parco e il 23% a residenze. Nelle dichiarazioni d’intenti si parla di investimenti privati per quasi due miliardi e mezzo di euro, favoleggiando l’impiego di 15 mila persone l’anno in fase di realizzazione dei progetti e di 26 mila stabili una volta ultimate le opere.

Sei anni dopo, il bilancio delle realizzazioni di quella che doveva essere “la trasformazione urbanistico-sociale più grande d’Europa” è molto modesto: i centri commerciali Auchan in via Argine ed Eccellenze Campane in un ex opificio in via Brin, dove un tempo vi era la fonderia della Mecfond; le residenze per studenti della Parthenope nella ex Manifattura Tabacchi e quelle dell’Orientale in via Brin.

Ancora prima dell’avvento di NaplEst, l’associazione Polo High Tech aveva riunito alcuni imprenditori per dialogare con le istituzioni e tenere viva la vocazione industriale dell’area. Attualmente l’associazione è stata assorbita in Ali, la società consortile formata da 18 aziende che operano nel settore aerospaziale, piccole imprese con personale altamente qualificato che collaborano con l’università e con il Cira, il centro di ricerca aerospaziale. L’approccio di questi imprenditori, nel corso degli anni, si è caratterizzato per l’attenzione al ruolo svolto dagli enti pubblici locali, che in assenza di ingenti risorse avrebbero comunque dovuto mobilitare i tanti soggetti presenti nell’area, soprattutto negli anni seguenti all’approvazione del piano regolatore, magari attraverso tavoli permanenti che coinvolgessero attori pubblici e privati interessati alle trasformazioni a venire. Così non è stato e alla fine anche l’approccio più euforico e autopromozionale degli imprenditori di NaplEst si è risolto nell’attesa di un intervento pubblico e nella poca volontà di mettere in gioco gli investimenti annunciati.

Gli interventi nei quartieri

L’unico piano urbanistico che ha avuto uno sviluppo in questi anni è stato quello del Centro Direzionale, dove il Comune ha rivisitato il progetto originario operando un raccordo con le stazioni e la rete stradale interna attraverso un parco urbano con viali pedonali e ciclabili. Il Comune ha promosso una gara per la realizzazione mediante project financing, vinta da un consorzio di imprese presieduto dal presidente dell’Acen, Ambrogio Prezioso, che però finora non ha aperto cantieri.

A Ponticelli, durante gli ultimi mesi della legislatura Caldoro, è stato inaugurato (più volte) l’Ospedale del mare, dove per il momento funzionano gli ambulatori e che dovrebbe essere completato entro il 2016. Nata con l’obiettivo di accorpare alcuni ospedali del centro storico della città, in particolare l’Annunziata, l’Ascalesi, il San Gennaro e il Loreto Crispi, concentrando i servizi in un’unica zona per lasciare disponibili questi grandi fabbricati per attività culturali e sociali, si tratta di una struttura ormai pronta ma ancora deserta, costata circa 500 milioni di euro e 58 milioni per le attrezzature. Rimane anche aperta la questione che riguarda la sua posizione geografica, isolata e in piena zona rossa per il rischio vulcanico.

Nel quartiere Gianturco la ex Manifattura Tabacchi era stata destinata a ospitare la Cittadella della Polizia, con tanto di protocollo d’intesa con il ministero degli interni, ma per mancanza di fondi il progetto è andato a monte. Attualmente vi è insediata solo una residenza universitaria della Parthenope, inaugurata nel settembre 2013: 180 posti letto, 113 stanze in un palazzo di otto piani, con sale studio, sala mensa e palestra. Sulla Manifattura esiste un progetto di Fintecna immobiliare, proprietaria dei suoli, che prevede la conservazione degli edifici simbolo della fabbrica e delle aree verdi di maggior pregio, con la creazione di un grande spazio pubblico in asse con la via Galileo Ferraris, lungo il quale dovrebbero sorgere negozi, residenze, uffici, un mercato coperto, una scuola, un parcheggio da 750 posti. Il piano è stato approvato nel 2011 e avrebbe dovuto essere portato a termine entro il 2016. Invece, a parte le attività commerciali gestite dai cinesi, intorno alla vecchia manifattura il futuro sembra ancora tutto da scrivere. Proprio di fronte, c’è quella che un tempo era l’industria di legnami Colella, poi acquisita da un imprenditore settentrionale, segnata da altri passaggi di proprietà e infine abbandonata. Una parte dell’area è compresa in un piano urbanistico attuativo, ma attualmente è occupata da un grande campo rom. Nell’estate 2015 un’ordinanza della magistratura ne disponeva lo sgombero con esecuzione immediata, ma solo alcune famiglie furono trasferite in una struttura di accoglienza a Soccavo.

Anche a Ponticelli e Barra si segnala in questi anni la presenza dei rom. In particolare, fece scalpore nel 2008 il rogo dei campi di Ponticelli a opera della popolazione locale con l’avallo di un manifesto del Pd locale affisso sui muri del quartiere. A Barra, in zona Santa Maria del Pozzo, si trova un campo rom di cui si è parlato molto nel febbraio 2012, quando un gruppo di cittadini ne bloccò l’ingresso reclamando una bonifica dell’area antistante, considerata una discarica.

