Sulla riqualificazione ambientale e urbanistica di Bagnoli

di Massimo Di Dato

A circa un quarto di secolo dalla chiusura dell’Italsider, che ha sancito la dismissione definitiva dello storico polo industriale di Napoli ovest, la riqualificazione ambientale e urbanistica di Bagnoli si presenta tanto ingarbugliata nel suo divenire quanto incerta negli esiti. L’area un tempo occupata dalle fabbriche di acciaio e cemento doveva costituire un fattore strategico per innescare la trasformazione della zona flegrea in spazio per il sapere e il tempo libero; tuttavia, malgrado il tempo trascorso e le ingenti risorse pubbliche impiegate, è ancora un cantiere. Perché? È possibile che una ricognizione efficace su questa vicenda potrà avvenire solo quando essa giungerà a un qualche esito. In attesa che la nottola di Minerva spicchi il volo, cerchiamo di fare il punto su questa storia, formulando alcune domande e tentando di rispondervi.

Un’incerta trasformazione

L’oggetto di queste note, pur comprendendo le vicende relative al territorio cittadino normato dalla variante al piano regolatore (Prg) per la zona occidentale e dal piano urbanistico attuativo (Pua) Bagnoli-Coroglio, è costituito principalmente dalle trasformazioni che interessano le ex aree industriali (Italsider, Eternit, Cementir, Federconsorzi) e il litorale che va da Nisida a La Pietra, ossia quelle del Sito di interesse nazionale (Sin) sul quale si concentrano sia gli interventi di bonifica che quelli di ristrutturazione urbanistica[1].

A che punto è la bonifica? Per quanto riguarda i suoli delle ex Italsider ed Eternit, le ultime comunicazioni ufficiali di Bagnolifutura, che risalgono a ottobre 2012 e dichiarano compiuto il 65% dell’intervento, ricalcano la scheda di aggiornamento pubblicata nel luglio 2010[2]; a quella data risultavano tuttavia certificate dalla Provincia solo il 45% delle aree, la stessa percentuale attestata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo rifiuti nel suo rapporto del dicembre 2012 dedicato alle bonifiche[3]. In sostanza, Bagnolifutura giudicava che, oltre alle aree bonificate e certificate, sussistesse un 20% di aree bonificate, anche se non ancora certificate. Tuttavia l’indagine avviata nel 2007 dalla magistratura di Napoli, culminata con il sequestro di una parte consistente dei suoli oggetto di bonifica[4], e il processo in corso per truffa, disastro ambientale, smaltimento illecito di rifiuti, falso ideologico e favoreggiamento[5], mette in dubbio la correttezza degli interventi effettuati.

Una nuova caratterizzazione delle aree sequestrate, secondo disposizione del giudice per le indagini preliminari, sarà effettuata dagli istituti pubblici Sogesid e Ispra, con 1,2mln di euro, nell’ambito delle attività normate da un Accordo di Programma Quadro (Apq) firmato da ministero dell’ambiente e comune di Napoli, che ne prevede anche la messa in sicurezza[6]. Il provvedimento include la messa in sicurezza della colmata, compresa nelle aree sequestrate: la colmata è esclusa dal piano di bonifica affidato a Bagnolifutura ed è parte delle aree litoraneo-marine sottoposte all’intervento del ministero dell’ambiente. Qui la bonifica non è mai iniziata, se si escludono alcuni interventi sulle spiagge, mai terminati[7]. Nessuna bonifica anche nell’area Cementir, dove la proprietà sostiene di aver effettuato una messa in sicurezza delle strutture e dei materiali di amianto[8]. Il risanamento dell’area ex Federconsorzi spettava alla fondazione Idis-Città della Scienza, che nel 2009 ha visto approvare il proprio piano di bonifica presentato l’anno prima al ministero dell’ambiente e nel 2010 ha comunicato alla Provincia di aver terminato i lavori; malgrado il certificato definitivo di bonifica non sia mai stato emesso[9] (pare per ragioni burocratiche), la struttura inaugurata nel 1996 accoglie ogni anno migliaia di visitatori. Oggetto di caratterizzazione e possibile bonifica dovrebbero essere anche le aree dell’ex Arsenale militare e quelle delle Ferrovie dello Stato, incluse nel Pua e, fino al 2014, anche nel Sin di Bagnoli-Coroglio.

Parte degli interventi edilizi previsti dal Pua sono stati realizzati: la Porta del Parco (un centro benessere con annesso auditorium), il Turtle Point (un acquario tematico), il Parco dello Sport, la ristrutturazione del Pontile Nord (nelle sezioni superiori); è stata inoltre avviata la realizzazione di un settore del Parco Urbano e delle relative infrastrutture viarie. Tuttavia, a parte il pontile, nessuna di queste opere è entrata in funzione: l’auditorium e gli spazi aperti della porta del parco hanno aperto occasionalmente per eventi, ma la caffetteria e il centro benessere (assegnati in gestione) sono chiusi; il parco dello sport, l’opera socialmente più significativa, risulta affidato in concessione ma non è stato mai collaudato ed è coinvolto nei problemi di bonifica rilevati dalla magistratura; il turtle point, in gestione alla Stazione Zoologica Dohrn, non è mai stato aperto al pubblico. Molte di queste strutture hanno subito danni di una certa entità per furti e atti di vandalismo oppure per l’azione degli agenti naturali, dovuti alla scarsa sorveglianza e manutenzione seguite al sequestro giudiziario delle aree.

Uno sguardo generale all’area di Bagnoli e Fuorigrotta rileva negli ultimi vent’anni numerose trasformazioni a macchia di leopardo, spesso lente e di piccola entità, generalmente ignorate dalle descrizioni giornalistiche che preferiscono focalizzare l’attenzione sugli insuccessi del Pua e dipingere, per il resto, un territorio immobile. Ma già soltanto la chiusura delle industrie e l’approvazione dei nuovi strumenti urbanistici hanno determinato un forte aumento dei valori immobiliari di Bagnoli, con il possibile innesco di processi di gentrificazione[10].

