Verso la città vesuviana

di Aldo Vella

Il territorio vesuviano è ovviamente condizionato nella morfologia (anche dal punto di vista geologico e idrologico), nel paesaggio, nella storia e nello sviluppo antropico dalla presenza del Vesuvio (m. 1281), circondato da ovest a est dalla cresta del Monte Somma (residuo dell’antico edificio vulcanico). Questo vulcano in quiescenza, con la sua attività ha conformato nel tempo tutta la piana campana. Dopo l’ultima eruzione del 1944, la ripopolazione botanica lungo i suoi crinali è avvenuta con grande rapidità avvicinandosi sempre più al cratere, grazie all’opera primaria dello stereocaulon vesuvianum, un lichene specifico del luogo, nonché a interventi di ripopolamento, in cui un posto preminente va alla pineta, alla lecceta, alla infestante robinia, alla ginestra, alle felci e alla valeriana, seguite da castagno, betulla, acero, carpino, orchidacee e varie erbe officinali e commestibili. Più scarsa la presenza faunistica (scoiattolo, gatto selvatico, astore, gufo reale, ghiro, topo quercino, moscardino, talpa, riccio, una decina di specie di rettili), in ripresa dopo l’istituzione del Parco Nazionale. La fertilità del suolo permette varie coltivazioni floricole (garofani, gladioli, crisantemi, rose, bocche di leone, iris e orchidee), ortofrutticole (pinoli, pomodorini – spongilli o spognilli –, friarielli, cavolfiori giganti, cipolla della regina, albicocca – la famosa crisommola –, ciliegie, susina pazza di Somma, arance e limoni) e viticole (il catalanesca, il piedipalomba, il greco del Vesuvio, il coda di volpe, il caprettone, l’aglianico, la falanghina). Dall’uva si ricava il Catalanesca, il Vesuvio e il celebre Lachryima Christi. Morfologicamente, la zona è caratterizzata da un sistema radiale di canali e alvei costituenti la sua struttura idrogeologica.

Figura 1

 

La Città Vesuviana

Si osserva qui (cfr. Figura 1) l’area compresa in un raggio medio di 10 km (facendo centro sul cratere). Ne risulta un territorio di circa 300 kmq che, per i suoi caratteri unitari, è oggi sinteticamente chiamato Città Vesuviana e che può suddividersi in due sub-regioni:

  1. la linea costiera occidentale;
  2. l’arco orientale del Somma e le prime propaggini nolana e sarnese.

Esse – pur appartenendo entrambe allo stesso sistema – hanno avuto e hanno caratteristiche ed evoluzione molto diverse: la A, caratterizzata dalla presenza del mare, delle Ville Vesuviane del Settecento con il Sito Reale e da una urbanizzazione intensiva fin dal secolo XIX; la B dalla ancor prevalente presenza agricolo-naturale, solo di recente investita da un significativo fenomeno di antropizzazione. In particolare, l’elezione della fascia litoranea a sito reale (1738) voluta da Carlo di Borbone determinò il fenomeno delle ville vesuviane del Miglio d’Oro, che, con gli scavi archeologici di Ercolano e Pompei (1738-1780), l’Osservatorio Vesuviano (1841) e la Ferrovia Napoli-Portici (1839), è uno dei giacimenti culturali più interessanti d’Europa.

Conseguentemente diverso è stato lo sviluppo delle due parti orientale e occidentale e il loro attuale assetto:

sub-regione A (costiera): struttura urbana lineare lungo la costa e nebulare nell’hinterland, le quali hanno nel tempo inglobato villaggi, torri difensive, chiese, conventi, grandi contenitori (come la stessa Reggia di Portici);

sub-regione B (sommese): andamento delle rete stradale radiale (spesso su vecchi alvei) e circolare; corona di centri urbani ancora ben distinti, distribuiti con maglia circolare intorno al Somma.

Conseguenti sono le differenze di caratteri, tradizioni, economie. La forte individualità dei centri dell’arco sommese – da Cercola, Trocchia, fino a Terzigno –, la capacità di questi centri di conservare identità sono note, come anche il rapporto più distaccato con Napoli. Infatti, il vero oggetto di colonizzazione post-bellica della metropoli è stato la fascia litoranea, anche per la facilità di raggiungerla per mare e per un sistema di trasporti collettivi già maturo (Circumvesuviana, Ferrovie dello Stato, strada delle Calabrie, autostrada, la pedemontana via Benedetto Cozzolino). Ma questo fenomeno di antropizzazione rapida ha i suoi precedenti storici: la colonizzazione cinquecentesca (viceré Don Pedro di Toledo) e quella settecentesca (Miglio d’Oro). È singolare come tutti e tre i fenomeni siano derivati da un “esodo dalle campagne”, quindi da un corrispondente spopolamento delle zone interne della Campania.

Figura 2 

 

Urbanistica, economia, società

Il diverso sviluppo demografico di A e B (che è anche indice di quello urbanistico) può facilmente desumersi dai grafici relativi a due comuni-campione (Figura 2). È fin troppo evidente che, mentre storicamente la sub-regione A ha subìto forti incrementi, quella B si è mantenuta piuttosto stabile; inoltre, nell’ultimo decennio il fenomeno si è invertito: per esempio, Portici e San Giorgio a Cremano (A) vanno a un ritmo di decrescita annua di circa 1.000 abitanti ciascuno, mentre San Giuseppe Vesuviano (B) li va guadagnando. È evidente che, esauritosi l’effetto-Napoli sulla fascia costiera, l’attenzione si è rivolta alla cintura metropolitana più estesa: prima Volla e Cercola, poi Sant’Anastasia, San Giuseppe Vesuviano e contermini. Il bilancio demografico risulta oggi complessivamente negativo: si è passati dagli 800 mila abitanti del 1991 agli attuali 700 mila circa, con una tendenza generale annua pari a circa –1,5%, non compensata dalla crescita media dei comuni interni, di poco inferiore all’1%. Nulla fa presagire un’inversione di tendenza nel prossimo decennio, sicché possiamo prevedere che la popolazione totale residente scenderà al di sotto dei 600 mila abitanti entro il 2026.

