Castellammare, il cantiere navale più antico (e obsoleto) d’Europa

di Andrea Bottalico

Dalle recenti analisi di alcuni osservatori del complesso universo marittimo portuale, vale la pena accennare un paio di aspetti rilevanti: il primo riguarda l’intreccio stretto tra ciclo economico, conflitti politici, commercio mondiale e cantieristica. Un esempio: con il prezzo del petrolio ai minimi storici, è di qualche giorno la notizia dell’aumento considerevole di ordini da parte di armatori greci per la costruzione di petroliere nei cantieri coreani e giapponesi, un numero destinato a crescere a causa della fine delle sanzioni internazionali all’Iran.

Il secondo punto è il fenomeno del gigantismo navale, un dogma che ha generato nell’economia del mare conseguenze spropositate, con effetti a cascata su tutta la filiera portuale, il trasporto intermodale e la catena logistica. Malgrado le ciclicità del mercato, nel 2015 gli investimenti per la costruzione di navi portacontenitori sono raddoppiati, il registro delle commesse parla di 19 miliardi di dollari in più rispetto all’anno precedente. Le capacità ordinate nei cantieri sono aumentate di circa 2 milioni e mezzo di Teu[1] e la maggior parte dei nuovi ordini si è concentrata sulle mega navi: 125 delle 260 unità ordinate superano i 10 mila Teu.

La preoccupazione è che all’interno di questa corsa al gigantismo si siano introdotti elementi d’irrazionalità che sfuggono al controllo dei protagonisti. Secondo alcuni, le potenti compagnie del traffico dei contenitori impongono regole del gioco sempre più difficili da contrastare poiché, dicono, è la merce a decidere. Altri sostengono che la domanda di merce sia un elemento secondario agli occhi degli armatori, perché questa non determina più le scelte d’investimento come in passato. In tempo di crisi finanziaria internazionale i volumi crescono poco, i noli sono stagnanti, ma i cantieri continuano a costruire navi di dimensioni sempre più grandi e tecnologicamente sofisticate. Si commerciano navi, insomma, non la merce, non il carico che dovrebbero trasportare[2]. Nonostante i sussidi dello stato c’è chi invece considera la cantieristica in affanno per la concorrenza tra cinesi, coreani e giapponesi. Eppure, al di là della sovra-capacità di alcune tipologie, il capitale armatoriale è sempre pronto a essere investito per ordinare nuove navi, mentre altre vengono mandate in demolizione più velocemente, riducendo i tempi di obsolescenza. C’è chi infine sostiene che la tendenza di costruire navi sempre più grandi al fine di beneficiare delle economie di scala dovrà terminare prima o poi, dal momento che si assiste a un cambiamento di paradigma segnato piuttosto dall’economia della connettività. Nel frattempo, i cantieri continuano a varare giganti del mare.

Queste e altre analisi gettano uno sguardo a volo d’uccello sulle dinamiche del capitalismo contemporaneo dalla prospettiva del trasporto marittimo e terrestre delle merci; introducono l’immagine della nave in sé, intesa non solo come prodotto industriale, ma come prodotto finanziario e in definitiva come prodotto globale. Tuttavia queste considerazioni preliminari non ci dicono molto su cosa tali dinamiche producono in termini sociali, su quali sono i costi per la collettività; così come poco ci dicono riguardo le conseguenze sulla manodopera coinvolta ed esposta direttamente alle imposizioni di un mercato senza confini, dominato da attori che non possono fare marcia indietro, descritto a più riprese dagli osservatori come un treno che sta andando a sbattere.

L’attenzione verso le forze produttive è residuale. Portuali, marittimi, operai navali, ma anche facchini, camionisti, lavoratori del trasporto merci in generale: è come se il fattore umano contasse poco in questa storia. Qualcuno giustificherebbe una tale mancanza di attenzione affermando che il lavoro è sempre più una merce fungibile. Non è così. Qui si sta parlando di una forza lavoro composita che continua a occupare una posizione strategica, la vera forza lavoro della globalizzazione, non ancora asservita alla tecnologia, capace entro certi limiti di organizzare in piena autonomia il processo lavorativo, con tutte le ambiguità che una condizione di autogestione del lavoro comporta. Tolta questa, il capitalismo contemporaneo non sarebbe reticolare, l’intero universo del trasporto marittimo e terrestre svanirebbe e con esso il supporto principale all’economia globalizzata.

