Il settore aerospaziale. Un fiore all’occhiello in attesa del rilancio

di Antonio Grieco

Il processo di deindustrializzazione che ha investito l’apparato industriale campano dagli anni Ottanta del secolo scorso, ha avuto ripercussioni gravi in termini di riduzione occupazionale e investimenti produttivi anche in un settore come quello aeronautico considerato strategico per l’intera economia campana. Basti ricordare che alla fine degli anni Settanta gli addetti al settore si aggiravano intorno alle 12 mila unità e che oggi, escluso l’indotto, superano di poco le 8 mila unità.

Anche nell’aerospaziale, nonostante le potenzialità delle aziende campane, migliaia di lavoratori sono stati interessati da cassa integrazione, processi di mobilità, prepensionamenti, aumento dei ritmi, peggioramento complessivo delle condizioni di lavoro. Una ristrutturazione senza sviluppo è stato il segno dominante, dagli anni Ottanta in poi, delle politiche dell’Iri e delle Partecipazioni Statali nel Mezzogiorno. L’industria aeronautica campana – caratterizzata storicamente da un alto tasso di innovazione tecnologica e diversificazione produttiva – è riuscita a difendersi dall’assenza di una seria politica industriale perché ha colto le opportunità che le offrivano la costante crescita del traffico aereo internazionale e l’aumento degli investimenti dei governi nell’apparato strategico-militare. Del resto, la conferma del decisivo ruolo del militare nell’attività aeronautica in Italia e in Campania viene da un accordo, firmato nel 2013 da Alenia Aermacchi (Gruppo Finmeccanica) e Aeronautica Militare, che prevede lo sviluppo di un velivolo per il supporto delle missioni del Comando operativo forze speciali (COFS) denominato MC-27j Praetoria[1].

Le occasioni mancate

In generale, nel settore aeronautico pesano ancora i macroscopici errori dei governi italiani, di cui il più grave è quello di non aver partecipato al consorzio europeo Airbus, quando si costituì intorno al 1970; ma anche dopo, nel 1999, allorché si presentò un’altra possibilità di aderire al progetto che avrebbe portato una decisa crescita dei volumi produttivi e un salto tecnologico di notevoli dimensioni. Questa scelta contribuì al declino dell’Italia industriale e portò “una perdita netta di posti di lavoro, pur ammettendo la possibilità di larghi margini di errore, tra le 20 mila e le 30 mila unità”, come scrive Luciano Gallino. E lo stesso aggiunge: “Entrando nell’Airbus l’Italia avrebbe avuto l’opportunità di essere co-protagonista della più grande e avanzata filiera tecnologica, industriale e logistica che esista in Europa: il che avrebbe significato trarne vantaggi, oltre che per l’aeronautica, per varie altre branche dell’industria italiana[2]”.

All’inizio degli anni Ottanta gli addetti alla ricerca in Italia rappresentano solo il 13,7% del totale degli occupati nell’industria, mentre la media europea è del 21,5%, con punte del 26,6% in Francia, del 23,5% in Germania e del 20,7% in Gran Bretagna[3]. Questo ritardo del nostro paese nell’impiego di risorse nell’innovazione tecnologica e nell’occupazione qualificata, è del resto confermato da dati Istat che mostrano come nel 2011, in termini di percentuale del Pil dedicata alla ricerca e sviluppo, l’Italia si collochi al sedicesimo posto nell’UE, superata anche da Spagna e Portogallo[4]. Solo di recente il governo italiano ha presentato un piano denominato Strategia nazionale di specializzazione intelligente che, tra altri obiettivi, si propone “la valorizzazione e l’integrazione delle offerte tecnologiche dei territori”, con particolare attenzione alle attività del comparto aerospaziale[5]; ma azioni e investimenti incisivi al riguardo non se ne sono ancora visti.