La fisionomia della zona viene anche ridisegnata da una serie di trasformazioni funzionali, ristrutturazioni e nuovi interventi edilizi (piccoli complessi abitativi sorti lungo via Campegna; sede della Facoltà d’Ingegneria a via Nuova Agnano; strutture ricettive di taglia medio-piccola su via Diocleziano-Nuova Bagnoli, dove si è recentemente insediato anche il consorzio Area Tech Coroglio; cinema multisala Duel ad Agnano). Particolare attenzione meritano due direttrici: la linea di costa Bagnoli-Coroglio e l’asse ex Nato-Mostra d’Oltremare. La prima è interessata dalla rapida proliferazione di attività commerciali legate all’intrattenimento musicale, la balneazione e l’elioterapia, la ristorazione; caso a parte è l’insediamento di Città della Scienza, centro di divulgazione scientifica e incubatore d’impresa realizzato sul litorale di Coroglio, nell’ex fabbrica di prodotti chimici della Federconsorzi[11]. La seconda direttrice vede una trasformazione più lenta: l’avvio del recupero di parte della Mostra d’Oltremare (dove alla riapertura di una serie di strutture, come la piscina olimpionica, la fontana dell’Esedra, l’Arena Flegrea o il Teatro dei Piccoli, fanno riscontro le incerte vicende di Zoo, Edenlandia ed ex Cinodromo) e la realizzazione lungo viale Giochi del Mediterraneo di tre grandi attrezzature per il tempo libero (cinema multisala Med, PalaBarbuto, palestra Virgin). Agli estremi di quest’asse si pongono due aree la cui trasformazione è ancora incerta: l’ex collegio Costanzo Ciano a ovest[12], lo stadio San Paolo a est.

La direzione di questi mutamenti progressivi è quella indicata dal piano urbanistico, ossia un’area dedicata al tempo libero; quasi che la città privilegi lenti processi incrementali, atti ad aggirare i problemi anziché risolverli, più che compatte operazioni di trasformazione.

Un piano senza i piedi per terra?

A cosa è dovuto questo magro consuntivo? Molte critiche, provenienti sia da ambienti politico-imprenditoriali che universitari e professionali, si sono appuntate sugli strumenti urbanistici che normano l’area. Il modello sostenuto da Vezio De Lucia, assessore all’urbanistica della prima giunta Bassolino nei primi anni Novanta, e sostanzialmente proseguito dai suoi successori, viene accusato di essere rigido, viziato da dirigismo statalista, gravato da troppi vincoli ambientali e scarsamente aperto agli interessi di mercato. Questa impostazione avrebbe determinato l’adozione di soluzioni inadeguate, allontanando dall’area gli investimenti privati. I rilievi sull’insostenibilità economica del piano si sono concentrati sia sulla decisione di affidare bonifica e riqualificazione a una società per azioni a totale capitale pubblico[13], sia su alcune scelte di merito, come quelle riguardanti il parco urbano (ritenuto sovradimensionato e privo di attrattori economici), la dislocazione dei volumi edificabili (gli alberghi senza vista panoramica e lontani dal mare, residenze e attività produttive a ridosso di un rione négligé come Cavalleggeri d’Aosta), il porto turistico (sottodimensionato e mal collocato), la mancata valorizzazione turistica di Nisida, il centro congressi (ridondante e/o sovradimensionato)[14].

Cosa c’è di fondato in queste critiche? Il “piano De Lucia” è stato davvero così chiuso al dialogo? È così economicamente insostenibile, come ancora oggi affermano diversi economisti e urbanisti? Oppure hanno ragione gli studi economico-finanziari commissionati dal comune di Napoli, che, pur con molti distinguo, ne hanno sempre attestato la sostanziale fattibilità[15]? Non è facile dare una risposta univoca, considerata la complessità di un intervento protrattosi per un lungo arco di tempo, che ha visto modificarsi diverse delle variabili considerate[16] e determinato contraccolpi sui bilanci dell’operazione[17]. Certamente è prevista una mole notevole di attrezzature collettive, la cui realizzazione ricade in gran parte sulle casse pubbliche[18]. Se tuttavia alcuni dei rilievi in questione colgono effettive debolezze e ambiguità del piano[19], si ha l’impressione che la maggior parte risulti forzata da ideologismi o interessi di parte[20].

Pur non promuovendo uno scenario di massima valorizzazione economica dei luoghi, gli strumenti urbanistici cercano un compromesso, non privo di contraddizioni, tra interessi economici, necessità ambientali ed esigenze sociali[21]. Il modello adottato pone alla sua base il recupero della rendita fondiaria alla mano pubblica, la quale definisce gli obiettivi di piano, contrapponendosi alla concertazione tra pubblico e privato propria dell’urbanistica contrattata. Se i limiti a cui va incontro questo tipo di piano costituiscono un nodo critico, in un contesto egemonizzato da interessi capitalistici e retoriche di mercato globale, non è detto che il suo scioglimento debba avvenire accettando “realisticamente” l’orizzonte neoliberista[22]. A Bagnoli, un certo furore ideologico ha portato a considerare determinati eventi come “prove evidenti” della mancata profittabilità del piano. È il caso dei ripetuti fallimenti dei bandi di gara per la vendita dei suoli edificabili su via Nuova Bagnoli[23], i quali dimostrano invece che il piano non ha avuto neanche la possibilità di essere messo alla prova, venendo a mancare il necessario presupposto del risanamento ambientale. Il problema, prima e più che la posizione poco panoramica degli alberghi, era che nessun imprenditore avrebbe acquistato suoli di cui doveva accollarsi il completamento della bonifica[24], collocati in un’area-cantiere anch’essa non bonificata e priva di infrastrutture, nell’incertezza di come e quando si sarebbe completata la riqualificazione della zona[25].