Sebbene ogni categoria di lavoratori in ciascuna industria abbia la propria storia e composizione, le trasformazioni nella produzione e distribuzione hanno avuto un forte impatto sull’organizzazione del lavoro negli ultimi decenni. Tali mutamenti hanno ridefinito lo status, le relazioni sociali, le mansioni, i mercati, le geografie e i luoghi in cui gli insediamenti produttivi si sono sviluppati nel corso del tempo, prima di lasciare il posto alla distruzione, al vuoto mascherato da riconversione e alla disgregazione di intere comunità professionali. La globalizzazione da questa prospettiva si configura come un fenomeno visibile, non è altro che “l’estensione dell’ampiezza geografica delle interazioni sociali che hanno ripercussioni a livello locale”, come affermava Charles Tilly[3].

Il microcosmo dei cantieri navali, le condizioni di chi ci lavora, insieme al rapporto complesso con il territorio retrostante, rappresenta un prisma attraverso cui osservare queste dinamiche a cavallo tra il globale e il locale. È in questo luogo al confine tra terra e mare che si trovano esempi ed effetti concreti, utili a spiegarci come i nuovi paradigmi della circolazione e produzione incidono sul lavoro e sulla persistenza delle sue forme organizzative, mutando allo stesso tempo il volto degli spazi urbani entro cui il lavoro si è radicato e sviluppato – per poi scomparire.

Il gruppo Fincantieri

Il gruppo Fincantieri è considerato da molti il fiore all’occhiello del made in Italy. Azienda pubblica, controllata al 73% dalla Cassa depositi e prestiti attraverso Fintecna – finanziaria del ministero dell’economia incaricata della liquidazione dell’Iri –, è un colosso, il quarto gruppo al mondo in termini di fatturato dopo i concorrenti coreani Hyundai, Samsung e Daewoo. Si tratta del maggiore costruttore navale occidentale, presente in tredici paesi, in quattro continenti (Europa, Nord America, Sud America e Asia) con ventuno cantieri navali tra Italia, Norvegia, Romania, Stati Uniti – tre cantieri situati nella regione dei Grandi Laghi –, Brasile, Vietnam ed Emirati Arabi Uniti – dove è presente con Etihad Ship Building, una joint venture insieme ad Al Fattan Ship Industries e Melara Middle East. Con il quartier generale a Trieste, due sedi di progettazione, una società di sistemistica per il militare, un centro di ricerca e una fabbrica di motori, in Italia Fincantieri possiede cantieri navali da nord a sud: Trieste, Monfalcone, Marghera, Sestri Ponente, Riva Trigoso e Muggiano, Ancona, Castellammare di Stabia e Palermo.

Una struttura produttiva flessibile e globale. Dopo aver commesso alcuni errori in fase di progettazione di alcune tipologie di navi che l’hanno tagliato fuori da altri segmenti del mercato, il gruppo adesso opera in tre principali settori: grandi navi, difesa e servizi petroliferi, vale a dire crociere – di cui è leader mondiale –, navi militari e unità offshore, queste ultime attraverso la società controllata norvegese Vard, quotata alla borsa di Singapore e dislocata su dieci cantieri tra Norvegia, Brasile, Romania e Vietnam. Nel bilancio del 2014 tra i mercati di riferimento non si accenna neanche alle navi portacontenitori – costruite ormai per la maggior parte nei cantieri asiatici – mentre riguardo ai traghetti si parla di “fatica a uscire da una situazione di stallo degli ordinativi a causa della crisi economica, un andamento non soddisfacente dei traffici passeggeri e merci e la bassa reddittività delle compagnie armatoriali”. La domanda di traghetti nel futuro è legata all’anzianità della flotta e alle normative ambientali volte a prevenire l’inquinamento, dicono. Si parla di “navi verdi”, dotate di propulsione a gas. Prototipi: uno di questi è stato costruito e varato nel cantiere navale di Castellammare, nel luglio 2014, un traghetto green di ultima generazione per una compagnia canadese, realizzato nel cantiere più obsoleto del gruppo.

Con un fatturato composto “per un terzo dalla crocieristica, un terzo dal militare e un terzo dall’offshore”, Fincantieri si autodefinisce “solida, con performance economico-finanziarie basate su un modello produttivo ottimizzato, ispirato alla filosofia di un unico grande cantiere flessibile e indirizzato a garantire un’uniforme qualità dei propri prodotti”. Una struttura produttiva “in grado di coprire tutte le attività, dalla progettazione alla costruzione dello scafo e di alcuni componenti critici, all’assemblaggio e manutenzione delle proprie navi”.

