L’attuazione del piano comunale integrato trasporti-urbanistica

di Giovanni Lanzuise

Nell’arco di un decennio, dal 1994 al 2004, Napoli ha portato a compimento un ciclo di pianificazione integrata dei trasporti e del territorio, allo scopo di ridurre strutturalmente l’uso dell’automobile e incrementare la qualità urbana attraverso le infrastrutture di trasporto[1]. Si tratta di un disegno vasto e ambizioso, che resta ancora sostanzialmente attuale.

La stagione della pianificazione dei trasporti si inserisce in un percorso storico che ha visto Napoli, inizialmente, primeggiare nel campo dei trasporti pubblici e, in seguito, soccombere all’invasione delle automobili. Ripercorrendo la storia della città da questo punto di vista, si possono individuare due fasi ben distinte: il periodo delle ferrovie (1839-1927) e quello delle automobili (1927-1990). Come noto, è proprio a Napoli che si costruisce la prima ferrovia italiana, la Napoli-Portici, nel 1839. Fino al 1927, anno dell’inaugurazione del passante ferroviario, si costruiscono numerose linee ferroviarie che collegano la città con l’esterno, come la Circumvesuviana, la Cumana e la Circumflegrea. Ovvero, in meno di un secolo, sono state realizzate la maggior parte delle linee ferroviarie che la città attualmente possiede.

La storia successiva è, invece, all’insegna delle automobili. Soprattutto negli anni Sessanta e Settanta, la città è segnata dalla costruzione di strade, autostrade, svincoli e viadotti. Nel 1962 viene inaugurata l’autostrada Napoli-Roma. Nel 1975 viene completata la Tangenziale, a eccezione di alcuni svincoli inaugurati negli anni successivi. Si prosegue, durante la ricostruzione post-terremoto, con la realizzazione di alcune strade di scorrimento veloce, come la Perimetrale di Scampia, la Circumvallazione di Soccavo o quella di Ponticelli. Tutto ciò fino agli inizi degli anni Novanta, quando il fenomeno inizia a lentamente a esaurirsi. In quegli anni, l’accresciuta sensibilità ambientale, derivante dall’evidenza scientifica degli effetti negativi dello sviluppo industriale e dell’uso dell’automobile, determina un progressivo cambiamento di rotta delle politiche nel settore infrastrutturale: fioriscono le associazioni ambientaliste; si consolida, anche in Italia, il movimento politico verde; si avvia un filone di produzione normativa, nazionale e comunitaria, a tutela dell’ambiente.

Malgrado la ripresa degli investimenti nella costruzione di infrastrutture ferroviarie, rimane però l’invadenza dei veicoli privati a motore. Oggi Napoli è una città ad altissima densità abitativa, ricca di linee ferroviarie costruite nel passato, ma ancora dipendente dall’automobile. Secondo gli ultimi dati Istat e Aci disponibili, relativi al dicembre 2014, la fotografia della città è la seguente: 989.111 abitanti, 529.460 automobili e 127.552 motoveicoli. Vuol dire che ogni cento abitanti (inclusi bambini, anziani e non guidatori), ci sono circa 66 veicoli a motore individuali. Si tratta di dati che non hanno confronto con le altre città europee.

In questo contesto si inquadra l’esperienza di un approccio integrato alla pianificazione dei trasporti e del territorio. In questi anni sono stati approvati cinque strumenti urbanistici, il cui insieme compone il disegno del futuro assetto territoriale e infrastrutturale della città. La data simbolica di inizio di tale processo può essere fissata nel 1994, anno in cui il consiglio comunale approva gli Indirizzi per la pianificazione urbanistica, in cui si stabilisce, tra l’altro, di puntare alla drastica riduzione del traffico automobilistico mediante l’integrazione delle politiche del trasporto e del territorio, in linea con quanto stabilito dai documenti europei sulla città sostenibile.

La pianificazione integrata: 1994-2004

Un elevato numero di automobili, tante ferrovie storiche, un’alta concentrazione abitativa in alcune zone della città, un ampio centro storico, tutto ciò ha determinato una situazione di partenza paradossale e squilibrata; tanto più drammatica nel 1994, con un patrimonio ferroviario ottocentesco, linee pensate per collegare la città al suo esterno, pochi punti di connessione e una rete stradale sovraccarica.

Sono occorsi dieci anni per impostare, avviare e concludere un processo integrato di pianificazione. Si è innanzitutto rivisto il Piano regolatore del 1972, attraverso la variante al piano regolatore per la zona occidentale (1998) e la variante al piano regolatore per il centro storico, la zona orientale e la zona nord occidentale (2004), che, insieme, rappresentano il nuovo Piano regolatore generale (Prg) di Napoli. Parallelamente sono stati redatti e approvati tre piani riguardanti le infrastrutture di trasporto: il Piano comunale dei trasporti (1997), il Piano della rete stradale primaria (2000) e il Piano delle 100 stazioni (2003).

Attualmente è in corso di redazione il Piano urbano della mobilità sostenibile (Pums), strumento di pianificazione che nasce dai documenti programmatici dell’Unione Europea come documento di sintesi della pianificazione finora condotta, per la perfetta corrispondenza dell’obiettivo generale: trasferire gli spostamenti dal traffico privato a quello collettivo, per alleggerire le parti più dense della città dalle automobili e restituirle ai pedoni. L’Europa, peraltro, intende legare sempre di più l’assegnazione dei finanziamenti per il settore ai contenuti del Pums.

Il piano comunale dei trasporti propone la realizzazione di un sistema metropolitano a rete, interconnesso e intermodale, sfruttando il ricco patrimonio infrastrutturale esistente, fatto, però, di un insieme di linee ferroviarie tra loro scollegate. L’obiettivo è rendere accessibili le diverse funzioni della città e costruire un sistema di mobilità integrato.

Il piano della rete stradale primaria, dedicato al sistema della viabilità, individua due tipi di strade: quella autostradale urbana, di collegamento e scambio con l’area metropolitana e di accesso ai principali terminali di trasporto; e quella primaria ordinaria, di relazione tra il centro, le periferie e la viabilità autostradale. Il piano propone anche un sistema di corridoi ecologici, connessi con i futuri parchi, le aree agricole e la rete idrografica superficiale.

Il piano delle 100 stazioni ha invece l’obiettivo di incrementare e riqualificare il territorio servito dalla rete del trasporto pubblico su ferro, mediante interventi volti a migliorare l’accessibilità da e per le stazioni, la qualità architettonica degli edifici di stazione e quella urbanistica dei luoghi circostanti.

Ci sono almeno tre aspetti innovativi, nel metodo, che vale la pena evidenziare. Il primo concerne la necessità di affrontare congiuntamente la pianificazione urbanistica e dei trasporti. Il secondo riguarda la traduzione di una affermazione programmatica, affrontare in maniera integrata trasporti e territorio, in una formula organizzativa, mediante la creazione di un apposito ufficio comunale di pianificazione e programmazione delle infrastrutture di trasporto. Il terzo elemento di novità è che si è elaborato un piano di sistema e non un elenco di opere, si è disegnata la rete del trasporto pubblico e privato utilizzando al meglio tutte le infrastrutture esistenti, evitando, come in passato, linee infrastrutturali tra esse separate e scoordinate.

A questi aspetti se ne può aggiungere un altro che, a valle del processo, è risultato essere decisivo. Gli strumenti di pianificazione integrata trasporti-territorio hanno permesso di programmare gli investimenti per le opere infrastrutturali. Senza programmazione non sarebbe stato possibile far convergere cospicui finanziamenti regionali, nazionali ed europei su opere indispensabili per liberare la città dalla morsa del traffico automobilistico. Negli ultimi anni molti interventi pianificati sono stati finanziati e alcuni di essi sono stati già realizzati, per esempio la tratta Dante-Garibaldi della linea metropolitana 1, entrata in funzione nel periodo 2011-2015, e quella Garibaldi-Aeroporto, finanziata e in fase di progettazione ed esecuzione.

In sintesi, il futuro assetto disegnato dalla pianificazione cittadina prevede 10 linee metropolitane, per complessivi 103 km, con 114 stazioni che formeranno 21 nodi ferroviari e 24 nodi intermodali con altrettanti parcheggi. Il sistema si completerà con 4 linee di tram e 6 funicolari, due in più di quelle che esistono attualmente. Gli scambi ferro-autobus saranno garantiti da 27 stazioni per gli attestamenti delle linee di trasporto pubblico locale ed extraurbano, da 8 stazioni per terminal bus e da 5 stazioni per terminal turistici. I flussi di traffico sulla rete su ferro varieranno dai 140.000 transiti nella fascia oraria di punta 7.00-9.30, agli oltre 500.000 transiti nella stessa fascia oraria sulla futura rete metropolitana a 114 stazioni.

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La ripartizione modale, il rapporto percentuale tra uso del mezzo pubblico e totale di uso di mezzi di trasporto, passa dal 39% del 1997 al 56% stimato a rete realizzata. La rete stradale si arricchirà di 27 km di nuovi assi, di cui 10,3 km di infrastrutture autostradali e 16,4 km di nuove strade ordinarie primarie; l’adeguamento di 23,4 km di autostrade urbane e 7,5 km di demolizioni.

La situazione di partenza

Come detto, occorre tenere conto della diffusa e radicata “cultura”, tutta italiana, dell’automobile. Il principale esito in campo urbanistico di un uso indiscriminato del mezzo di trasporto individuale, non è solo quello dell’alterazione dell’ambiente ma è soprattutto l’uso, il consumo e l’alterazione degli spazi pubblici della città[2].

Napoli occupa una superficie di 117 chilometri quadrati, ha una popolazione, rilevata nel censimento 2011, di 962.003 di abitanti, con una densità abitativa di circa 8.222 abitanti per chilometro quadrato, una delle più alte d’Europa. La popolazione della città rappresenta il 30,85% di quella della sua provincia, 3.118.149 abitanti. Quest’ultima rappresenta poco più della metà di quella della Regione, 5.861.529 abitanti. Si consideri inoltre che la superficie del territorio napoletano è appena un decimo di quella della provincia e che l’estensione di quest’ultima è, ugualmente, circa un decimo di quella regionale. Di conseguenza la densità abitativa è notevolmente diversa in città, provincia e regione, con valori pari rispettivamente a 8.222, 2.645 e 429 ab/kmq. L’elevata densità abitativa cittadina non corrisponde a una distribuzione omogenea della popolazione. In circa un terzo della superficie sono concentrati i valori di densità più elevati, superiori alla soglia dei 5.000 ab/kmq, con il risultato che il 94% della popolazione napoletana vive nel 37% del territorio cittadino. Alla città compatta si contrappone la città rada: il 6% della popolazione totale risiede nel restante 63% della superficie territoriale.

L’elevata concentrazione di popolazione poteva essere considerata, fino a qualche anno fa, una patologia urbana. Oggi, invece, può rappresentare una preziosa risorsa per costruire un modello di città sostenibile, fondato sull’uso di mezzi di trasporto a basso impatto ambientale. Intervenire sulle aree molto dense, non per diradarle, ma per servirle adeguatamente attraverso il trasporto collettivo, è una priorità, se non un dovere, per una città come Napoli, che tra le grandi città italiane è quella più densamente abitata. Completamente diverso deve essere, invece, l’intervento sulle aree a bassa densità, per le quali è necessario tutelare i territori di pregio e recuperare quelli compromessi da usi impropri.

L’amministrazione comunale ha fatto la scelta di servire le aree dense prevalentemente attraverso il trasporto pubblico su ferro, mettendo a punto una serie di misure destinate a incrementare l’accessibilità pedonale alle stazioni. La seconda scelta tende a tutelare le aree a bassa densità, attraverso la formazione di una grande attrezzatura verde a carattere metropolitano, il Parco delle Colline e il Parco del Sebeto: 35 chilometri quadrati, incuneati a ridosso delle città densa, per costituire il cuore verde dell’area metropolitana, l’elemento capace di innescare il processo di riordino dell’immensa periferia napoletana.

L’aspetto complementare della densità abitativa è il cosiddetto tasso di motorizzazione, cioè il rapporto tra il numero di autoveicoli e il numero di abitanti. Naturalmente a elevata concentrazione di popolazione corrisponde un’elevata presenza di autoveicoli, con l’inevitabile conseguenza della collisione tra la città e le auto, a tutto danno della collettività, con la riduzione e l’impoverimento degli spazi pubblici. Si è calcolato, infatti, che lo spazio occupato da un viaggiatore in automobile è pari ad almeno 30 mq. Lo stesso viaggiatore se utilizza l’autobus per il suo viaggio occupa circa 1 mq; se ricorre alla metropolitana 0,8 mq. Per un viaggio medio in ambito urbano, si ha che la quantità di suolo consumato, in termini di spazio-tempo, da un’automobile, è di 25 volte superiore a un viaggio in autobus e di 60 volte superiore a un viaggio in metropolitana[3].

Ventidue anni di attuazione: 1994-2016

Conclusa la fase di pianificazione, la città vive ora la fase dell’attuazione delle scelte individuate dai nuovi piani urbanistici e dei trasporti. È possibile tracciare un primo bilancio delle opere realizzate, di quelle in fase di costruzione e di quelle in fase di progettazione. Se dal 1978 al 1994, ossia nei sedici anni precedenti, si erano aperte al pubblico 6 stazioni della linea 1 (tratta Colli Aminei-Vanvitelli), nel periodo 1995-2016, in ventuno anni quindi, si sono inaugurate altre 24 stazioni e 27 km di linee metropolitane. Oltre all’infrastruttura, l’opera pubblica della linea metropolitana 1 ha due valori culturali aggiunti: ha contribuito ad arricchire il patrimonio di conoscenze sulla storia della città con gli importanti rinvenimenti archeologici e ha arricchito di senso il semplice gesto quotidiano dello spostamento casa-lavoro, con oltre duecento opere d’arte, di artisti napoletani e internazionali, posizionate nelle stazioni delle linee 1 e 6, ormai note come “stazioni dell’arte” e per le quali è stato fatto riferimento a un “museo obbligatorio”[4].

I lavori della metropolitana hanno permesso di scoprire parti impreviste della storia della città, attraverso il rinvenimento di numerosi tesori archeologici, come per esempio le tre barche lignee di epoca romana trovate sotto i cantieri di piazza Municipio o la ricostruzione dell’antica linea di costa, sulla quale si erano avanzate diverse ipotesi da parte degli storici e che hanno potuto trovare ragione solo con gli scavi effettuati per realizzare la metropolitana. Inoltre, il coinvolgimento delle grandi firme dell’architettura contemporanea, chiamate a disegnare gli spazi delle stazioni ma anche, talvolta, a delineare i progetti urbani, hanno restituito in visioni tridimensionali i contenuti della pianificazione integrata, assegnando alle stazioni anche la valenza di luoghi in cui si compie il processo di connessione con il tessuto urbano che la linea incontra. Emblematici, in tal senso, i progetti legati alla eliminazione delle barriere ferroviarie e ai grandi nodi intermodali, come quello di piazza Garibaldi che include la stazione centrale, oggetto dell’intervento dell’architetto francese Dominique Perrault.

Nel corso degli anni, e ne sono passati finora circa venti, il disegno della pianificazione dei trasporti sta progressivamente trovando attuazione. Sebbene si tratti di tempi lunghi, occorre tenere conto di due aspetti di carattere generale che hanno una forte incidenza sul ragionamento che si sta svolgendo. Il primo è che esiste un consolidato primato, non solo napoletano ma italiano in generale, per cui nei nostri territori l’incidenza dei veicoli a motore è molto elevata. Basti pensare che il numero di autoveicoli in Italia in cinquant’anni è quasi quintuplicato, dagli 8 milioni della metà dei Sessanta agli oltre 37 milioni dei nostri giorni. È un dato che non ha nessuna attinenza con la variazione della popolazione dello stesso periodo. Nella provincia di Napoli, per esempio, nel 1961 c’erano 161.773 autoveicoli e 2.421.243 residenti. Nel successivo trentennio 1981-2011, l’andamento della popolazione è rimasto pressoché costante. Nello stesso periodo, il numero di autoveicoli nel territorio provinciale è più che triplicato, passando dai 682.932 del 1981 ai 2.312.824 del 2011 (fonti Aci, Istat).

Il secondo aspetto da considerare è che gli ultimi anni forniscono alcuni dati contraddittori, che mettono in discussione i riscontri univocamente positivi registrati negli anni immediatamente precedenti. A fronte di un costante orientamento della pianificazione, che non ha subito modifiche negli ultimi tempi, si evidenzia infatti una riduzione nell’uso del trasporto pubblico, legata alla parallela riduzione dei relativi finanziamenti pubblici e all’incremento del parco autoveicoli, aumentati del 10,5% in dieci anni nel territorio provinciale. D’altra parte, esaminando i dati del Consorzio Unico Campania, che gestisce il sistema di tariffazione del trasporto pubblico regionale, emerge che dal 2011 al 2013, per gli spostamenti urbani su mezzo pubblico si registra un calo di circa il 30%; e per quelli extraurbani di circa il 14%. Il bilancio più pesante riguarda gli spostamenti con gli autobus: rispetto al 2005, si registra nel 2013 un calo della mobilità di circa il 63%. In particolare, solo tra il 2012 e il 2013 la mobilità urbana su gomma si è ridotta di circa il 35%. Dato confermato dal calo di circa il 45% degli abbonamenti annuali e di circa il 37% dei mensili tra il 2011 e il 2014.

Tutto ciò trova una corrispondenza con il fatto che, nel periodo 2009-2014, c’è stata una riduzione dei corrispettivi trasferiti dall’amministrazione regionale a quella comunale di circa il 20%: a fronte dei circa 72,4 milioni di euro riconosciuti nel 2009, nel 2014 sono stati assegnati 58,4 milioni di euro. Infine, mentre per le linee metropolitana 1 e 6 della città di Napoli sono andate avanti, in questi anni, le procedure per i finanziamenti delle opere, per la progettazione e l’esecuzione delle stesse infrastrutture di linee regionali e nazionali sì è avuto invece un forte rallentamento, se non un’interruzione delle attività. Tutti questi fattori messi insieme evidenziano che occorre perseverare, anche con la programmazione economica, nel percorso che conduce ad affrancarsi dall’uso del mezzo di trasporto privato, per far sì che, come riportato negli indirizzi di pianificazione urbanistica del 1994, l’automobile diventi davvero “un’opzione e non una necessità”.

[1] Camerlingo E., “Le stazioni come occasione di riqualificazione urbana” in Aa. Vv, La metropolitana di Napoli. Nuovi spazi per la mobilità e la cultura, Electa, Napoli, 2000.

[2] Viale G., Vita e morte dell’automobile. La mobilità che viene, Bollati Boringhieri, Torino, 2007.

[3] Vuchic V., Transportation for livable cities, CURP Press, New Brunswick NJ, 1999.

[4] Bonito Oliva A., “Arte pubblica” in Aa. Vv., La metropolitana di Napoli. Nuovi spazi per la mobilità e la cultura, Electa, Napoli, 2000.