Si potrebbero fare altri esempi di opere ostacolate da ragioni diverse da una presunta scarsa redditività: una bonifica scorretta (il parco dello sport); l’errata formulazione dei bandi di gara (il porto turistico[26], la rimozione della colmata); il mancato rispetto di regole e vincoli paesistico-ambientali (il Polo tecnologico ambientale[27]). Il problema si sposta quindi sulla complessità dell’intervento, il coordinamento di attori, risorse e tempi (vero disincentivo agli investimenti, in quanto fonte di rilevanti incertezze); e, in primo luogo, sulla bonifica, precondizione all’operatività di qualunque piano di riqualificazione urbanistica: quanto costa? chi la paga? chi ne beneficia?

La bonifica: chi inquina non paga, incassa

Il primo piano di bonifica per le aree dismesse ex Italsider ed Eternit viene predisposto dall’Ilva Spa in liquidazione e approvato con delibera Cipe del 20 dicembre 1994. La spesa prevista è di circa 354mld di lire, a cui l’Ilva aggiunge il valore residuo del capitale investito in beni (edifici, macchinari, materiali di risulta) che andranno smontati, demoliti e rottamati, stimato in 155mld. In tutto, 509. L’Ilva fissa il suo contributo a 238mld, sommando i sopraddetti 155 ad altri 83 che aveva già preventivato di spendere per le attività di smontaggio e rottamazione[28]; restano 271mld, da coprire con finanziamenti pubblici. Il piano Ilva, al netto di qualche aggiustamento, viene finanziato con la legge 582 del 1996: il costo è ora di 343,1mld, di cui 81,6 a carico dell’Iri e 261,5 dello stato[29]. I lavori sono affidati alla Bagnoli Spa, società costituita dall’Iri, reimpiegando nelle attività di bonifica 569 operai dell’Ilva in liquidazione e di altre ditte collegate, rimasti fuori dal piano di prepensionamenti.

Il problema non è solo che lo stato si accolla tre quarti delle spese di bonifica, malgrado dichiari di applicare il principio del “chi inquina paga”[30]; questo intervento si rivelerà presto insufficiente, avendo stimato l’inquinamento delle aree su base puramente presuntiva ed essendo intervenute diverse modifiche alla legislazione ambientale che rendono più onerosa l’operazione[31]. Dal 1996 al 2002 la Bagnoli Spa smantella impianti ed edifici, rimuove i residui di lavorazione e realizza la caratterizzazione del sito ma bonifica poco o nulla (tra le poche operazioni attuate, la messa in sicurezza provvisoria della falda e la rimozione dei materiali di cemento-amianto presenti in superfice nell’area Eternit)[32].

“La bonifica vera e propria, quella dei terreni, non è mai stata fatta”, afferma nel 2002 Carlo Borgomeo[33], amministratore delegato di Bagnolifutura, la Spa pubblica costituita quell’anno dal comune per acquisire i suoli, completare la bonifica e realizzare la riqualificazione urbanistica secondo le prescrizioni del Pua in preparazione[34]. Occorrerà quindi un nuovo piano di bonifica, predisposto dalla Bagnoli Spa, che stima in 250mld di lire i costi di completamento; il relativo finanziamento statale, previsto dal disegno di legge 3833 del 1999, viene poi ridotto a 150mld di lire dalla legge 388/2000 (per l’opposizione di Lega e destra). Il piano sarà quindi rivisto da Bagnolifutura, subentrata nella bonifica alla società dell’Iri, e approvato con decreto interministeriale il 31 luglio 2003: ora include la rimozione della colmata a mare e prevede una spesa di 15 milioni di euro[35].

L’Iri viene quindi sgravata dall’obbligo di rimuovere la colmata, caricato sulle casse pubbliche, né si contempla la bonifica del mare; ma non è il solo favore che gli viene fatto. La 388/2000 ridefinisce anche le modalità con cui il comune potrà esercitare il diritto di prelazione per l’acquisto dei suoli, già previsto dalla 582/1996 in forma alquanto vaga. Adesso l’Iri si vede riconoscere un risarcimento di 79mld di lire, malgrado sia chiaro che il valore effettivo dell’area è nullo o addirittura negativo[36]; tuttavia la holding pubblica contesta i criteri di stima dell’Ufficio tecnico erariale (Ute)[37] e impugna anche le modalità con cui il comune ha acquisito le aree (incassando, su questo punto, una sentenza favorevole del Tar). La vicenda si trascinerà fino al 2005-2006, quando verrà siglato un nuovo accordo che stabilisce un prezzo di 69mln di euro, da corrispondere entro un anno e mezzo, più gli interessi legali[38]. Fintecna, erede dell’Iri in via di liquidazione, ottiene anche una sorta di malleva che la esonererebbe da ogni responsabilità giuridica per i danni ambientali e altri oneri generati dalle sue industrie nell’area.

Da questa intricata ricostruzione, emerge che le società dell’Iri sono state sostanzialmente sgravate dagli oneri di bonifica gravanti sui suoli di loro proprietà, come pure sulle aree limitrofe inquinate dalle attività industriali. Il risanamento ambientale è ricaduto sulle casse pubbliche, le quali hanno dovuto sostenere costi crescenti man mano che si precisava l’entità della compromissione ambientale[39]. Malgrado questo, Fintecna si è vista riconoscere un sostanzioso indennizzo per suoli inquinati[40]. Inoltre l’affidamento diretto dei lavori di bonifica a società dell’Iri, le ha consentito di utilizzare il finanziamento pubblico per gestire il personale in eccesso escluso dagli ammortizzatori sociali e amministrare gli appalti in deroga alle norme per i lavori pubblici[41]. Nella vicenda hanno giocato la volontà governativa di salvaguardare i bilanci delle società dell’Iri in via di privatizzazione[42], come pure la ricollocazione degli operai dell’ex Italsider (con cui si è acquisito il consenso del sindacato e la sua sostanziale acquiescenza sugli esiti della vicenda)[43] e probabilmente una trattativa generale sulle partite urbanistiche che tra il 1995 e il 2005 vedevano coinvolte le società dell’ex Iri a Napoli[44].