In realtà il 2015 è stato chiuso in rosso, la posizione finanziaria del gruppo è negativa, a quanto pare il bilancio è messo male a causa di alcune commesse del passato concepite in maniera sbagliata e dal crollo dei prezzi del petrolio. Stando a ciò che dicono gli analisti, Fincantieri è una delle peggiori società quanto a ritorno sul capitale investito, e finora non è mai riuscita a distribuire i dividendi ai suoi azionisti. Nonostante il boom delle crociere le previsioni del 2016 sono in perdita. Nell’ottobre 2015 il titolo ha perso in pochi giorni quasi il 40% del suo valore e anche se l’azienda ha smentito, oggi sarebbe necessaria un’altra iniezione di capitale di 500 milioni – a carico dei contribuenti –, la terza dopo quella nel 2010 di 250 milioni finanziati da Fintecna e quella di 350 milioni sottoscritti da risparmiatori privati in occasione dell’entrata in Borsa nel giugno 2014 – malgrado le lotte sindacali per scongiurarla.

Nel frattempo gli ordini delle navi da crociera continuano ad aumentare. Il gruppo ha siglato un accordo con la società anglo-statunitense Carnival Corporation & Plc, il più grande gruppo al mondo nel settore delle crociere, per quattro navi destinati ai mercati emergenti in Cina e Australia, tutte da costruire nei cantieri di Monfalcone e Marghera. Dagli anni Novanta sono state costruite 70 navi da crociera, di cui 59 per il gruppo Carnival, 33 delle quali varate a Monfalcone. Altre 10 sono in questo momento nel portafoglio ordini. Da poco è stata varata a Monfalcone la Majestic Princess, la prima nave per il mercato crocieristico cinese.

La presentazione del nuovo piano industriale è stata annunciata ma tarda ad arrivare, mentre qualcosa sta cambiando ai vertici. L’amministratore delegato Giuseppe Bono diventerà presidente esecutivo e al suo posto sarà nominato Corrado Sciolla. Andrea Mangoni, direttore generale, dopo nove mesi ha annunciato le dimissioni e la buonuscita di fine rapporto è stata pari a tre milioni di euro. Il gruppo Fincantieri conta 21 mila dipendenti diretti, di cui circa 8 mila in Italia. Di questi, 600 lavoratori provengono dal cantiere navale di Castellammare di Stabia, nella provincia a sud di Napoli.

Il cantiere di Castellammare

È sufficiente camminare lungo la costa che da Pozzuoli arriva fin laggiù per vedere l’immagine di ciò che l’ultimo rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno ha ricavato dalle statistiche: “Nel Sud – si legge –, alle ben note criticità strutturali dell’area si è sommata la debolezza ciclica, determinando una minore resilienza del suo apparato industriale. La contrazione complessiva del prodotto manifatturiero è stata di entità tale da produrre un’erosione profonda della base produttiva: ne sono state colpite non solo le imprese meno efficienti e dinamiche, ma anche quelle sane ma non attrezzate a superare una crisi così intensa e prolungata, rendendo sempre più estesi e profondi i fenomeni di desertificazione industriale[4]”.

Chi voglia tentare di interpretare le cause e le conseguenze dello smantellamento di interi apparati produttivi lungo la costa napoletana, dopo averla attraversata tutta potrebbe scegliere di fermarsi nel punto estremo meridionale della fascia costiera – laddove qualcosa è rimasto –, e interrogarsi sulle ragioni dell’agonia di un luogo di lavoro che per secoli ha plasmato la comunità di una piccola città. Guardarsi intorno, facendo un passo indietro. La questione critica su dove esattamente il lavoro si situa nell’esperienza umana oggi parte da questo luogo di provincia, dai fatti accaduti di recente, raccontati dalla gente comune. Una storia già vista, come quella rissa tra disoccupati, ex portuali ed ex operai dell’Avis per l’assunzione in una ditta di smaltimento rifiuti. La questione inizia da una cassa integrazione di tre mesi per 125 operai su 562 in totale, al termine della quale si aspetta e si spera che arrivi una commessa capace di impegnare tutta la capacità produttiva del cantiere navale fino al 2020. Questi almeno sono stati i termini dell’ultimo accordo firmato tra sindacati e azienda. Dovevano essere oltre 140 i cassintegrati, ma una ventina godranno del trasferimento in altri cantieri, come Fernando, che adesso sta sagomando le lamiere sotto al reparto della Navale a Monfalcone.