Azienda storica del settore aeronautico in Campania è Finmeccanica, che attraverso Alenia Aermacchi, nata dalla fusione di Aeritalia e Selenia, opera sia in campo civile che militare ed è leader nel mercato elicotteristico. Nel settore è sempre più decisiva una politica di alleanze e di collaborazioni internazionali. Finmeccanica, il cui maggiore azionista è il governo, ha stretto negli ultimi anni soprattutto collaborazioni per la costruzione di aerei civili, con Boeing e Airbus. L’ultimo importante accordo è stato stipulato tra Alenia Aermacchi e Boeing nel febbraio 2014 e concerne la ristrutturazione del contratto relativo al programma del Boeing 787. Il nuovo contratto stabilisce una diversa gestione del business sulla base della performance[6]. In seguito a tale intesa, ma soprattutto in relazione alla crescita degli ordinativi per l’ATR, nello stabilimento Alenia di Pomigliano, dove si producono le fusoliere di questo velivolo regionale, è stato firmato un accordo tra azienda e sindacati sulla flessibilità, per far fronte a un prolungato incremento della domanda; l’intesa, sottoscritta unitariamente dai sindacati metalmeccanici, prevede una diversa organizzazione del lavoro e turnazioni con sabato e domenica lavorativi.

Il panorama campano

Gli ultimi rilevamenti segnalano la presenza in Campania di circa 8 mila addetti, con un indotto di circa 2 mila unità. Le imprese direttamente legate all’aerospaziale sono 29, mentre un centinaio di imprese costituiscono l’indotto di piccole e medie aziende (Magnaghi, Dema[7], Aerosoft, La Gatta, Oma Sud, Piaggio Aero Industries solo per citarne qualcuna) specializzate nella componentistica e in grado di attestarsi su alti standard produttivi che consentono di competere a livello internazionale.

L’Alenia Aeronautica, costituita nel 2001 con sede a Pomigliano, è l’azienda più importante del gruppo, partecipando alla produzione dei più innovativi aerei di linea, come Airbus A380 e Boeing 747. A Napoli è presente anche l’ATR, azienda francese specializzata nel settore Turboelica con i velivoli ATR47/72 (i numeri sono riferiti ai posti a sedere dei velivoli). L’ATR è azienda partecipata da Eads e da Alenia Aeronautica, che nello stabilimento di Pomigliano produce, oltre la fusoliera, altre importanti parti del vettore.

Aziende aeronautiche di un certo rilievo, ubicate in diverse province campane, possono contribuire a creare quel “polo aerospaziale campano” da sempre rivendicato dai sindacati anche per la possibilità di interagire con importanti centri di ricerca presenti in regione, come il Cira di Santa Maria Capua Vetere e alcune facoltà dell’Università “Federico II” di Napoli. Il Cira (Centro italiano ricerche aerospaziali), nato nel 1984, è una società pubblico-privata con la partecipazione di enti di ricerca, enti territoriali e industrie aeronautiche la cui stretta collaborazione ha permesso di creare laboratori aeronautici e spaziali e realizzare prove uniche al mondo.

Tra le aziende con elevato livello innovativo presenti in Campania, sono da segnalare Selex (specializzata nei sistemi integrati per la difesa), WASS e MBDA, che saranno accorpate in un’unica azienda a Bacoli; l’Augusta Westland di Benevento, specializzata nell’elicotteristica; l’Avio di Pomigliano, leader nel settore dei propulsori aeronautici, che investirà 80 milioni di dollari nella tecnologia aerospaziale nei prossimi cinque anni; l’azienda Carlo Gavazzi di Benevento, con un laboratorio per lo sviluppo delle nano e microtecnologie in funzione della produzione di sistemi aerospaziali; Vulcanair, ubicata a Casoria, che – dopo la chiusura di Partenavia, azienda storica napoletana fondata dai fratelli Pascale nei primi anni Cinquanta – ha ripreso la produzione del bimotore da turismo P.68; infine l’Atitech di Capodichino, specializzata nella manutenzione di aeromobili a corto/medio raggio e ceduta nel 2009, nell’ambito della operazione Alitalia, dal governo Berlusconi all’imprenditore Gianni Lettieri al prezzo simbolico di 10 euro; questa decisione – a cui farà seguito il piano Finmeccanica denominato 3R del 2011, che ha portato alla chiusura di Casoria e alla perdita di circa 900 posti di lavoro – è in linea col piano di ristrutturazione di Alitalia, che ridimensiona la presenza pubblica in Campania e persegue una politica di tagli dei costi e riduzione del personale. Inoltre, al momento non sono previsti investimenti per il nuovo ATR90. La realtà è che nel complesso le scelte del governo Renzi, e di conseguenza il Piano Moretti, relegano la provincia di Napoli a un ruolo marginale nel panorama industriale di qualità. Quel piano, infatti, prevede un’azione di risanamento del debito Finmeccanica (circa 5 miliardi) con tagli ai finanziamenti, chiusure di aziende e conseguenti tagli occupazionali. La conseguenza di questo radicale processo di ristrutturazione è che dei 9 stabilimenti in provincia di Napoli ne rimarranno solo 3, con il rischio di un vero e proprio crollo della rete dell’indotto nell’intera area metropolitana.

L’Atitech ha recentemente stipulato un accordo con Etihad e Alenia per la costituzione del polo della manutenzione aerea a Capodichino, con l’acquisizione del sito di Alenia nella stessa zona e l’assorbimento di alcune centinaia di lavoratori[8]. Ma la scomparsa dello stabilimento Alenia di Capodichino, dopo la cessione di Ansaldo Trasporti e Ansaldo STS ai giapponesi di Hitaci per circa 800 milioni di euro, si configura come un ulteriore attacco all’industria napoletana, con pesanti tagli occupazionali e smembramenti da parte di Finmeccanica in un settore chiave per la nostra economia[9].

Il sistema autoritario di relazioni industriali instaurato da Fiat nel settore auto, in questo comparto non sembra essere ancora entrato in vigore, ma vi sono segnali preoccupanti da parte di Finmeccanica – soprattutto per quel concerne le condizioni materiali dei lavoratori, la politica dei tagli e l’organizzazione del lavoro – che fanno pensare all’intenzione del gruppo di ricalcare il modello Marchionne, seppure in una realtà produttiva storicamente molto diversa da quella del settore auto italiano.

La storia dell’Avio

Occorre sapere, infatti, che ognuna di queste aziende ha una sua storia legata ai processi di modernizzazione e alle lotte del movimento operaio nell’area metropolitana di Napoli. Almeno una di queste storie è utile ricordarla, quella dell’Avio di Pomigliano d’Arco, perché ci consente di capire meglio cosa è avvenuto dagli anni Ottanta in poi nell’apparato produttivo napoletano. Oggi l’azienda è parte del gruppo aeronautico Avio Aero, ma in un tempo non remoto il suo nome era legato all’Alfa Romeo. Era stata infatti costruita nel 1934, durante il fascismo, prendendo il nome del suo costruttore, Romeo. Si chiamava Alfa Romeo Avio e comprendeva due reparti: costruzione e revisione motore. Nella stessa azienda c’era poi un reparto auto che produceva veicoli commerciali (Arveco, poi Sevel, chiuso definitivamente da Fiat), motori e componenti per altre aziende italiane ed estere. Lo stabilimento aeronautico era considerato il gioiello dell’Alfa Romeo; un gioiello delle aziende italiane a partecipazione statale che tutti ammiravano sia per le elevate tecnologie impiegate, che per la professionalità della sua classe operaia, molto combattiva nella difesa dei propri diritti, ma soprattutto con una straordinaria competenza in quel settore.