Sempre sul versante abitativo, in un quartiere come Ponticelli – dove dal terremoto in poi le autorità pubbliche hanno edificato rioni satellite di edilizia scadente che hanno raddoppiato le cubature e la popolazione dell’antico casale –, è da segnalare il progressivo spopolamento del famigerato rione De Gasperi – retaggio dell’edilizia popolare degli anni Cinquanta, poi divenuto un feudo della famiglia camorrista dei Sarno – per trasferire una parte della popolazione nelle nuove case popolari di via De Meis, una serie di lotti costruiti proprio di fronte al vecchio rione fatiscente. Tra giugno e settembre del 2015, 158 famiglie del De Gasperi vi si sono trasferite, in due tornate; circa dieci famiglie al giorno per garantire il normale svolgersi delle operazioni, e per paura delle occupazioni. L’assessore al patrimonio aveva parlato dell’abbattimento in tempi rapidi delle vecchie palazzine del De Gasperi, ma ciò risulta impossibile perché dentro ci abitano ancora coloro che non hanno diritto a un alloggio popolare. Le nuove palazzine furono commissionate dal Comune alla fine degli anni Ottanta, ma le ditte fallirono una dopo l’altra. Ne seguì un contenzioso, ma la situazione si sbloccò nel 2002, con l’accordo di programma tra ministero dei lavori pubblici, Iacp ed enti locali. I lavori ripartirono solo nel 2010, anno in cui le palazzine vennero acquistate dallo Iacp, che appaltò alla Dp Costruzioni l’edificazione. Pur essendo pronte dal 30 aprile 2013, il Comune, a causa delle difficoltà nello stilare una graduatoria per gli assegnatari, ha consegnato gli appartamenti solo nel 2015.

Un altro dei progetti comunali a Ponticelli riguarda la riqualificazione del cosiddetto Lotto Zero in via Metamorfosi, che doveva diventare la Città dei bambini. Il progetto fu approvato con delibera del 1999 dalla giunta Bassolino, con consegna prevista nel 2009, su un’area di 34 mila metri quadrati, comprendente anche il percorso archeologico degli scavi e la scuola media Marino-Santa Rosa, in cui dovevano essere portati a termine un teatro da 220 posti, un museo-laboratorio, un planetario, spazi verdi e una nuova scuola, che avrebbe dovuto sostituire le funzioni della vecchia. Nel 2000 il Comune assegnò al progetto, curato dall’allora assessore alla cultura Furfaro, 4 miliardi di lire, provenienti da fondi europei. Nel 2004 arrivarono anche i fondi regionali, un appalto di 4 milioni e 600 mila euro, affidato nel novembre 2005 alle imprese Costruzioni Srl (capogruppo), Contestabile Srl e Paco 81. I lavori cominciarono, e anche i contenziosi. Il Comune pagava le ditte in ritardo, fino a che non smise del tutto. Nel frattempo il cantiere venne vandalizzato due volte. L’unico progetto attuato tra quelli collegati alla Città dei bambini è il Re Mida, un centro di riciclaggio creativo appena fuori il rione De Gasperi.

A San Giovanni a Teduccio, tra la linea ferroviaria e il porto, il complesso industriale della ex Corradini, già fabbrica metallurgica, poi dismessa nel 1949 e acquistata dal Comune nel 1999 per 10 miliardi di lire, costituisce l’emblema dei progetti di riqualificazione che in quest’area stentano a concretizzarsi. Recintata, inaccessibile e con gli edifici in pessime condizioni la ex Corradini dovrebbe convertirsi da area industriale in un distretto di produzione culturale e artistica. Una parte del complesso è stata destinata, dalla variante del piano regolatore, alla realizzazione del cosiddetto Porto Fiorito, da realizzarsi mediante lo strumento del project financing in base alla convenzione del 2003 tra l’ente locale, l’Autorità portuale e la società Porto Fiorito, consorzio di imprese campane che avrebbero dovuto trasformare il porto di Vigliena in porto turistico. L’iter ha inizio nel 1999. Nel luglio 2002, la società presenta al Comune la proposta per l’attuazione del progetto, che viene modificata più volte. Nel luglio 2011 cominciano i lavori. Il costo dell’intervento è di 120 milioni di euro per realizzare 850 posti barca; dovrebbe concludersi entro il 2015. Nell’ottobre 2012 i lavori si fermano, per mancate autorizzazioni del ministero dell’ambiente e mancate bonifiche da amianto nell’area dove dovrebbe sorgere lo yachting club. Due mesi dopo arrivano le prime lettere di licenziamento per i dipendenti della Porto Fiorito Spa, un tempo dipendenti dei cantieri navali Partenope, poi sfrattati per fare posto al porto turistico, che avrebbe dovuto essere già pronto ma a oggi resta una chimera.

Della restante parte della ex Corradini, quella occidentale, si occupa il Piano città. Un’area di circa due ettari, con una superficie coperta utilizzabile di circa 16 mila metri quadrati. La parte lungo il confine con la linea ferroviaria è destinata a diventare una residenza universitaria, mentre sul lato del mare è previsto uno spazio per eventi. Sono stati progettati due percorsi pedonali attraverso i binari per raggiungere la ex fabbrica dal centro della città. In risposta al decreto istitutivo del Piano nazionale per le città del giugno 2012, il Comune ha proposto nell’ottobre di quell’anno un contratto di valorizzazione urbana costituito da un insieme di interventi nell’area orientale. Nel 2013 sono stati assegnati 20 milioni per il completamento del restauro degli edifici della ex Corradini. I fondi ministeriali non coprono la totalità delle opere previste dal progetto. Il Comune ha approvato il progetto preliminare dell’intera area; su questa base dovrà indire una gara per la progettazione definitiva e la realizzazione di prime opere come la residenza universitaria, l’ostello e le attrezzature che saranno coperte dal finanziamento del piano città; per gli altri lavori occorreranno ulteriori finanziamenti. A oggi, l’opera rimane in sospeso.