C’è da considerare, inoltre, la differente composizione sociale delle due sub-regioni, sebbene tendano lentamente a uniformarsi. Le coppie giovani, che il boom edilizio aveva condotto nella zona costiera in cerca di alloggio, hanno per un trentennio mantenuto un equilibrio tra le fasce di età e di lavoro. La senescenza generale e la fuga dei giovani in cerca di lavoro ha oggi determinato uno squilibrio di classi d’età a favore degli anziani; inoltre il tasso di mortalità supera quello di natalità, per cui l’impoverimento non è soltanto numerico ma di qualità produttiva. Si aggiunga che la crisi economica e la tendenza alla crescita abnorme del terziario impiegatizio e commerciale ha ridotto di molto le attività propriamente produttive (manifatturiero e industriale), sicché ci si trova di fronte a un’enorme fascia di consumatori che grava su un altrettanto enfatizzato sistema commerciale. Un sistema, molto presente nella fascia costiera e che per sintesi chiameremo “quaternario” (in quanto successivo al terziario), caratterizzato da una maggioranza di popolazione non lavorativa e senescente; esso non tarderà a crescere anche nella zona interna, con conseguente riduzione del terreno coltivabile a favore dell’urbanizzazione e delle attività di trasformazione: è una preoccupante spia di una progressione senza accenni a controtendenze.

Problemi e prospettive

Il fenomeno del quaternario fa soffrire l’economia ma anche l’ambiente, il paesaggio e il patrimonio storico-architettonico (ville vesuviane settecentesche nella zona A, casali cinque-seicenteschi nella B), ormai assediati e in gran parte in forte degrado.

Le città costiere stanno oggi tentando una lenta ripresa (recupero del litorale, disinquinamento del mare, riqualificazione urbana), anche sul piano culturale (Mozart box a Portici, premio Troisi, Ethnos, festival delle ville vesuviane, palio di Somma, San Giorgio teatro festival). Ma, all’indomani dell’inclusione di questo territorio nella troppo vasta e indifferenziata città metropolitana, manca ancora una regìa complessiva d’investimento sulla qualità della vita che rimetta in moto, per esempio, il parco nazionale e il consorzio delle ville vesuviane (istituiti rispettivamente nel 1991 e 1971), che non hanno finora contribuito significativamente al recupero del territorio, nonostante nel 1997 abbiano ottenuto l’inserimento nella prestigiosa Rete delle riserve di biosfere Mab-Unesco.

Premessa indispensabile a una rinascita complessiva è la ripresa delle infrastrutture e dei servizi: la Circumvesuviana (l’ex fiore all’occhiello tra tutte le ferrovie secondarie italiane) e il tratto metropolitano costiero delle FF.SS. mancano degli investimenti necessari per una maggiore efficienza e regolarità quali parti di un sistema metropolitano; il tratto periurbano dell’autostrada Napoli-Pompei, nonostante la creazione della terza corsia non riesce – com’era prevedibile – a far defluire il traffico, che andrebbe distribuito anche sul tratto orientale della Caserta-Nola-Salerno; la SS 268 è divenuta una delle strade campane più pericolose. Per dire solo del sistema di trasporti che dovrebbe essere a servizio efficiente dell’enorme pendolarità giornaliera, lavorativa nonché turistica. Inoltre, risolto il problema dei rifiuti solidi, non su tutto il territorio si è risolto quello dello smaltimento delle acque nere e delle reflue provenienti specie dai crinali del Vesuvio. Infine, dopo un primo non perfetto intervento sull’educazione al rischio vulcanico e il varo di un più volte riscritto piano di evacuazione non del tutto realistico, l’informazione e la formazione alla cultura del rischio si è fermata almeno da un decennio, ricomparendo sotto forma di paura alle rare comunicazioni scientifiche, talora discordi, sulle attività del vulcano, con l’unico risultato di una caduta del mercato immobiliare, improvvisa quanto temporanea.

Si tratta, dunque, di rendere organici e funzionali pezzi di una possibile città circolare-lineare da 700 mila abitanti, diversamente colpita da una crisi di quantità, che oggi è in crisi di qualità funzionale e culturale; le manca, cioè, il respiro di un grande sistema urbano consapevole e capace di autodeterminarsi, una politica comune tra le città vesuviane che inquadri e moltiplichi l’effetto benefico di una serie di iniziative pubbliche scollegate, sebbene piene d’intenzioni, specie sul piano delle infrastrutture, dei servizi e della valorizzazione dei beni culturali. La più probabile grande occasione – sebbene indotta – potrà essere la riqualificazione della contermine area orientale (Napoli est), che è da anni sui blocchi di partenza in attesa della chiusura della questione Bagnoli. C’è da rimarcare, in compenso, una ripresa dell’imprenditoria locale che, nonostante il fallimento del Patto territoriale del Miglio d’Oro e della successiva Tess-Costa del Vesuvio Spa, tende a riprendersi un ruolo centrale in nuovi spazi non invasivi sul piano ambientale. Tutti auspici di un nuovo Rinascimento?