Identità, rivalità e consumi del tifoso napoletano

di Luca Bifulco

Tifare per una squadra di calcio vuol dire sentire un forte legame psicologico con quella comunità che comprende giocatori, tecnici, dirigenti, altri sostenitori, con cui si condivide la stessa sorte e la stessa storia, fatta di successi, sconfitte, gioie e dolori[1]. Il meccanismo che entra in gioco è quello della gloria riflessa, per cui i trionfi della propria squadra sono vissuti come propri, e lo stesso accade per le disfatte.

Quando si parla di tifo calcistico, a ogni modo, è bene comprendere che ci si riferisce a un fenomeno contraddistinto da forte eterogeneità. Esistono molte tipologie di tifosi, con livelli di identificazione e senso di appartenenza più o meno alto, a cui corrispondono anche diversi comportamenti: si può conoscere nei dettagli la storia del proprio club o averne una cognizione generica; ci si può sottoporre a file estenuanti per accaparrarsi i biglietti introvabili di una partita di cartello o preferire la comodità del proprio divano; si può trovare accattivante andare in trasferta o non averne alcuna intenzione; ci si può aggiornare di continuo sulla squadra del cuore e partecipare a discussioni – magari sui forum on line – o ci si può accontentare di sporadiche informazioni. In tutti i casi entrano in gioco relazioni sociali di una certa intensità e la ricerca, sempre rinnovata, di gratificazioni che ogni forma di identificazione con una squadra di calcio può procurare.

Identità e partecipazione

Nonostante l’eterogeneità del fenomeno, è comunque possibile formulare, per il tifo napoletano, delle valutazioni di portata generale. Le limitate ricerche degli ultimi anni sull’appartenenza calcistica in Italia (come quelle condotte da Demos & Pi, Nielsen, Sport+Markt) attribuiscono al Napoli un numero di tifosi e simpatizzanti compreso tra 2 e 3 milioni di persone, che in larghissima maggioranza si percepiscono ben identificati, con un livello invece più ridotto di sostenitori occasionali. Vale a dire, grosso modo, un dato che oscilla tra il 10 e il 13 per cento del totale nazionale.

La localizzazione del tifo napoletano si situa in maniera preponderante nel sud della penisola, con una presenza molto lieve nelle altre aree del paese, a dimostrazione di una marcata identificazione geografica[2], a maggior ragione dal momento che la città ha una sola squadra professionistica nel calcio italiano d’élite. Sovente la relazione tra il club e la città (a volte per estensione il sud Italia) diviene, agli occhi del tifoso, pressoché automatica. La squadra di calcio diventa vettore d’orgoglio vicario capace di alimentare una retorica del riscatto sociale e storico per l’intero territorio. E Diego Maradona, per le gratificazioni calcistiche che ha dispensato negli anni Ottanta, è ormai considerato – spesso proprio in virtù del senso di rivincita che ha originato – patrimonio della tradizione storica non solo del calcio, ma della città tutta[3]. Egli ha assunto il ruolo di emblema della capacità di vincere con le qualità con cui di solito ci si rappresenta la napoletanità, fatta di genialità in fondo ribelle e anche un po’ disordinata.

Tutti i calciatori azzurri, del passato e del presente, sono comunque simboli d’identificazione e appartenenza per l’intera comunità dei tifosi[4]. Per questo a Napoli, in genere, ha maggiore possibilità di essere apprezzato – specie se efficace – uno stile di gioco, del singolo calciatore o del collettivo, in cui il tifoso riconosce la rappresentazione (perché di rappresentazione si tratta) del modo d’essere tipicamente partenopeo: fantasioso, irriverente, caloroso, passionale, anche se magari po’ discontinuo.

Ora, a proposito di calore, si consideri la presenza sugli spalti. Nell’ultima stagione, 2014-15, sono stati venduti 8.200 abbonamenti[5], una cifra a prima vista non esaltante e inferiore alle scorse stagioni, ma in linea con quella che sembra un’impostazione commerciale del club, che pare puntare maggiormente – in virtù della flessibilità, nell’arco dell’anno, della politica dei prezzi – sugli introiti della vendita dei biglietti delle singole partite. La media spettatori in campionato, nella stessa stagione, si attesta sulle 34.338 unità[6] – 20.964 nelle partite di Europa League[7], di solito meno appetite dagli spettatori, specie nella prima fase del torneo.