Nel 1997 l’Alfa Romeo Avio fu acquisita dalla Fiat nell’ambito di un progetto che aveva come obiettivo la riduzione della frammentazione delle aziende aeronautiche, al fine di accrescerne la competitività su scala globale. Ma nel 2003 il gruppo Fiat vendette Fiat Avio a un consorzio formato per il 70% dal fondo americano Carlyle Group e per il 30% da Finmeccanica. All’epoca l’azienda fu valutata 1,5 miliardi di euro, ma quando, nel 2006, l’acquisì il fondo inglese Cinven, la sua valutazione raggiunse i 2 miliardi e mezzo di euro. Nel 2012 la divisione aeronautica di Avio fu poi acquisita da General Electric per 3,3 miliardi di euro. Questi repentini passaggi di proprietà, in linea con la finanziarizzazione globale dell’economia, se da un lato hanno indebolito ulteriormente la presenza pubblica in Campania, dall’altro sembrano aver accentuato la frammentarietà (lo spezzatino, come in gergo sindacale vengono definite simili operazioni) anziché contrastarla; infatti, la divisione spazio dell’azienda è andata a Cinven e Finmeccanica, mentre la divisione aeronautica è rimasta con General Electric e ha preso il nome di Avio Aero.

Il settore aerospaziale potrebbe rappresentare una speranza per invertire la tendenza al declino dell’industria napoletana realizzando “sistemi industriali” che guardino alla sostenibilità ambientale e puntino a una moderna riorganizzazione del territorio. Ma il sud Italia in questa fase sembra ancora abbandonato a se stesso e occorrerebbe un ruolo ben diverso dello stato nella programmazione per rilanciarne le grandi potenzialità. Non sembra, infatti, che le politiche di austerità seguite in questi anni – da Berlusconi come da Monti e Renzi – abbiano in qualche modo aiutato il settore a superare le sue criticità produttive, spesso dovute, oltre che all’insufficienza delle risorse investite, anche alla stretta creditizia attuata dal sistema bancario nei confronti di piccole e medie aziende dell’indotto.

Un primo passo per sviluppare le potenzialità industriali della nostra regione, sembra sia stato compiuto nel luglio 2015 con l’accordo firmato dal Cira e dalla Regione Campania per lo sviluppo e il sostegno ai progetti d’investimento in tutto il comparto manifatturiero; indicativo è che in tale accordo si consideri proprio l’aerospaziale uno dei settori trainanti dell’economia campana. Ancora una speranza, ma è ancora troppo poco per rilanciare un settore strategico per lo sviluppo produttivo del Mezzogiorno e dell’intero paese.

[1] De Marchi T., “Cannoniere volanti, solo la Pinotti non sa del contratto”, in ilfattoquotidiano.it, 06/12/2013.

[2] Gallino L., La scomparsa dell’Italia industriale, Einaudi, Torino, 2003.

[3] Gunetti G., “L’industria dell’avio: un caso avanzato”, in Reindustrializzazione e innovazione in Campania, Sintesi, Napoli, 1984.

[4] Dal rapporto Bes 2014. Il Benessere Equo e Sostenibile in Italia.

[5] Antonio Ferrara, “Il comparto aerospaziale campano protagonista della reindustrializzazione”, in qdnapoli.it, 18/09/2014.

[6] “Accordo con Boeing per la fornitura di ulteriori componenti del Boeing 787 Dreamliner”, aleniaaermacchi.it, 18/11/2013.

[7] Questa storica azienda dell’indotto aeronautico di Somma Vesuviana è entrata in crisi nel 2014 avviando procedura di licenziamento per 61 addetti; cfr. Pino Neri, “Indotto aeronautico in crisi, alla Dema 100 tagli: è sciopero”, ilmattino.it, 12/02/2014.

[8] “Atitech e Etihad assorbono i 400 di Alenia a Capodichino”, in sipal.it, 17/03/2015.

[9] Pollice A., “E ora lo spezzatino di Alenia”, in il manifesto, 04/03/2015.