In dodici settimane bisognerà verificare la possibilità di costruire dentro al cantiere una nave oceanografica destinata alla Marina militare. Ipotesi senza alcuna garanzia. Per il cassintegrato l’incontro a Roma tra ministero dell’università e ricerca, Regione Campania e Cnr è l’ennesima beffa, il loro impegno a finanziare con circa 250 milioni la realizzazione dell’unità è un debito con la bocca. Ma per quello al suo fianco può anche essere l’unica speranza a cui aggrapparsi. Punti di vista. Dopo l’oceanografica si parla di altre commesse, altre ipotesi. Ci sarebbero le fregate militari italo-francesi Fremm, da spartire insieme al cantiere di Riva Trigoso; oppure la rottamazione di unità di cabotaggio regionali, o l’ammodernamento del bacino di costruzione, o qualche troncone per le crociere da costruire a Marghera e a Monfalcone. Oppure niente. Si attendono risposte dalle trattative tra azienda e sindacati su cassa integrazione e contratto integrativo.

Nel frattempo la Procura di Torre Annunziata indaga sulle forzature fatte ad alcuni titolari delle ditte esterne affinché assumessero persone segnalate. Sei ordinanze di custodia cautelare in carcere sono scattate in estate a carico di dipendenti e sindacalisti ritenuti responsabili del reato di estorsione. I destinatari sono stati accusati di aver taglieggiato le ditte dell’indotto. Mesi fa, la direzione aveva licenziato tre operai per lo stesso reato. C’è pure chi s’indigna, chi si ostina ad avere una visione assoluta della legalità, laddove di legale non è rimasto niente, perché è questo il punto agli occhi del cassintegrato: il reato perpetrato ai danni suoi, delle maestranze e di un intero territorio, da anni, non è nulla in confronto a un’estorsione.

Si dice che dentro al cantiere adesso la gente riga dritto perché è cambiato il capo del personale. I nomi di alcuni dipendenti hanno allungato la lista degli indesiderati nell’operazione di pulizia avviata dalla direzione per riportare ordine e disciplina dentro al cantiere: operai segnalati come personale non più ben accetto perché trovati in possesso di marijuana per uso personale. La direzione ha anche piazzato quattro gazebo dentro al cantiere per i fumatori, vista la prassi di accendere la sigaretta sul posto di lavoro. Quanto tempo toglie un operaio fumatore al suo orario di lavoro? Adesso si può quantificare. E per chi esagera con le pause, partono i richiami.

Carmine non fa più il sindacalista, è andato a parlare da Vincenzo e gli ha detto che non ce la fa più. Catello negli ultimi mesi si è sottoposto a controlli medici a causa di una tosse forte che l’ha fatto preoccupare. Durante le feste di Carnevale una ventina di operai si sono sentiti male dopo aver mangiato la lasagna in mensa, hanno iniziato ad avere nausea, dolori allo stomaco e diarrea, è uscito pure sul giornale. Poi Franco il sindacalista è finito nel giro di due mesi. Sono venuto a saperlo leggendo l’annuncio mortuario vicino alla fermata della Vesuviana di via Nocera, incollato accanto a quello di un perito navale. Un saldatore suo compagno di reparto incontrato fuori al bar che frequentava mi ha detto che s’è lasciato morire, che stavolta non ha voluto combattere, proprio lui, che era riuscito a portare tutte le maestranze alla manifestazione fuori la sede centrale di Trieste in un giorno indimenticabile nel gennaio del ’92. Le commesse non c’erano: andarono a prendersele. Tre traghetti. Ora Franco è tra i 1.200 casi di mesotelioma rilevati tra gli anni Novanta e oggi in Campania secondo i dati dell’Osservatorio nazionale amianto. Una strage silenziosa che vede coinvolte fabbriche come Eternit e Italsider di Bagnoli, Sacelit di Volla, Tecnotubi di Torre Annunziata, ex Sofer di Pozzuoli, Firema di Caserta, ex Isochimica di Avellino, Avis e Fincantieri di Castellammare. Il picco si avrà nel 2020, lo stesso anno in cui termina l’orizzonte ineluttabile delle trattative in corso sul destino del cantiere navale più antico d’Europa.

[1] Unità di misura nei traffici marittimi di container (Twenty Feet Equivalent Unit), corrispondente a uno scatolone di venti piedi. Le dimensioni delle navi portacontainer vengono calcolate in base al numero di Teu che possono trasportare.

[2] Bologna S., Trading ships, not cargo, Ciscoconsultant.it.

[3] Tilly C., “Globalization threaten labour rights”, International Labor and Working-Class History, n. 47, 1995.

[4] Rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno.