La gestione dei rifiuti urbani. Profilo dell’emergenza

di Salvatore De Rosa

Nel corso delle ultime due decadi, la gestione dei rifiuti urbani a Napoli e in Campania è stata uno degli eventi di lunga durata che più hanno influito sul paesaggio fisico, sociale ed economico della regione. Spesso citata come uno dei peggiori esempi di governance dell’ambiente nel contesto italiano, durante tutte le fasi del ciclo si sono susseguiti disastri gestionali e conflitti sociali, sprechi di risorse e pratiche criminali. La spazzatura di Napoli è così diventata un caso internazionale, con la diffusione delle immagini delle strade del capoluogo campano sommerse dalle sue stesse immondizie. Allo stesso tempo, la contesa tra istituzioni e movimenti sociali sulle modalità di organizzazione del ciclo dei rifiuti, ha rappresentato un terreno politico fecondo sia per l’implementazione di tecniche autoritarie di governo dei territori, poi esportate in altri contesti, sia per la diffusione di conoscenze sui rifiuti divenute patrimonio comune di chi attualmente lotta per modelli gestionali realmente sostenibili.

A oggi, molti nodi irrisolti dell’emergenza – rinnovata a più riprese nel corso di quindici anni, dal 1994 al 2009 – continuano a pesare in termini di fragilità del ciclo di gestione, rischi sanitari e ambientali, sperpero di risorse. Il regime di emergenza venne istituito dal governo centrale per far fronte alla saturazione delle discariche e alla penetrazione della criminalità organizzata nell’affare dei rifiuti, e per attuare un moderno piano di gestione. La potente agenzia governativa del Commissariato, deputata a risolvere l’emergenza, fu dotata di poteri speciali e ingenti risorse, e della facoltà di richiedere deroghe alle leggi.

Nessuno degli obiettivi iscritti nella dichiarazione dello stato d’emergenza è stato raggiunto, e si può piuttosto affermare che essa ha causato la proliferazione dei clientelismi, l’azzeramento della fiducia nelle istituzioni, il sovrapporsi dei flussi di rifiuti urbani e industriali, a volte negli stessi siti, e un ciclo complessivamente sgangherato, costoso e pericoloso per la salute e l’ambiente. In questo contributo si delinea una ricostruzione delle fasi salienti del regime di emergenza; presentando, in chiusura, un quadro dell’attuale modello organizzativo.

Le date dell’emergenza

Prima di addentrarci nei meccanismi della gestione emergenziale, è necessario contestualizzare il recente passato attraverso una ricognizione dei passaggi legislativi che hanno normato il trattamento dei rifiuti in Italia. La necessità di formulare criteri sempre più stringenti per la raccolta e lo smaltimento degli scarti è cresciuta di pari passo con lo sviluppo economico e industriale. Fino agli anni Cinquanta del secolo scorso era diffusa una cultura del riciclo e del riuso dei materiali, soprattutto tra gli strati più poveri della società, mentre l’interramento in buche nei pressi delle città e l’incendio a cielo aperto erano la pratica più comune per smaltire gli scarti domestici che non potevano essere più riciclati. Dalla metà degli anni Cinquanta fino al 1984, la principale discarica comunale per la città di Napoli, priva di presidi tecnico-ingegneristici, fu il cratere Senga a ridosso dei Campi Flegrei, ricadente nel quartiere Pianura. È solo sul finire dei Sessanta, con l’avvento dell’urbanizzazione, dell’aumento demografico e della diffusione dei consumi di massa, che si palesa la necessità di organizzare sistemi integrati per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti. A livello europeo, la prima direttiva comunitaria sui rifiuti urbani entra in vigore nel 1977 (75/442/CEE), poi modificata da integrazioni successive, fino alla più recente direttiva 2008/98/CE.

L’Italia ha accumulato ritardi notevoli nel recepire tali direttive. Il primo adattamento alla normativa europea si è avuto con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 22 del 5 febbraio 1997, meglio conosciuto come decreto Ronchi, il quale introduceva una serie di disposizioni che innovavano completamente l’intero settore della gestione dei rifiuti in Italia. In particolare, veniva recepito il principio della gerarchia dei rifiuti adottato a livello comunitario, secondo il quale la prevenzione nella produzione dei rifiuti, il riuso e il riciclo devono essere privilegiati rispetto all’incenerimento e alla discarica.

