Il mercato del lavoro. Lontani dalla ripresa

di Giustina Orientale Caputo

Il fenomeno della disoccupazione, della scarsa partecipazione al mercato e di una altrettanto scarsa occupazione hanno da sempre costituito le questioni centrali del mercato del lavoro a Napoli e più in generale nel Mezzogiorno del nostro paese. Fin dagli anni Cinquanta, nella città oltre che nella regione, la mancanza di lavoro si è collocata a livelli più elevati dell’intero paese. L’incapacità della Campania di creare un’occupazione adeguata all’ammontare della sua popolazione è il risultato di una più grande debolezza della sua economia. E gli effetti della crisi che dal 2008 hanno interessato l’Europa si sono fatti sentire anche nella nostra regione. I dati di fonte Istat[1] mostrano che qualcosa sta cambiando, che in qualche caso il paese sta lentamente recuperando, ma questo non sembra avere un eguale riscontro nel nostro territorio, che per tutti gli indicatori che analizzeremo non solo non recupera il divario rispetto al resto d’Italia ma nemmeno ritorna ai livelli precedenti la crisi.

Le analisi basate sugli andamenti dei principali indicatori del mercato del lavoro concordano sull’andamento generale: in Italia nel 2014 il tasso di attività sta lentamente crescendo mentre nella nostra regione e nella provincia di Napoli tale valore diminuisce rispetto a un anno prima e si colloca a livelli decisamente più bassi di dieci anni fa; le persone in cerca di occupazione aumentano in misura notevole, per tutte le componenti e in tutte le aree del paese, con un aumento della permanenza nella disoccupazione mai registrato, e nella nostra regione in maniera ancora più consistente; infine, il tasso di occupazione risulta in leggero aumento rispetto a un anno fa in tutte le ripartizioni, ma questo è meno vero per la componente femminile meridionale e campana in particolare.

La disoccupazione giovanile sembra essere stata impermeabile alla crisi o piuttosto determinata da altri fattori se, come si osserverà, è oggi a livelli incomparabilmente più elevati di dieci anni fa, e in misura ancora più consistente è aumentata per il sud Italia e per Napoli in particolare. La distinzione per genere poi prefigura una vera e propria esclusione della componente femminile della forza lavoro. La durata della disoccupazione in dieci anni è costantemente cresciuta, al 2014 quella di lunga durata sul totale della disoccupazione è quasi raddoppiata. In situazioni di crisi, quando aumenta l’ammontare della disoccupazione spesso aumenta anche la sua durata; è quello che registriamo oggi non solo in Italia, ma in quasi tutti i paesi europei fatta eccezione per la Germania. Da noi però, l’ammontare del numero di disoccupati di lunga durata è massimo: secondo i dati, nel 2011 oltre un disoccupato su due (il 51,9%) era alla ricerca di un lavoro da più di un anno. Questo dato di per sé già grave deve essere valutato in relazione al fatto che, come è noto, più perdura la condizione di disoccupazione più bassa è la probabilità di uscire da essa.

L’analisi in dettaglio mostra ulteriori elementi interessanti. Il tasso di attività italiano (cfr. Tabella 1), dopo il picco più basso raggiunto nel 2010, è oggi in ripresa e si attesta a poco meno del 64%; il tasso è naturalmente più alto per gli uomini (che al 2014 sono attivi per il 73,6%) che per le donne, che si collocano a poco meno di venti punti percentuali in meno (raggiungendo appena un 54,4% della popolazione femminile tra 15 e 64 anni). Il valore evidenzia, se ce ne fosse bisogno, che la nostra società continua a ritenere la partecipazione femminile un elemento accessorio. Il confronto tra il livello nazionale e via via più in dettaglio quello della ripartizione meridionale, della regione e della provincia mostra tutta la differenza di storia e di condizioni del nostro paese.

La provincia di Napoli al 2014 presenta un tasso di attività totale che non raggiunge il 50% della popolazione in età da lavoro (49,2%). Questo significa che meno della metà della popolazione tra 15 e 64 anni partecipa al mercato. Se si distingue poi tale attività per genere il divario e l’esclusione femminile appaiono enormi: al 2014 la partecipazione al mercato del lavoro delle donne della provincia di Napoli è pari al 35,6%. Una partecipazione che a partire dal 2010 è in ripresa, ma che ancora oggi non ha raggiunto nemmeno il livello di dieci anni prima e non appare confrontabile con i livelli del resto del paese.

Va inoltre ricordato che il tasso di attività è indicatore diretto della dinamicità di un mercato del lavoro, poiché contiene non solo il dato su quanti lavorano ma anche quello relativo a quanti un lavoro lo stanno cercando; esso è misura, in un certo senso, anche del grado di fiducia in un dato mercato e così se il tasso di attività è basso ciò non è solo dovuto alla scarsa quantità di lavoro erogato, ma anche alle scarse opportunità che la forza lavoro percepisce ci siano in quel contesto. Il tasso di attività misura insomma anche lo scoraggiamento della forza lavoro: in determinati contesti si smette persino di cercare lavoro e i tassi di attività risultano più bassi[2].

Rispetto al fenomeno dello scoraggiamento va aggiunta un’altra osservazione: a partire dall’emergere della crisi, si è registrato in Italia un volontario ritirarsi dal mercato del lavoro da parte di chi, di fronte alle crescenti difficoltà, sceglieva di interrompere le azioni di ricerca – anche se spesso si dichiarava ancora disponibile a lavorare – e dunque per le classificazioni ufficiali era considerato inattivo. Questo comportamento, più diffuso al sud che nel resto del paese, si è registrato non solo per le donne e per i giovani ma anche per gli uomini. Questo dato rimanda da un lato alle più difficili condizioni di collocamento sul mercato e dall’altro al crescere della sfiducia dei soggetti in cerca di lavoro. Tale comportamento per altro faceva in modo che il tasso di disoccupazione pur crescendo non fosse esorbitante.

Dalla fine del 2011 lo scenario comincia a mutare. Si registra, infatti, un aumento della partecipazione anche di fronte a un mercato che continua a non offrire maggiori opportunità di lavoro; questo ha comportato una riduzione del numero degli inattivi, che entrati sul mercato hanno ricominciato a cercare e dunque hanno determinato un aumento del tasso di disoccupazione.

I tassi di occupazione del 2014 (cfr. Tabella 2) si attestano al 55,7% per l’Italia, al 41,8% per il sud Italia e al 37% per la provincia di Napoli. L’occupazione ha continuato a diminuire fino al 2014 più per gli uomini che per le donne, anche se l’occupazione femminile si attesta da sempre a livelli di gran lunga inferiori a quella maschile e nella ripartizione meridionale e campana ancora di più. Se il tasso di occupazione maschile nel mezzogiorno è pari al 53,4% (inferiore di dieci punti percentuali rispetto al tasso maschile italiano), quello femminile è del 30,3% e quello napoletano del 25,1%.

Rispetto alla disoccupazione, secondo i dati Istat al 2014 il numero dei disoccupati, pari a 3.420.000, è in aumento su base tendenziale, l’incremento è diffuso su tutto il territorio nazionale e riguarda sia uomini che donne. Il tasso di disoccupazione (cfr. Tabella 3) è pari al 12,7%; per le donne siamo al 13,8%, per gli uomini all’11,9%. Il tasso di disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 29 anni è pari al 31,6% (1,8 punti percentuali in più rispetto al 2013).

Se guardiamo l’andamento del fenomeno per la Campania e la provincia di Napoli emerge che il mezzogiorno già dieci anni fa sopportava tassi di disoccupazione doppi rispetto al contesto nazionale; nel corso del decennio tale divario si è accentuato e il fenomeno, cresciuto ovunque, nel meridione è divenuto esponenziale: al 2014 la provincia di Napoli registra un tasso di disoccupazione doppio rispetto al paese (24,6% rispetto al 12,7%).

Due sono gli elementi che dovrebbero indurre analisi più approfondite circa le cause di questa storica mancanza di lavoro: in primo luogo quell’aumento di disoccupazione che si registra per l’Italia solo a partire dal 2012 (quando si è cominciato a parlare di uscita dalla crisi) a fronte di un aumento continuo e costante per il territorio campano. A nostro avviso le spiegazioni vanno cercate nel comportamento della forza lavoro cui facevamo riferimento prima: nel nostro territorio, infatti, l’aumento continuo della disoccupazione è dovuto a cause strutturali e le difficilissime condizioni che la nostra forza lavoro vive che fa sì che i soggetti cerchino lavoro anche dove la domanda langue da sempre; viceversa, quello registrato a livello nazionale sembra proprio un comportamento dettato dal peggiorare delle condizioni generali che determinano una fuoriuscita dal fenomeno dello scoraggiamento e una nuova azione di attivazione sul mercato.

Va da sé che l’osservazione dell’andamento della disoccupazione per la componente maschile e femminile in comparazione conferma ancora una volta condizioni peggiori per le donne (13,8% il tasso nazionale femminile a fronte dell’11,9% maschile: valori se si vuole non particolarmente distanti, mentre per la regione la disoccupazione maschile si attesta al 19,1% e quella femminile al 23,3%). Va detto che i tassi più elevati si registrano per le donne della provincia di Napoli, con un tasso di disoccupazione del 29,3%. In generale, dal confronto è più pesante la differenza tra i livelli di disoccupazione per area territoriale che non per genere; è cioè più elevata la distanza e quindi più pesante la condizione dei meridionali, e in particolare dei residenti nella provincia di Napoli rispetto al contesto nazionale, che quella delle donne rispetto agli uomini. A tale proposito, già quindici anni fa Enrico Pugliese affermava che in Italia si configura un vero e proprio modello italiano della disoccupazione, in cui i soggetti sistematicamente colpiti dalla disoccupazione sono giovani, meridionali e in particolare donne. La Tabella 4 mostra il fenomeno della disoccupazione giovanile in tutta la sua drammaticità. In Italia in dieci anni (dal 2004 al 2014) siamo passati da un tasso di disoccupazione giovanile del 17,5% a uno del 31,6%, nel mezzogiorno dal 30,6% al 45,9% e nella provincia di Napoli dal 34,8 al 48,6%. Vuol dire che nel 2014 in provincia di Napoli la metà della popolazione tra 15 e 29 anni presente sul mercato del lavoro era senza lavoro, pur cercandolo attivamente. Era il 45,5% dei maschi e il 52,6% delle femmine.

[1] La principale fonte di analisi dei dati relativi al mercato del lavoro è rappresentata in Italia dall’Istat. L’istituto dal 1959 fornisce tutte le informazioni relative alle cosiddette forze di lavoro, ossia a tutte le componenti della popolazione attiva e non attiva che si collocano dentro e fuori il mercato del lavoro. L’ente fornisce oggi in maniera continua, attraverso rilevazioni campionarie, una gran mole di informazioni relative all’occupazione, alla disoccupazione, al comportamento che i soggetti hanno nei confronti del lavoro e delle modalità della sua ricerca; realizza analisi di stock e di flusso e fornisce serie storiche per osservare nel tempo il mutare di questi fenomeni. Le misure più sintetiche per comprendere l’andamento delle grandezze presenti sul mercato del lavoro sono gli indicatori, più frequentemente usati perché di più facile lettura e comprensione; quelli di più largo uso sono il tasso di attività, quello di inattività, il tasso di occupazione e quello di disoccupazione. La lettura congiunta di queste grandezze – partecipazione, occupazione e disoccupazione – assieme a una analisi diacronica dei loro andamenti, appaiono essenziali per la comprensione di un territorio e in particolare per un territorio come il nostro che da sempre vede i suoi problemi ruotare intorno alla mancanza di lavoro.

[2] Va notato a tale proposito che il comportamento della forza lavoro in cerca di occupazione è anche più complesso e l’analisi dettagliata negli ultimi tempi ha mostrato elementi anche più articolati. Si è notato, per esempio, che nei momenti peggiori della crisi recente la componente femminile delle aree più svantaggiate ha ricominciato a cercare lavoro anche in una situazione in cui palesemente non c’erano più opportunità di prima; è sembrato cioè che a fronte del peggiorare delle condizioni familiari e della perdita di lavoro del capofamiglia, per esempio, le donne abbiano messo da parte lo scoraggiamento e si siano rimesse sul mercato in cerca di occupazione. Il lieve aumento del tasso di attività femminile campano osservabile dal 2010 potrebbe anche essere determinato da ciò.

L’occupazione per settori di attività

Secondo gli ultimi dati (2015) forniti dall’Istat, la Campania nell’anno 2014 registra un numero di occupati pari a 1 milione e 561 mila unità. La maggioranza di essi, quasi 790 mila, risultano concentrati nella provincia di Napoli, che da sola assorbe più del 50% del totale degli occupati della regione.

Sul fronte dell’occupazione femminile la provincia di Napoli detiene il primato sulle altre province, assorbendo quasi il 50% del totale delle donne occupate a livello regionale.

Agricoltura, silvicoltura e pesca

La provincia di Napoli è stata la provincia campana che, negli ultimi sette anni, ha registrato il maggior numero di perdite in termini di addetti al settore, passando dai 21 mila e duecento addetti nel 2008 a quasi 15 mila nel 2014. L’agricoltura, la silvicoltura e la pesca rappresentano, nella provincia di Napoli, il settore produttivo con il minor numero di addetti. Il settore assorbe oggi appena l’1,9% del totale dell’occupazione della provincia. Inoltre, dei circa 67 mila occupati in agricoltura, silvicoltura e pesca in Campania, solo il 22% lavora nella provincia di Napoli.

 

Industria

La crisi del settore industriale nella provincia di Napoli si inserisce nel trend di crescita negativo che dal 2008 in poi ha interessato la regione e l’intero paese. La provincia ha perso, dal 2008 al 2014, più di 15 mila addetti al settore, passando da poco più di 123 mila occupati a quasi 108 mila. La provincia di Napoli, ciò nonostante, si conferma la più industrializzata della Campania occupando il 48,1% del totale degli addetti all’industria della regione.

Servizi          

Il settore dei servizi rappresenta in Campania il primo settore occupazionale per numero di addetti: 1 milione e 156 mila occupati. Il 53,2% di essi lavora nella provincia di Napoli, che si conferma, quindi, come prima provincia campana per numero di addetti nel settore. Scendendo a livello provinciale si può notare come i servizi, all’interno della provincia napoletana, rappresentino con circa 616 mila occupati il primo settore per numero di addetti. Nella provincia di Napoli, infatti, nel commercio, negli alberghi e nei ristoranti – commercio all’ingrosso e al dettaglio, riparazione di autoveicoli e motocicli, trasporto e magazzinaggio, attività dei servizi di alloggio e ristorazione – gli occupati sono complessivamente più di 190 mila.

A registrare, però, il maggior numero di occupati sono le altre attività dei servizi, con 426 mila addetti. In esse rientrano i servizi di informazione e comunicazione, le attività finanziarie e assicurative, i servizi alle imprese, l’amministrazione pubblica e la difesa, l’assicurazione sociale obbligatoria, l’istruzione e la sanità, gli altri servizi collettivi e personali.