Certo è che il comune ha rinunciato a valersi di una carta importante, quella di denunciare l’Iri per danni ambientali, preferendo una trattativa dagli esiti apparentemente più sicuri[45]. Di fatto, l’onere da corrispondere a Fintecna graverà come una spada di Damocle sul bilancio della Bagnolifutura e sarà proprio l’arma con cui un decennio più tardi verrà dato il colpo di grazia alla moribonda società di trasformazione urbana, impanatasi nelle difficoltà della bonifica[46].

Infatti, le soluzioni previste dall’accordo di programma del 2003 troveranno difficile attuazione, malgrado le semplificazioni normative introdotte dal decreto ministeriale dell’agosto 2005 per il conferimento di materiali in discarica: le vie individuate dal comune per confinare i residui della bonifica risulteranno alfine impraticabili, come anche il tombamento dei materiali di colmata nel nuovo terminal container che l’Autorità portuale intendeva realizzare sulla Darsena di Levante[47]. Questo determinerà ritardi nei lavori di bonifica e un complicato contenzioso con la ditta appaltatrice, la De Vizia Transfer, che troverà soluzione solo nel 2006, quando una variante al piano di bonifica autorizza il recupero in sito dei rifiuti[48] (l’anno dopo anche per la colmata viene adottata una soluzione differente). Ma proprio a partire da questa variante il processo di bonifica, che avrebbe dovuto esserne rilanciato, subisce un intorbidamento. Da un lato il ruolo della Bagnolifutura appare ridimensionato rispetto alle previsioni del 2001, data la scelta di rinviare sine die l’ingresso di soci privati e limitare la sua azione alla valorizzazione dei suoli[49]. Dall’altro, la stessa Bagnolifutura inizia a realizzare le attrezzature urbane in parallelo alle opere di risanamento[50], aumentando il suo impegno tecnico-finanziario e finendo per annaspare dietro difficoltà crescenti, alle quali tenta di sopperire con modalità che finiranno nel mirino della magistratura contabile e ordinaria[51].

Le scadenze non rispettate si susseguono alle promesse di rilancio[52], senza che i problemi insorti nel corso delle operazioni e il modus operandi della società di trasformazione urbana divengano oggetto di verifica pubblica. Gli obiettivi di bonifica subiscono diversi cambiamenti, proprio a partire dalla variante 2006, miranti a semplificare le lavorazioni e ridurre i costi delle attività, anche caricandone una parte sugli appalti per le attrezzature urbane[53]. Intanto, si cerca di anticipare la commercializzazione dei suoli edificabili lungo via Nuova Bagnoli ed elevarne l’appetibilità (aumentando le cubature residenziali a scapito di quelle terziarie[54] ma anche spingendo sull’attuazione dei progetti localizzati nelle aree contermini, come il porto turistico[55] e il polo tecnologico ambientale[56]). Tuttavia, tra il 2010 e il 2011, con una situazione finanziaria estremamente critica[57], si bloccano i lavori per quasi tutte le opere[58]. È uno stallo da cui la Bagnolifutura non si riprenderà più, malgrado i goffi tentativi di rianimazione praticati dalla giunta arancione guidata da Luigi de Magistris (“Abbiamo riesumato un cadavere”, dirà il neosindaco!), che succede nel 2011 alla stagione ventennale del centrosinistra. Piuttosto che concretizzare le promesse di discontinuità avanzate durante la campagna elettorale, la nuova amministrazione riprende la precedente politica di annunci ed espedienti[59],  fino al maldestro tentativo di utilizzare l’attenzione del governo centrale per la ricostruzione di Città della Scienza al fine di contrattare il rifinanziamento della bonifica[60].

Non mancano alcune prese di posizione controcorrente, come l’ordinanza sindacale che intima a Fintecna di predisporre la messa in sicurezza e rimozione della colmata[61], sulle quali l’amministrazione non riesce tuttavia a impostare una vera campagna politica, rimanendo isolata di fronte alla prevedibile reazione della holding pubblica[62]. Invece con l’articolo 33 dello Sblocca Italia l’esecutivo Renzi avocherà a sé la pianificazione degli interventi ambientali e urbanistici su Bagnoli, realizzando il compimento di vent’anni di tentativi per imporre alla città un governo eterodiretto dell’area[63]: progettazione ed esecuzione di un nuovo intervento sono delegate a una struttura tripartita, costituita da un commissario governativo, una cabina di regia (che include, oltre alla presidenza del consiglio e i ministeri interessati, gli enti locali in funzione consultiva), un soggetto attuatore (l’agenzia governativa Invitalia). Le aree di Bagnolifutura vengono trasferite a una Spa costituita ad hoc da Invitalia, corrispondendone il valore ai creditori della Stu (Fintecna, banche, aziende appaltatrici) sotto forma di azioni o titoli finanziari rimborsabili con i profitti delle operazioni immobiliari che essa attuerà. Lo scopo è la valorizzazione economica del lungomare con un invasivo insediamento turistico-portuale (obiettivo esplicitato nelle prime bozze del decreto e poi prudentemente defilato), derogando sia alla Costituzione che alla legislazione urbanistica e ambientale.

Limiti e ambiguità della riqualificazione

Quanto detto apre alcuni interrogativi, a partire dal ruolo svolto da Bagnolifutura. La società di trasformazione urbana nasceva con un duplice scopo: adottare forme gestionali di tipo privatistico, considerate più efficaci ed efficienti di quelle pubbliche, e coinvolgere investitori privati al progetto complessivo di riqualificazione dell’area, attraverso l’acquisto di azioni della società. Nessuno di questi obiettivi si è realizzato. L’incertezza della trasformazione urbana, legata in primis al complesso procedimento di bonifica del sito, ha portato a differire l’ingresso dei privati nel capitale sociale della Stu finché non fosse stato raggiunto un adeguato stato di avanzamento del progetto. Di fatto, essendo nel tempo venuta meno l’originaria impostazione “imprenditorialista” della prima giunta Bassolino[64], Bagnolifutura ha finito per svolgere il ruolo di stazione appaltante, operando con finanziamenti pubblici e prestiti bancari a valere sul capitale sociale (i suoli conferitigli dal comune). Viene quindi da chiedersi se le sue attività non sarebbero state meglio assolte da un’azienda propriamente pubblica, tanto più che la Stu si è dimostrata uno strumento poco trasparente e addirittura inadeguato a svolgere determinati compiti[65]; anche la proprietà dei suoli, oggi a rischio per il procedimento fallimentare, sarebbe stata meglio salvaguardata mantenendoli in mano comunale come patrimonio indisponibile e prevedendone la semplice cessione in diritto d’uso anziché la vendita[66].

Un altro dubbio attiene la decisione del comune di attuare in proprio la seconda fase della bonifica, pur mancando di specifiche competenze tecniche e nell’incertezza di tempi e costi di realizzazione, piuttosto che lasciarla in capo al ministero dell’ambiente. È comprensibile l’esigenza di sottrarre un’operazione così importante al controllo del governo (che in più occasioni ha tentato di ingerire nella potestà di pianificazione comunale), anche per ottimizzare il rapporto tra bonifica e piano attuativo; si può altresì presumere che nella scelta abbia pesato il meno nobile intento di gestire i relativi finanziamenti pubblici e utilizzare la Stu come strumento clientelare di potere politico.

Altri interrogativi riguardano la strutturazione del processo decisionale, prima che le sue scelte di merito. La riqualificazione di Bagnoli ha costituito un cavallo di battaglia per le amministrazioni di centrosinistra che dal 1993 al 2011 hanno governato Napoli. La prima giunta Bassolino, pur gravata dall’indebitamento finanziario comunale, si è promossa come attore forte della politica urbana, garante degli interessi pubblici, mirando a promuovere autonomamente la riconversione di Bagnoli sul mercato internazionale dei capitali. L’amministrazione ha considerato come posta principale del processo decisionale l’approvazione degli strumenti urbanistici e l’acquisizione della proprietà dei suoli, nella convinzione che garantissero gli esiti attesi; il resto (per esempio, la fattibilità tecnico-economica di determinate scelte) poteva essere rimandato, perché considerato non strategico. Questo atteggiamento, inizialmente comprensibile[67], ha rivelato i suoi limiti quando i faticosi compromessi stabiliti per acquisire il consenso degli altri decisori (consiglio comunale, Regione e Soprintendenza sul piano; governo centrale e Iri su bonifica e proprietà dei suoli) si sono dimostrati inadeguati, determinando blocchi, ritardi e levitazione delle spese, con la ricerca affannosa di nuove soluzioni e accordi. Ne è derivato un clima di incertezza sfavorevole all’attrazione di investimenti privati, su cui ha pesato anche la mancanza di una vera discussione pubblica intorno ai problemi della riqualificazione, sostituita da periodiche polemiche pro o contro il piano, spesso poco sostanziate ma amplificate dai media locali. La definizione sia dei problemi che delle soluzioni è stata confinata entro una determinata cerchia politico-burocratica, che guardava con fastidio alle richieste di trasparenza e confronto. Si è rinunciato a promuovere un consenso politico attivo al piano, fondato su una coscienza dei problemi, anziché su promesse oppure su compromessi parziali per risolvere i problemi posti da singoli gruppi d’interesse[68].

Alla sfiducia dei capitali è andata sommandosi quella della società civile. Fin dall’inizio l’amministrazione comunale è apparsa operare secondo un doppio registro, dove alla difesa d’ufficio di determinate scelte urbanistiche, faceva riscontro il malcelato tentativo di modificarle senza troppe discussioni, magari aspettando l’occasione giusta[69]; un atteggiamento che travalica Bagnoli, alla cui base sta un irrisolto conflitto sulla concezione e la gestione del piano urbanistico[70] (incarnato nel già richiamato conflitto tra gli assessori Barbieri e De Lucia). Incapaci di sciogliere tali ambiguità, le amministrazioni di centrosinistra si sono trincerate in una sorta di gioco d’azzardo, affrontando le ricorrenti difficoltà con manovre sotterranee, propaganda e bluff; sono state così consumate rilevanti risorse finanziarie, temporali e politiche, senza conseguire né una valorizzazione commerciale spinta dell’area né la realizzazione delle principali attrezzature pubbliche. Un circolo vizioso in cui è rimasta impantanata anche la giunta de Magistris, a cui sarebbe spettato operare un bilancio critico del processo per reimpostarne strumenti e contenuti, coinvolgendo attivamente quell’insieme di soggetti critici che le precedenti amministrazioni avevano emarginato[71].

Conclusioni

Ricapitolando, l’attuazione del piano urbanistico, per quanto problematica e viziata da una gestione ambigua da parte dell’amministrazione comunale, è stata finora impedita dal mancato completamento della bonifica, dovuta a un intreccio di cause: l’iniziale sottovalutazione dell’inquinamento; la volontà politica di sgravare l’ex Iri dei costi di risanamento; l’evoluzione in senso più stringente della normativa ambientale; i contrasti politici tra i vari livelli di governo per l’erogazione dei fondi pubblici; il difficile coordinamento tra bonifica e piano urbanistico; lo scarso controllo pubblico sui soggetti attuatori. Parte del passato continua a pesare sul futuro e sciogliere questo nodo gordiano richiederebbe un’operazione più complessa della scorciatoia tentata dal governo Renzi; la quale, oltre che autoritaria e viziata da interessi speculativi, rischia di condurre all’ennesimo vicolo cieco, come evidenziano le sue difficoltà attuative[72], a partire dall’opposizione di amministrazione comunale e movimenti cittadini[73]. Appare invece prioritario restituire trasparenza al processo decisionale, investendo tempo e risorse per costruire un confronto pubblico nel quale possano emergere con chiarezza valutazioni e idee su come attuare gli obiettivi strategici (bonifica, parco urbano, spiaggia balneabile, trasporti pubblici)[74].

Una simile prospettiva, che attraverso il “come si decide” ponga in questione il “chi decide e cosa”, appare però irrealistica se affidata a un sistema politico-amministrativo in piena deriva oligarchica. La fisionomia di questa possibile coalizione non è al momento chiara; l’azione di conflitto svolta su Bagnoli da parte dei movimenti di base, che rivendicano la tutela della proprietà pubblica dei suoli e bonifiche a carico degli inquinatori, potrebbe fungere da innesco, incalzando attori istituzionali e coinvolgendo settori della città finora passivi. Proprio nella mancata attivazione di un vero processo partecipativo, senza voler con ciò sminuire altri fattori decisivi, risiede una della maggiori criticità politiche del piano; perlomeno se si valuta il successo di un intervento urbanistico non solo in termini di trasformazioni edilizie e attività commerciali realizzate, ma anche e soprattutto su come esso risponda alle esigenze di maggiore democrazia, giustizia sociale, sostenibilità ambientale.

[1] La variante al Prg per la zona occidentale, approvata nel 1998, comprende il quartiere di Bagnoli, gran parte di Fuorigrotta e piccole parti di Posillipo e Pianura, per una superficie complessiva di 1.298 ettari; il Pua per l’ambito di Bagnoli-Coroglio, approvato nel 2005, oltre al litorale e alle aree industriali citate, include le aree del demanio militare, le caserme di Cavalleggeri d’Aosta, parte delle aree FF.SS. tra Cavalleggeri e piazzale Tecchio, per un totale di circa 314 ettari. Il Sin Bagnoli-Coroglio fu definito con legge 388/2000, art.14, e perimetrato con decreto ministeriale del 31/08/2001; la sua superficie, pari a circa 1.000 ettari a terra e 1.600 a mare, includeva oltre alle aree industriali dismesse, il litorale e lo specchio d’acqua antistante, i quartieri di Bagnoli e Cavalleggeri d’Aosta, le aree delle FF.SS. e del demanio militare, l’area ex Nato e la conca di Agnano. Il decreto ministeriale Ambiente del 08/08/2014 ha ridimensionato il suo perimetro a terra, riducendolo ai circa 250 ettari delle aree ex industriali (Italsider, Eternit, Federconsorzi, Cementir) e al litorale, portando a 1.470 ettari quello a mare.

[2] Copia a stampa delle schede pubblicate sul sito web della Bagnolifutura il 09/03/2010, aggiornate al 24/03/2010: il sito web, www.bagnolifutura.org, è attualmente indisponibile.

[3] Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità, dicembre 2012, consultabile presso: www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/697132.pdf. Il rapporto parla di 810.700 metri quadrati certificati dalla Provincia.

[4] Sequestrate il 08/03/2013, dissequestrate il 07/07/2014 e risequestrate il 14/10/2014.

[5] Il procedimento coinvolge i vertici di Bagnolifutura e vari dirigenti del ministero dell’ambiente, dell’Arpac, di comune e Provincia di Napoli, del Centro campano tecnologia e ambiente, nonché amministratori e tecnici di alcune delle società incaricate della bonifica (De Vizia, Italrecuperi, MWH).

[6] L’intervento prevede due anni di lavori e 4,5 milioni di spesa, a valere sui fondi stanziati per bonificare il litorale e affidati al comune: “Bagnoli, i primi 4 milioni per far partire la bonifica”, Il Mattino, 27/03/2015.

[7] La legge 582/1996 delegava al ministero dell’ambiente la bonifica del mare, stanziando 25mld di lire; prevedeva inoltre il ripristino della morfologia naturale della costa (alterata tra il 1962 e il 1964 da una banchina di 22 ettari costruita dall’Italsider, con scorie industriali e residui edilizi, per movimentare i materiali in arrivo e partenza via mare) con procedura in danno ai concessionari demaniali (l’Italsider). Due studi dell’Icram (1999 e 2005) rilevarono elevati livelli di idrocarburi e metalli pesanti in arenili e fondali, determinando l’interdizione momentanea delle spiagge e il vigente divieto di balneazione. Nel 2006 partì la messa in sicurezza delle spiagge (mai terminata) con fondi Por per 18mln di euro, poi inglobata nell’Accordo di Programma Quadro Bagnoli-Piombino-Napoli orientale del 2007, che stanziava 115mln per rimuovere colmata e parte dei fondali. Il Provveditorato alle OO.PP. di Campania e Molise assegnò nel 2012 l’appalto per due progetti stralcio ma il governo Monti tagliò ai finanziamenti 50mln e l’Unione Europea ne sospese altri 15 (50 furono trasferiti al comune), bloccando l’operazione.

[8] Nel 2004 la Cementir ha presentato al ministero per l’ambiente un piano di caratterizzazione (da cui emerge un forte inquinamento da metalli pesanti e idrocarburi), oggetto di successive richieste di integrazione e prescrizioni di messa in sicurezza della falda, a cui non pare la ditta abbia mai provveduto. Tra comune e Cementir è aperto un contenzioso che dura almeno dal 2008, con ordinanze di messa in sicurezza ed esposti alla Procura; comune di Napoli, Ordinanza ex art.50 D.lvo 267/2000 per rimozione colmata di Bagnoli, n. 1, 03/12/2013.

[9] Comune di Napoli, Ordinanza ex art.50…, cit., p. 4.

[10] “Case a Bagnoli? Ci vuole Paperone”, Il Mattino, 14/04/1995; “Prezzi alti e nuovi alberghi, il quartiere così si trasforma”, la Repubblica Napoli, 24/11/2001; “Raffiche di sfratti a Bagnoli, esplode la rivolta”, Corriere del Mezzogiorno, 28/09/2004. Per valutare l’entità del problema, va considerato che nell’ultimo censimento Istat precedente la dismissione dell’Italsider, quello del 1991, la percentuale di abitazioni in affitto a Bagnoli era del 47,6%.