La regione Campania regolò per la prima volta la gestione dei rifiuti solidi urbani con la legge n. 10/1993, con la quale si proponeva di raggiungere, nel triennio 1993-1995, una riduzione fino al 50% dell’utilizzo delle discariche, grazie alla raccolta differenziata, al riciclo e riuso dei materiali e alla compattazione dei rifiuti. Il piano, però, non prese mai avvio, tanto che il presidente del consiglio Ciampi, con ordinanza dell’11 febbraio 1994, nominò il prefetto di Napoli Umberto Improta quale commissario straordinario. Il commissario aveva il compito principale di requisire le discariche abusive e avviare lo smaltimento in siti pubblici, per ovviare “all’emergenza ambientale”, determinata dalla saturazione delle discariche, e a quella “criminale”, per le forti ingerenze della criminalità organizzata nello smaltimento dei rifiuti[1].

È questo l’atto d’inizio dell’emergenza. Nel 1996 il presidente della giunta regionale viene nominato commissario delegato per l’emergenza rifiuti, per le bonifiche e la tutela delle acque, con lo specifico compito di redazione del piano regionale di gestione dei rifiuti urbani. Si succedono nella carica i presidenti Rastrelli, Losco e Bassolino, finché nel 2004, con le dimissioni di Bassolino, viene costituita una nuova e distinta struttura commissariale finalizzata al superamento dell’emergenza, facente capo al prefetto Catenacci. Nel 2006 al prefetto Catenacci subentra il capo della Protezione civile Guido Bertolaso, che rimane in carica fino alla nomina del prefetto Alessandro Pansa. A Pansa succede Umberto Cimmino, in carica per soli dieci giorni: siamo all’inizio del 2008, uno dei momenti più critici dell’emergenza, in cui il blocco delle attività delle ex affidatarie, il fermo degli impianti e la paralisi della raccolta portano alla ribalta internazionale il problema dei rifiuti a Napoli. Nel febbraio 2008 il prefetto Gianni De Gennaro viene nominato commissario, affiancato da Goffredo Sottile con il ruolo di liquidatore delle situazioni attive e passive dell’emergenza. Con il decreto legge n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 2008, che rappresenta il punto di svolta più autoritario nella gestione dell’emergenza, a opera del governo Berlusconi, viene creata la figura del sottosegretario di stato per l’emergenza rifiuti. Lo stato di emergenza cessa per legge il 31 dicembre 2009.

Nel giugno 1997 il presidente regionale in carica, Antonio Rastrelli, presenta il piano per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, che prevede la realizzazione di due termovalorizzatori, sette impianti per la produzione di combustibile derivato dai rifiuti e diverse discariche. Nel 1999, Rastrelli, in qualità di commissario, indice la gara d’appalto per l’assegnazione a un soggetto privato dell’intera gestione del ciclo. La gara si chiude nel 2000, quando il ruolo di commissario è ricoperto dal nuovo governatore Antonio Bassolino; a vincere è una Ati (associazione temporanea d’imprese) denominata Fibe, dai nomi delle aziende che la compongono: Fisia Italimpianti (controllata del Gruppo Impregilo), Babcock Envinronment GmbH, Evo Oberrhausen.

La Fibe vince l’appalto sulla base di un prezzo inferiore alle concorrenti e con tempi più rapidi per la consegna degli impianti, anche se la qualità tecnica del progetto viene giudicata scadente. Un aspetto molto controverso dell’accordo concede a Fibe l’autorità esclusiva per la localizzazione delle infrastrutture e per l’acquisizione delle aree di stoccaggio e delle discariche per il Fos (frazione organica stabilizzata). Si lascia in questo modo ai privati un delicato ambito decisionale d’interesse collettivo. Tra la formulazione del bando di gara, l’assegnazione dell’appalto e la firma del contratto, vengono poste le condizioni per i disastri gestionali che avrebbero causato l’accumulo indiscriminato di Cdr (combustibile derivato dai rifiuti, le cosiddette eco-balle), i continui blocchi della raccolta e del conferimento di rifiuti e il sostanziale fallimento del piano regionale.

Secondo la ricostruzione dell’ingegnere Paolo Rabitti[2], perito della Procura di Napoli nei procedimenti giudiziari sui rifiuti campani, gli accordi tra commissariato e aziende affidatarie dell’appalto violarono sistematicamente l’ordinanza Napolitano[3], che nel 1998 aveva delineato i termini entro cui avrebbe dovuto essere affrontata la crisi dei rifiuti in regione.

La prima violazione si trova già nel bando di gara indetto dal commissariato, dimensionato per il trattamento di tutti i rifiuti prodotti in regione (pari, nel 2000, a 2.598.562 tonnellate annue, 7.500 al giorno) e non solo della parte residua della raccolta differenziata, e in cui sono assenti impianti di compostaggio. La seconda violazione è l’inserimento della formula deliver or pay, che impone ai comuni che utilizzano gli impianti di Fibe il conferimento di una certa quota di rifiuti o il pagamento di una penale, rendendo economicamente svantaggiosi gli sforzi di implementare riduzione e raccolta differenziata. La terza violazione si verifica cancellando dolosamente dal contratto le clausole che obbligano l’appaltatore a bruciare i rifiuti combustibili in altri impianti, a sue spese, fino al completamento dell’inceneritore; e quelle che limitano il materiale da bruciare alla metà dei rifiuti prodotti in regione. In questo modo, si apre la strada alla trasformazione in Cdr di tutti i rifiuti trattati da Fibe e all’accumulo in siti di stoccaggio delle eco-balle prodotte prima dell’entrata in funzione dell’inceneritore. È così che il commissario governativo si piega alle necessità della Fibe: accumulare Cdr, infatti, rappresenta la garanzia di profitti per l’appaltatore e per le banche che gli hanno fornito il prestito, in quanto, grazie agli incentivi Cip6[4], più rifiuti vengono bruciati più aumentano i ricavi. Inoltre, la conseguente necessità di approntare siti di stoccaggio per le eco-balle causa il proliferare di speculazioni sui terreni da affittare a tale scopo e l’infiltrazione della criminalità organizzata, che entra in affari direttamente con commissariato e aziende affidatarie[5].

Fibe, nonostante le condizioni contrattuali ottimali, non produrrà Cdr a norma[6] e frazione organica stabilizzata, non completerà gli inceneritori nei tempi previsti e ricorrerà alle discariche in misura molto maggiore rispetto ai piani iniziali. Tale stato di cose causerà il progressivo esaurimento delle discariche autorizzate presenti in Campania; la necessità di aprirne di nuove in aree protette o già sottoposte a rilevanti pressioni ambientali; il blocco dei conferimenti e il ciclico accumularsi dell’immondizia nelle strade di capoluogo e comuni della regione.

Nel febbraio 2005, all’apice di una delle crisi di raccolta, interviene la magistratura napoletana, disponendo il sequestro degli impianti di produzione di Cdr in seguito alla constatazione della loro inidoneità a trattare i rifiuti secondo quanto previsto nei contratti di appalto. Le evidenze raccolte costituiranno la base probatoria dei processi alla gestione emergenziale dei rifiuti in Campania. A risolvere formalmente il contratto con Fibe, interviene il governo con il decreto n. 245 del 2005, convertito in legge n. 21 del 2006, che dispone la rescissione salvo costringere le ormai ex affidatarie a perseverare nella gestione fino all’individuazione di un nuovo soggetto che prenda in carico l’esercizio degli impianti.

I processi alla gestione dei commissari

Districarsi nella serie di violazioni avvenute all’ombra del commissario all’emergenza rifiuti in Campania è arduo. In tutte le fasi, a diverso titolo, sono riscontrabili deviazioni dalle norme ordinarie e dai contratti stipulati, e non sono mancati momenti in cui l’intervento del governo ha sancito per decreto la liceità di talune condotte illegali[7], motivandole con lo stato d’emergenza. La stessa struttura commissariale, secondo le prove raccolte dalla magistratura napoletana e le analisi delle commissioni parlamentari, ha contribuito ad alimentare l’emergenza che avrebbe dovuto risolvere[8]. Il lavoro investigativo dei pubblici ministeri Giuseppe Noviello e Paolo Sirleo si è concretizzato nell’istituzione di almeno tre processi alla gestione commissariale e alla condotta delle affidatarie: quello cosiddetto Bassolino-Impregilo, il Rompiballe e il Marea Nera.

Iniziato nel 2007, il primo grande processo alla struttura commissariale e all’operato delle aziende affidatarie, il Bassolino-Impregilo, ha visto alla sbarra 28 imputati ai quali venivano contestati i reati di frode in pubbliche forniture, truffa e falso. Il procedimento prendeva in esame il periodo 2000-2004 dell’emergenza, e le principali imputazioni vertevano sui compensi faraonici per i funzionari, sui ritardi nella costruzione dell’inceneritore, sulle discariche fantasma proposte dalle aziende affidatarie, sullo stoccaggio illegale di eco-balle, sulla falsificazione dei risultati delle analisi e sugli impianti Cdr palesemente fuori norma.

Antonio Bassolino, principale imputato insieme ai vertici di Impregilo Piergiorgio e Paolo Romiti, era accusato di non aver contestato alla Fibe le inadempienze compiute e di non aver rescisso il contratto nonostante le affidatarie avessero violato i loro stessi progetti di gestione, causando così il perpetuarsi e l’aggravarsi della crisi, e ciò al fine di preservare i privilegi connessi allo stato d’emergenza. Il processo è terminato nel novembre 2014 con l’assoluzione di tutti gli imputati, quando molti dei reati contestati erano ormai caduti in prescrizione.

Gli esiti giudiziari dell’inchiesta Rompiballe, concernente la gestione emergenziale fino al 2007, sono stati rallentati da conflitti interni alla magistratura partenopea. Nel maggio 2008, 25 imputati sono stati rinviati a giudizio con diverse accuse, dal traffico illecito di rifiuti al falso ideologico in atto pubblico, dalla truffa aggravata ai danni dello stato all’associazione per delinquere. Tra gli altri, sono stati incriminati il prefetto Pansa, il capo della Protezione civile Bertolaso, la sua vice Marta Di Gennaro e alti dirigenti di Fibe. L’accusa principale contestava il trattamento dell’immondizia negli impianti Cdr di Fibe: i rifiuti venivano solo apparentemente lavorati e la frazione umida non era stabilizzata. Le eco-balle prodotte in tale regime erano semplicemente rifiuti triturati che producevano, in invasi non a norma, percolato e gas velenosi. A oggi, il processo Rompiballe non è stato ancora celebrato, mentre si avvicina la prescrizione per molti dei reati contestati.

L’inchiesta della magistratura denominata Marea Nera prende il nome dal percolato (il liquido inquinante prodotto dalla degradazione dei rifiuti organici) conferito presso gli impianti di depurazione della Campania durante l’emergenza su ordine dei funzionari del commissariato; tale liquido, secondo le indagini, veniva scaricato in mare senza subire alcun trattamento. Nei 41 avvisi di garanzia, figurano alcuni degli amministratori indagati nelle altre inchieste sulla gestione dell’emergenza, tra i quali gli imputati Pansa, Di Gennaro, Catenacci e Bassolino. I magistrati hanno ipotizzato l’esistenza di un accordo tra funzionari pubblici e gestori degli impianti di depurazione campani per smaltire tonnellate di percolato, pur nella consapevolezza che non solo il liquido non poteva essere filtrato dagli impianti, ma anche che questi erano malfunzionanti. Il processo è stato spostato a Roma nel 2014 ed è tuttora in corso.

Nonostante l’imponente mole di prove che dimostrano le omissioni e i reati compiuti da elementi cardine dell’organigramma del commissariato, a oggi nessuno è mai stato condannato per gli esiti disastrosi dell’emergenza rifiuti[9]. Tuttavia le responsabilità politiche di fatti incontrovertibili (come le montagne di eco-balle accatastate in regione, ancora in attesa di una soluzione) continuano a pesare sulla salute dei residenti e sull’economia agricola della Campania.

Conflitti e svolta autoritaria

Nel corso del 2007 le discariche disponibili per il conferimento giornaliero dei rifiuti si saturano progressivamente. Mentre in regione si impilano eco-balle in siti di stoccaggio e l’inceneritore non è ancora completato, l’immondizia si accumula nelle strade. Il governo Prodi interviene con il decreto n. 61 dell’11 maggio 2007, convertito in legge n. 87 del 5 luglio 2007, che individua quattro nuove discariche, autorizza la costruzione di due ulteriori inceneritori (a Santa Maria la Fossa e Salerno, oltre a quello di Acerra), apre all’impiego di mezzi dell’esercito per rimuovere la spazzatura e dispone il commissariamento per i comuni che non fanno partire la raccolta differenziata. Quasi contestualmente, il 27 giugno 2007, l’Europa avvia una procedura di infrazione contro l’Italia per il perdurare della situazione di emergenza in violazione delle direttive europee. L’invio di una frazione dei rifiuti campani verso la Germania fa rifiatare la regione[10], ma la situazione precipita quando in due dei siti da adibire a discarica secondo il decreto, Pianura e Chiaiano, monta la protesta delle popolazioni locali.

A Pianura si sarebbe dovuta riaprire la discarica di proprietà dell’azienda Di.fra.Bi. (acronimo dei cognomi dei gestori), adiacente alla più vecchia discarica comunale, che fu autorizzata, dal 1989 al 1993, a smaltire enormi quantità di rifiuti tossici, fanghi, rifiuti ospedalieri e scarti di lavorazione provenienti dall’Acna di Cengio[11]. Nel 1996, a seguito di proteste della popolazione esasperata dai miasmi, la Di.fra.Bi. fu chiusa e iniziarono i lavori di bonifica. Si è stimato che nei 41 anni di attività siano stati sversati tra i 35 e i 42 milioni di metri cubi di rifiuti di vario genere[12]. Già nel 2002 e nel 2004 si era tentato di riaprire l’invaso di Pianura. Nel 2002, manifestazioni degli abitanti lo impedirono. Nel 2004, un sito di trasferenza fu imposto attraverso l’intervento della polizia e rimase in funzione per alcuni mesi. Finché, a fine 2007, la proposta di riapertura della discarica scatena una violenta risposta della cittadinanza locale: guerriglia urbana, autobus incendiati e scontri con le forze dell’ordine si avvicendano a presidi, manifestazioni ed esposti al Nucleo operativo ecologico dei carabinieri. La reazione degli abitanti, supportata dai movimenti ambientalisti sorti negli anni dell’emergenza, impedisce la riapertura, sulla base di evidenze scientifiche che indicano il sito come non idoneo alla ricezione dei rifiuti. Un processo a carico dei tecnici deputati alla chiusura e messa in sicurezza della discarica si chiude nel 2014 con l’assoluzione di tutti gli imputati.

Alla caduta del governo Prodi, nel maggio 2008, succede il quarto governo Berlusconi, che tiene il suo primo consiglio dei ministri in una Napoli sommersa dalla spazzatura. In questa occasione viene approvato il decreto n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008, che rappresenta un inasprimento dello stato di eccezione legittimato dall’emergenza. In esso, si individuano dieci siti in cui realizzare altrettante discariche, dichiarandoli zone di interesse strategico nazionale; vengono introdotte pene più severe per chi si oppone ai piani del governo e si attribuisce a una super-procura presso il tribunale di Napoli la competenza esclusiva ai fini dell’accertamento dei reati ambientali commessi su tutto il territorio della Campania. Il decreto crea la figura del sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’emergenza rifiuti, assegnando l’incarico al capo della Protezione civile Bertolaso, già commissario nel 2006-2007. Da questo momento in poi, le aree adibite alla gestione dei rifiuti in Campania vengono presidiate da plotoni militari.

La legge n. 123/2008 conferma la scelta di Chiaiano per il conferimento di 700 mila tonnellate di rifiuti in tre anni. La discarica che dovrebbe riceverli è localizzata nella cava del Poligono, una cava dismessa all’interno della selva di Chiaiano, nel cuore del Parco metropolitano delle colline di Napoli. Già nel 2001, il progetto di sversare rifiuti organici nella cava si era scontrato con una forte protesta. La notizia della decisione di una nuova discarica suscita l’immediata mobilitazione dei cittadini. Viene stabilito un presidio permanente alla rotonda Titanic, sulla strada che conduce alle cave, luogo simbolo della protesta nei mesi e negli anni a seguire.

Nella notte tra il 23 e il 24 maggio 2008, gli scontri con la polizia provocano numerosi feriti tra i manifestanti[13]. Le negoziazioni tra governo e comitati raggiungono un punto morto dopo la visita alla discarica di esperti di entrambi gli schieramenti. Gli esperti dei comitati, infatti, rigettano sulla base di rilievi idro-geologici, chimici e ingegneristici la fattibilità della discarica[14], ma il commissario decide di procedere. Altre manifestazioni vengono gestite dal governo con l’invio di più polizia. Alcuni attivisti vengono arrestati e la discarica apre dopo 14 mesi di scontri.

Nel 2011 la discarica viene sequestrata e chiusa dalla magistratura per i numerosi illeciti riscontrati. Nel marzo 2014 le indagini della Direzione distrettuale antimafia sulla discarica di Chiaiano si concludono con 17 arresti, tra cui i vertici dell’azienda costruttrice e del gestore, e i componenti della commissione di collaudo, a cui viene contestato di aver favorito ditte collegate alla camorra e di avere eseguito i lavori senza rispettare i criteri di sicurezza ambientale.

Fine dell’emergenza e gestione attuale

Il 26 marzo 2009 il presidente del consiglio Berlusconi inaugura in pompa magna l’inceneritore con recupero di energia di Acerra, ma è solo l’inizio della fase di collaudo, e l’impianto impiegherà tre anni per andare a pieno regime, tra guasti e sforamenti delle emissioni oltre i limiti di legge.

Secondo gli accordi stipulati tra commissario e Fibe, l’inceneritore avrebbe dovuto essere consegnato entro 300 giorni dalla firma del contratto nel 2000. A causa dell’incapacità tecnica di Fibe e all’intervento del ministero dell’ambiente (che impose all’impianto 27 prescrizioni di adeguamento progettuale e tecnologico ai criteri di salvaguardia ambientale), e nonostante la deroga alla Valutazione d’impatto ambientale, il cantiere viene aperto solo nel 2004, a seguito della feroce repressione poliziesca di una delle prime manifestazioni di massa dei movimenti ambientalisti campani, proprio ad Acerra, il 29 agosto del 2004.

Grazie all’imposizione di due contestate discariche (a Terzigno e Sant’Arcangelo Trimonte), agli export di immondizia in altre regioni e all’estero con soldi pubblici, all’attivazione dell’inceneritore e all’impennarsi della raccolta differenziata richiesta a gran voce dai cittadini per un decennio, alla fine ufficiale dell’emergenza nel 2009 il commissario Bertolaso può affermare che la crisi è superata (contando sull’autonomia relativa di due anni, garantita dai volumi di conferimento disponibili). Tuttavia, ancora nel 2010 e fino all’inizio del 2011, i sacchetti tornano in diversi momenti a invadere le strade di Napoli. Il governo risponde con ulteriori deroghe, decidendo di conferire i rifiuti in aree già sottoposte a rilevanti pressioni ambientali: a Giugliano, Serre (Sa), Tufino e Chiaiano.

Terminata l’emergenza, il ritorno al regime ordinario ha lentamente ristabilito l’equilibrio delle competenze e i vincoli di legge. La più recente normativa italiana intervenuta a regolare il trattamento dei rifiuti è la legge n. 152 del 2006[15]. L’attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani, licenziato nel gennaio 2012, è modellato sulle direttive di tale legge. Una delle innovazioni, rispetto al periodo emergenziale, è l’obbligo della suddivisione della regione in cinque Ato, ambiti territoriali ottimali, coincidenti con le province, entro cui gli enti locali possono associarsi per attuare il servizio di gestione dei rifiuti in base a criteri di prossimità e autosufficienza. I costi sono coperti dal tributo comunale sui rifiuti pagato dai cittadini. Attualmente, le gestione in Campania si basa su un sistema integrato che contempla come prioritario un incremento costante della raccolta differenziata e del compostaggio, ma che ancora dipende dalla selezione meccanica dei rifiuti non differenziati attraverso sette impianti di trito-vagliatura (Stir), che sono poi indirizzati all’incenerimento con produzione di energia, inviati all’estero o conferiti in discarica.

Nel 2014 in Campania si sono prodotti poco più di 2.500.000 tonnellate di rifiuti urbani, circa 7 mila al giorno. Di questi, il 47,6% è stato differenziato e diretto a processi di recupero della materia (seguendo tre flussi: riciclabili, frazione umida e residuali), configurando la migliore performance per la raccolta differenziata tra le regioni del sud Italia[16]. Solo a Napoli si sono differenziati, nel 2014, il 41,9% dei rifiuti prodotti in città (600 mila tonnellate su 1.450.000 totali)[17]. Il panorama regionale della raccolta differenziata, tuttavia, è altamente diversificato, in quanto l’organizzazione dipende dalle singole amministrazioni.

L’unico inceneritore ereditato dalla gestione commissariale, l’impianto da 600 mila tonnellate/anno di Acerra, ha bruciato nel 2014 il 26,8% del totale dei rifiuti prodotti in regione[18]. Siamo ancora lontani da un’autonomia regionale in termini di gestione: nel 2013 la Campania ha esportato circa 526 mila tonnellate di rifiuti – 400 mila nel 2014 – verso impianti in altre regioni italiane e verso l’Austria e l’Olanda. Manca una capacità di trattamento della frazione organica, per la quale sono disponibili solo cinque impianti di compostaggio che lo scorso anno hanno trattato circa 60 mila tonnellate di rifiuti compostabili (per una produzione totale, derivante dalla raccolta differenziata, che supera le 650 mila tonnellate). Due discariche per rifiuti urbani, a Savignano Irpino (Av) e San Tammaro (Ce), hanno ricevuto nel 2014 quasi 120 mila tonnellate di rifiuti trattati negli Stir, e sono vicine all’esaurimento.

Restano da risolvere l’annosa questione del Cdr non a norma accatastato in vari siti di stoccaggio in regione (circa 5 milioni di eco-balle, tra 6 e 7 milioni di tonnellate di rifiuti speciali), le miriadi di micro-discariche di rifiuti disseminate nelle campagne, il ripristino ambientale delle discariche ormai chiuse o da chiudere, e gli aggiustamenti richiesti dalla Corte di giustizia europea nella sentenza emessa a luglio 2015[19]. Ma complessivamente la Campania sta approntando un ciclo dei rifiuti che, anche grazie all’incisività delle mobilitazioni popolari nel diffondere una cultura di gestione sostenibile, intercettata da alcuni amministratori eletti, potrebbe assestarsi e migliorare nel tempo.

[1] Nel 1990 il ministero dell’ambiente aveva rilevato che su 459 impianti di trattamento rifiuti presenti in Campania (in prevalenza discariche di prima categoria), 316 non avevano alcuna autorizzazione, mentre i carabinieri avevano accertato nello stesso anno che su 124 discariche pubbliche e private, 103 presentavano violazioni di legge (Legambiente, Rifiuti Spa, 2008, p. 9).

[2] Rabitti P., Ecoballe, Aliberti, Reggio Emilia, 2008, p. 192.

[3] Ordinanza ministeriale n. 2774 del 31 marzo 1998.

[4] La delibera n. 6 del 1992 del Comitato interministeriale prezzi, il cosiddetto Cip6, stabilisce una maggiorazione del 7% del prezzo d’acquisto dell’elettricità prodotta attraverso fonti rinnovabili da parte del Gestore servizi energetici, pagata direttamente dai consumatori finali attraverso la bolletta. La norma è stata pensata per garantire un profitto maggiore ai produttori di energia ricavata da fonti rinnovabili rispetto alle tradizionali fonti energetiche fossili e in tal modo incentivare la riduzione delle emissioni nocive per l’ambiente. Tuttavia, nella formulazione della norma, accanto all’espressione “energie rinnovabili” è stata aggiunta l’estensione “o assimilate”, la quale contempla le centrali termoelettriche, le produzioni di gas e carbone da residui di raffineria e gli inceneritori. I quasi 40 miliardi di fondi del Cip6 stanziati in questi anni sono così serviti per il 76% a finanziare le assimilate, e solo in minima parte a promuovere le vere energie rinnovabili (solare, eolico, geotermico e idroelettrico). La limitazione del Cip6 unicamente agli “impianti di incenerimento già realizzati e operativi”, contenuta nella legge finanziaria del 2006, è stata sorpassata dall’approvazione di norme a carattere emergenziale, come la legge n. 210 del 2008. La fine degli incentivi Cip6 si prospetta per il 2020.

[5] Sulla compravendita dei terreni e sui lavori di costruzione delle piazzole ha indagato la procura antimafia e se ne sono occupate diverse commissioni parlamentari. Ciò che emerge dall’analisi dei passaggi di proprietà e dalle dichiarazioni dei pentiti (soprattutto di Gaetano Vassallo, Domenico Bidognetti e Antonio Iovine) è un complesso rapporto di corruttela tra il clan dei Casalesi, i collaboratori del commissariato e la Fibe. Cfr. XV Legislatura, Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata, Relazione Conclusiva, 2008, p.86; XVI Legislatura, Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Relazione territoriale sulla Campania, 2013, p. 243-248; Capone N., Cuccurullo A., Micillo F. (a cura di), Allarme rifiuti tossici, Assise di Palazzo Marigliano, Napoli, 2006, p. 8; Capacchione R., L’oro della camorra, Bur, Milano, 2008, p. 13-16; Legambiente, Rapporto Ecomafia 2010, Edizioni Ambiente, Milano, 2010, p. 162.

[6] Il Cdr, per essere definito tale, deve rispettare determinate specifiche tecniche sancite per legge, tra cui il corretto potere calorico e la giusta umidità. In Campania, il Cdr prodotto dagli impianti Fibe, secondo quanto accertato dai magistrati napoletani, è risultato non conforme poiché troppo umido e contenente rifiuti ingombranti. Nel 2008, tutti gli impianti Cdr della Campania sono stati rinominati “stabilimenti di trito-vagliatura e imballaggio” (Stir).

[7] Rimarchevoli, in tal senso, le decisioni del governo Prodi uscente che, con ordinanza n. 3657 del 29 febbraio 2008, ha autorizzato lo smaltimento del Cdr non a norma nel costruendo inceneritore di Acerra e l’accesso per i gestori ai finanziamenti del Cip6; e gli effetti del decreto legge n. 90 del 23 maggio 2008, convertito in legge n. 123 del 14 luglio 2008, del governo Berlusconi, con cui si è autorizzato il conferimento in discarica di rifiuti pericolosi contraddistinti dai codici CER 19.01.11, 19.01.13, 19.02.05 e 19.12.11.

[8] XVI Legislatura, Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Relazione territoriale sulla Campania, 5 febbraio 2013, pag. 175 ss.

[9] Salvo le condanne pecuniarie comminate dalla Corte dei Conti a, tra gli altri, Antonio Bassolino, il quale dovrà risarcire 3,2 milioni di euro per aver istituito nel 2001 un call-center ambientale mai operativo, gestito dalla società Pan attraverso l’assunzione di un centinaio di lavoratori socialmente utili, e ulteriori 560 mila euro per l’assunzione di forza lavoro ridondante nel consorzio di bacino Napoli 5 (circa il doppio dell’effettiva necessità).

[10] Cfr. “Un inceneritore in Germania per bruciare i rifiuti di Napoli”, in Corriere della Sera del 28/12/2007.

[11] Bollettino delle Assise della città di Napoli e del Mezzogiorno d’Italia, anno 1, numeri 16-21, dicembre 2007 – gennaio-febbraio 2008, p. 54.

[12] Crescenti U., Relazione di consulenza tecnica nell’indagine ambientale sulla discarica Di.fra.Bi. presso Pianura, 2009.

[13] Cfr. “Chiaiano, tensione alle stelle. Berlusconi: «Andiamo avanti»”, in Corriere della Sera del 25/05/2008.

[14] Gli esperti designati dai comitati fanno parte dell’Assise di Palazzo Marigliano, un gruppo di intellettuali che ha fornito negli anni dell’emergenza pareri scientifici a sostegno delle tesi dei comitati. Una raccolta di documenti relativi al caso di Chiaiano è disponibile all’indirizzo www.napoliassise.it/specialechiaiano.htm.

[15] Meglio noto come Testo Unico Ambientale, rappresenta il provvedimento nazionale di riferimento in materia di valutazione di impatto ambientale, difesa del suolo e tutela delle acque, gestione dei rifiuti, riduzione dell’inquinamento atmosferico e risarcimento dei danni ambientali.

[16] Secondo la classifica stilata dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, contenuta in Ispra, Rapporto Rifiuti Urbani, n. 230, 2015, p. 494.

[17] Ivi, 2015, p. 496.

[18] Ivi, 2015, p. 106.

[19] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione europea, Comunicato Stampa n. 86/15, Lussemburgo, 16 luglio 2015 http://curia.europa.eu/jcms/upload/docs/application/pdf/2015-07/cp150086it.pdf.