Considerando, però, il numero di supporter che va allo stadio almeno una volta nell’arco di una stagione, il Napoli può in genere godere di una partecipazione attiva dei propri tifosi capace di superare – ovviamente in termini percentuali, non assoluti, e in considerazione di un quantitativo complessivo di sostenitori minore rispetto a squadre come Juventus, Milan e Inter – quello delle maggiori avversarie italiane. Ciò è dovuto tuttavia anche al fatto che il tifo napoletano è più concentrato localmente – specie in confronto alle più importanti compagini del nord, i cui sostenitori sono dispersi lungo l’intera penisola. Questa concentrazione facilita la partecipazione dal vivo di una percentuale più cospicua di sostenitori, che devono affrontare meno disagi – pratici, economici, ecc. – per colmare le distanze che portano allo stadio. Il tutto, ovviamente, al netto dei risultati sportivi, che possono attirare più o meno spettatori nel corso di una stagione.

Il Napoli può vantare un vasto numero di fan club, al di là del mondo specifico del tifo ultras. Si tratta di associazioni, più o meno riconosciute e ufficializzate, che abbondano nel territorio campano, ma che sono presenti in tutta la nazione, così come all’estero – un po’ ovunque: Stati Uniti, Francia, Svizzera, ma anche luoghi remoti come la Cina. Lo scopo associativo di questi club si concretizza nella visione comune delle partite trasmesse in tv, quando possibile nella presenza allo stadio – spesso nelle trasferte, se il fan club risiede in una località vicina alla città che ospita l’incontro –, nell’allestimento di iniziative di supporto alla squadra o di più ampio respiro culturale-sportivo e finanche ricreativo.

Non è semplice rilevare il numero esatto dei fan club esistenti, data anche la difficoltà di indagine all’interno di un arcipelago molto diversificato e non sempre caratterizzato da un’organizzazione strettamente formalizzata. Un iniziale censimento svolto dalla Società Sportiva Calcio Napoli tramite il suo sito web – animato da scopi commerciali e dall’esigenza di valorizzare il marchio della squadra soprattutto all’estero – ha comunque evidenziato l’esistenza di più di 500 club di tifosi, con una significativa presenza al di fuori dei confini nazionali.

Vecchie e nuove rivalità

L’identità presuppone sempre un’alterità: io tifo per il Napoli perché non parteggio, anzi competo con altre squadre. L’agonismo presuppone che ci siano degli avversari, che in alcuni casi possono essere sentiti come irriducibili nemici. Nel calcio possono infatti radicarsi ostilità e antipatie storiche nei confronti di altri club. Com’è facile prevedere, l’antipatia di più solida consistenza si indirizza verso la Juventus[8]. Vale a dire, se a un tifoso partenopeo si chiede di indicare un club nei cui confronti si nutre un’avversione intensa, con ogni probabilità verrà additato il sodalizio bianconero[9]. Le motivazioni  possono essere varie, e tutte hanno un certo radicamento: perché è una squadra che viene considerata come portavoce ideale di un potere robusto, prepotente e non di rado poco leale[10]; perché è un club molto ricco e con un palmares nutrito, cosa che attira sempre cospicua avversione; perché nell’immaginario la compagine bianconera viene associata alle prevaricazioni storiche subite dal sud del paese a opera del nord; perché essa è interprete di uno stile tanto gestionale quanto calcistico freddo, razionale, efficientista, del tutto in antitesi con il calore un po’ ribelle, seppur meno produttivo, tipico dell’indole partenopea. Per questo, battere la Juventus per un napoletano può avere un sapore speciale, dal momento che riverbera quel senso di rivalsa e di compensazione che, come abbiamo evidenziato, costituisce una parte importante della sua dimensione di tifoso. E non è un caso che spesso l’accusa mossa ai sostenitori del club bianconero, specie coloro che risiedono nel Mezzogiorno, sia quella di una scarsa – se non nulla – identità territoriale, che viene giudicata come rinuncia all’appartenenza e a un completo senso di cittadinanza.

Sebbene con un distacco notevole rispetto alla Juventus, il Milan è l’altra squadra oggetto di un condiviso astio da parte dei tifosi napoletani[11]. Tra le motivazioni si può indicare, oltre all’opposizione nord-sud simboleggiata dal contrasto per eccellenza tra le città di Milano e Napoli, anche l’accesa rivalità degli anni Ottanta tra il club rossonero e la squadra di Maradona, ovvero il Napoli per definizione, il modello esemplare con cui paragonare qualsiasi evento calcistico legato ai colori azzurri. Non secondaria, in alcuni casi, potrebbe altresì risultare un’animosità – anche extracalcistica – nei confronti della proprietà berlusconiana.

Il tifoso consumatore

Incorporando la logica dello show business, il calcio degli ultimi decenni ha acquisito forti connotazioni commerciali che si reggono sulla corposa spettacolarizzazione e incidenza mediatica. Il tifoso ha ormai stabilmente aggiunto alla veste dell’appassionato quella del cliente-consumatore: acquista i biglietti delle partite, si abbona alle piattaforme televisive che trasmettono gli incontri a pagamento, compra prodotti ufficiali delle squadre o anche quelli delle compagnie che sponsorizzano le società di calcio.

Uno degli indicatori dell’identificazione del tifoso può essere, in effetti, l’acquisto di gadget della squadra del cuore, veri simboli d’appartenenza, carichi di energia emozionale, da portare con sé nei contesti della vita quotidiana[12]. Gli studi della Deloitte sulle attività economiche dei maggiori club europei hanno stimato, nelle ultime stagioni, un guadagno per il Napoli dalle sole attività “commerciali” – che comprendono, però, tanto il merchandising quanto i contratti di licenza e sponsorizzazione – oscillante tra i 34,9 e i 38 milioni di euro circa[13]. Decine di milioni in meno rispetto a squadre come Juventus e Milan[14] e una distanza ancora molto forte in confronto ai top club inglesi, spagnoli e tedeschi, il cui marchio ha comunque una visibilità internazionale maggiore[15]. Ma, soprattutto, un monte ricavi che è meno della metà di quanto il Napoli stesso guadagna con i diritti tv[16], a testimoniare che si tratta di un settore economico, seppur rilevante, ancora non del tutto valorizzato. Anche perché, a dispetto delle sirene di una sviluppata industria di merci contraffatte e a buon mercato, il fan partenopeo, anche quello per così dire locale, non è per forza un debole consumatore di prodotti ufficiali della società. Anche qui, in termini meramente percentuali e non numerici assoluti, la quota di tifosi che acquista almeno un prodotto nel corso di una stagione è capace di primeggiare sul piano nazionale.

Certo, si tratta di un dato che ci fornisce il quadro di un comportamento che associa all’identificazione con la squadra una condotta vivace sul piano del consumo e che è confortato anche da buoni risultati di vendita tramite l’e-commerce, capace di raggiungere via internet tifosi sparsi un po’ ovunque. Ma esso andrebbe, comunque, quanto meno commisurato con l’ammontare medio di spesa dedicato a questo tipo di acquisti, con la continuità del consumo da parte dei singoli fruitori e finanche con le capacità economiche complessive del territorio campano. Insomma, un certo potenziale commerciale appare, ma la sua reale rilevanza ha bisogno di ulteriori argomentazioni sullo stato di salute economica di un’intera area geografica.

[1] Bifulco L., Pirone F., A tutto campo. Il calcio da una prospettiva sociologica, Guida, Napoli, 2014.

[2] Fonte: Demos & Pi, 2013.

[3] Bifulco L., Dini V. (a cura di), Maradona. Sociologia di un mito globale, Ipermedium, S. Maria Capua Vetere, 2014.

[4] Come avviene per ogni squadra, in verità.

[5] Nel 2012-13 gli abbonati furono 10.330, 13.230 nel 2013-14, stagione segnata comunque dall’arrivo in panchina di Rafa Benitez e da una campagna acquisti dal profilo internazionale. Fonte: Il Sole 24 ore.

[6] Fonte: nostra elaborazione su dati della Lega Serie A.

[7] Fonte: calcio.com

[8] Fonte: Demos & Pi, 2012.

[9] È evidente che vanno tenute fuori da questa analisi le inimicizie tra gruppi ultras di squadre differenti, che attengono a una logica e a una storia specifica del mondo delle tifoserie organizzate.

[10] Non a caso, il tifo napoletano, rispetto ai sostenitori delle avversarie più sentite, dimostra una diffidenza maggiore nei confronti degli arbitri (per esempio, il 41,3% dei tifosi juventini considera gli arbitri sempre in buona fede, contro il 37% dei milanisti e il 30,5% dei napoletani. Invece, il 15,6% dei partenopei considera i direttori di gara sempre in malafede, contro il 4,8% degli omologhi rossoneri e il 7,1% di quelli bianconeri. Fonte: Demos & Pi, 2013). Anche qui entrano in gioco valutazioni sulla disuguaglianza in termini di potere tra i club italiani.

[11] Fonte: Demos & Pi, 2012.

[12] Bifulco L., Pirone F., op. cit.

[13] Fonte: Deloitte, 2012, 2013, 2014, 2015.

[14] Presumibilmente soprattutto in virtù dei contratti di sponsorizzazione e licenza.

[15] Real Madrid, Manchester United e Bayern Monaco nella stagione 2013-14 hanno superato, in termini di soli ricavi provenienti dalle attività commerciali, i 200 milioni di euro (il Bayern sfiora i 300 milioni, superati per altro dal Paris Saint-Germain). Barcellona e Manchester City hanno superato di gran lunga i 150 milioni. La Juventus si è attestata sugli 85 milioni, il Milan ha superato lievemente i 102 milioni. Fonte: Deloitte, 2015.

[16] 107,1 milioni nel 2013-14. Fonte: Deloitte, 2015.