[11] Città della Scienza viene realizzata dalla fondazione Idis con un finanziamento pubblico di circa 100mld di lire, stanziati dalla delibera Cipe del 20/12/1994; malgrado parte degli edifici insistesse sul litorale, che la variante intendeva liberare da ogni costruzione, l’amministrazione Bassolino firmò nel 1997 un accordo di programma che permetteva di recuperarli e utilizzarli fino ad ammortamento dei fondi pubblici usati per la ristrutturazione (stimato in circa 70 anni). Gli immobili sulla spiaggia costituiscono una preziosa garanzia patrimoniale e sono indispensabili allo sviluppo di servizi turistico-ricreativi (l’Idis prevedeva il recupero dell’ex pontile Federconsorzi per i collegamenti nautici). Nel 2007 un altro accordo di programma derogò ancora agli strumenti urbanistici, permettendo di abbattere e ricostruire un ex edificio industriale destinato al recupero. Città della Scienza ha vissuto di ingenti finanziamenti pubblici e la Regione Campania, che copriva un terzo del fatturato annuo, nel 2002 ne assunse il controllo tramite una società consortile, di cui deteneva il 51% (con fitto di ramo d’azienda da parte dell’Idis, che manteneva le restanti quote azionarie). Nel 2008 l’Idis riprese il controllo della struttura, ma parte dei dipendenti rimase nella società regionale Città della Scienza, diventata una Spa in house per promuovere ricerca e innovazione (oggi confluita in Sviluppo Campania); cfr. http://www.cittadellascienza.it/wp-content/mediafiles/operazione_trasparenza.pdf; “Intrecci di società, gestione caos di personale e di fondi”, Il Mattino, 04/07/2014.

[12] Ex sede del comando Nato, il complesso è tornato dal 2013 nella disponibilità della Fondazione Banco di Napoli per l’Assistenza all’Infanzia, ente assistenziale controllato dalla Regione Campania, che finanziava le sue attività con l’affitto della struttura; esteso circa 30 ettari, di cui 13 a verde agricolo e i restanti occupati da 18 edifici, attrezzature sportive e aree verdi, è destinato dagli strumenti urbanistici ad attrezzature urbane, residenze speciali e terziario misto. Il comune ha avanzato una manifestazione d’interesse, concordata con alcune realtà di base di Bagnoli, che ne prevede il recupero a uso sociale partecipato dai cittadini. La situazione è stata poi bloccata dalla giunta Caldoro, intenzionata a spostarvi gli uffici regionali. La fondazione, per necessità finanziarie, sta affidando ora le strutture (come l’area agricola e le attrezzature sportive) a soggetti privati, con il parziale consenso del comune.

[13] La Bagnolifutura Spa, Società di trasformazione urbana (Stu) partecipata al 90% dal comune di Napoli, al 7,5% dalla Provincia di Napoli, al 2,5% dalla Regione Campania; fino al 2002 la bonifica è stata gestita da una società di scopo dell’Iri, la Bagnoli Spa.

[14] Il parco urbano compatto di 120 ettari e la spiaggia pubblica estesa per oltre due chilometri, da Nisida a La Pietra, sono i punti qualificanti della variante, che hanno condizionato tutte le altre scelte; essi hanno assunto un valore simbolico, oltre che concreto, del doveroso risarcimento ambientale che andava tributato al territorio.

[15] Lo studio Cresme del 2000, poi aggiornato al 2001, evidenziava la necessità di capitale pubblico per conseguire un risultato finanziario positivo. Lo studio di Acb-Rotschild del 2003 sottolineava che Bagnolifutura poteva conseguire un bilancio in attivo solo andando oltre la “valorizzazione” (bonificare, infrastrutturare e vendere le aree edificabili) e praticando lo scenario “immobiliare” (ossia realizzare in proprio tutti gli immobili e venderli solo successivamente).

[16] La legislazione ambientale (evoluta da metà anni Novanta, con ricadute sugli oneri per la bonifica), il mercato immobiliare (che dal 2007 ha visto ridursi sia le compravendite che i prezzi unitari degli edifici), il quadro politico-economico (dove la crisi ha determinato la riduzione dei finanziamenti statali e degli investimenti privati).

[17] La dilatazione dei tempi ha determinato, per esempio, un peso imprevisto degli interessi passivi sui prestiti contratti per realizzare bonifica e opere edilizie (anticipi sui finanziamenti pubblici, contributi a carico di Bagnolifutura) e per sostenere le spese di gestione della Stu, che nel solo 2008 era oberata da una spesa per interessi pari a 6,4mln di euro.

[18] Lo studio Cresme del 2001 stima i costi dell’operazione pari a 2.439mld di lire, di cui il 27% a carico dell’ente pubblico, il 28% di Bagnolifutura, il 45% degli investitori privati. Sul pubblico ricadevano la realizzazione del nuovo tracciato della Cumana (280-350mld), le urbanizzazioni primarie (130mld), buona parte del costo delle aree (143mld) e del parco urbano (62mld). Progettazione e costo di molte opere sono notevolmente cambiate rispetto alle previsioni del Cresme (parco dello sport: da 9 a 35mln di euro; parco urbano: da 44 a 114mln; approdo turistico: da 19 a 63mln). La deviazione della Cumana viene sostituita nel 2008 dal suo interramento in sede e dal prolungamento dell’ex Ltr (ora linea 6) fino a Coroglio, portando i costi per i trasporti ferroviari a 440mln, dai 140-175 previsti nel 2001 (cfr. il protocollo d’intesa tra Regione Campania e comune di Napoli presentato il 20/10/2008).

[19] Per una critica non liberista all’impostazione economica del piano, cfr. Di Maio A., “L’analisi dei costi e dei benefici: alcune osservazioni”, in Persico G. (a cura di) La città dismessa, Pironti, Napoli, 2002, dove si sottolinea che un’operazione impostata su finanziamenti pubblici non può essere valutata sul mero piano finanziario ma richiede un’analisi complessiva dei costi e benefici sociali generati. Sulla scarsa capacità di promuovere un dialogo ampio intorno alle scelte di piano, cfr. Lepore D., “Il riuso dell’area di Bagnoli”, in AA.VV., Non è così facile. Politiche urbane a Napoli a cavallo del secolo, Franco Angeli, Milano, 2007. Obiezioni analoghe sono state mosse da realtà di base che hanno cercato di promuovere su Bagnoli il dialogo pubblico e la mobilitazione popolare; cfr. “Note critiche sulla trasformazione urbana di Bagnoli”, comunicazione del Collettivo Politico di Architettura di Napoli al workshop su Bagnoli del C.M. Kaan-Institute dell’Università di Amsterdam, Napoli, 6-14 settembre 2003.

[20] “Quello che a palazzo San Giacomo non hanno capito, è che un intervento urbanistico da solo non serve a nulla; è utile se genera ricchezza, mette in moto l’economia”; così il presidente degli albergatori di Confindustria Napoli commentava il Pua. “Bagnoli? Con quel progetto non investirei mai”, Corriere del Mezzogiorno, 17/04/2005.

[21] La variante al Prg per l’area occidentale, pur adottando un indice di edificazione territoriale notevolmente inferiore a quelli riscontrabili in analoghi interventi di riqualificazione delle aree dismesse (l’indice di fabbricabilità territoriale medio è di 0,68 metri cubi per metro quadrato, contro i 2,7 della Bicocca di Milano o i 3,2 dell’area Fiat di Novoli), consente la realizzazione di 2 milioni e 115 mila metri cubi di edilizia, ossia di un quartiere della dimensione di Cavalleggeri d’Aosta. La limitazione della volumetria edificabile e la sua concentrazione in aree ben definite ha consentito di tutelare il lungomare e destinare ad aree verdi e spiaggia circa 200 ettari, ossia quasi due terzi dei 315 ettari sottoposti al successivo Pua. Inoltre, le previsioni volumetriche sono state più volte modificate per adeguarle alle “tendenze di mercato”: la nuova edilizia residenziale è passata dai 200 mila metri cubi “medi” previsti dalla variante ai 515.699 del Pua modificato nel 2011, con parallele riduzioni dei volumi per terziario e attività produttive.

[22] La questione è invece capire se obiettivi che fino a qualche decennio fa sarebbero stati definiti “riformisti” (soddisfacimento degli standard urbanistici, forme di riequilibrio territoriale, dotazioni residenziali minime) siano compatibili con gli attuali assetti politico-economici e possano essere perseguiti attraverso contrattazioni politico-amministrative “ordinarie”; oppure se tali assetti rendano questi obiettivi irriducibili alle logiche di valorizzazione economica, determinando l’esigenza di promuoverli attraverso processi di mobilitazione politica “radicale”. Una questione cruciale soprattutto per le aree periferiche del sistema territoriale, dotate di scarso potere contrattuale rispetto ai flussi finanziari globali. In tal senso, può imputarsi al “piano De Lucia” una visione giacobina, troppo fiduciosa negli apparati tecnico-politici tradizionali e poco attenta a costruire un consenso popolare attivo intorno alle proprie scelte.

[23] Dal 2010 al 2012 si sono succeduti tre bandi e una manifestazione di interesse. I primi due bandi sono andati deserti, la manifestazione d’interesse ha avuto quattro offerte e il terzo bando una sola, giudicata però inidonea. Tra il primo e l’ultimo bando, i prezzi per metro quadrato e metro cubo decrescono di oltre il 10%, mentre aumentano le cubature residenziali realizzabili (in valore assoluto e percentuale), a scapito di quelle per terziario e produzione. Decresce anche la dimensione media dei lotti offerti e i requisiti di affidabilità professionale e finanziaria richiesti ai partecipanti.

[24]  I suoli venivano offerti con una bonifica certificata per i soli usi commerciali, dovendo l’acquirente completare a sue spese il risanamento necessario per l’utilizzo residenziale. Per ridurre i consistenti oneri procedurali e finanziari, che disincentivarono ogni partecipazione ai primi due bandi, Bagnolifutura si impegnò a fornire assistenza e garanzie ai vincitori per lo svolgimento della bonifica (con magri risultati, peraltro).

[25] Chiarissimi in tal senso i commenti degli imprenditori all’indomani dell’ultimo flop: “Non è ancora chiaro come saranno risolti i problemi legati alla bonifica e al porto. Sarebbe meglio partire da un bando di progettazione internazionale (…) e solo dopo passare alla vendita dei lotti”, afferma l’imprenditore immobiliare Ambrogio Prezioso; anche Rudy Girardi dell’Acen: “Avevamo valutato ancora non adatto il bando, pensavamo che si dovesse chiarire la destinazione del contesto”; cfr. www.ilsole24ore.com/art/notizie/2013-02-15/bagnoli-fallisce-terza-gara-191819.shtml?uuid=AbWNEsUH.

[26] Nel 2011 il Tar annulla la concessione data alla Nautica Partenopea per il porto turistico. “Porto turistico, serve un altro bando”, Il Mattino, 24/03/2011. In  questo stallo c’entrano quindi poco i “veti ecologisti”.

[27] I lavori del Polo tecnologico ambientale, iniziati nel 2010, sono bloccati l’anno dopo da una serie di pareri contrari della Soprintendenza: “Bagnoli, 16 pini bloccano il piano da cento milioni”, Il Mattino, 01/04/2012.

[28] Tuttavia, poiché l’Ilva preventivava di recuperare 204mld dalla vendita di macchinari e rottami, il suo contributo netto alla bonifica sarebbe di 34mld.

[29] Di questi ultimi, solo 150 andrebbero a saldo dell’operazione di risanamento, mentre 111 servirebbero a ripagare il capitale investito dall’Ilva; cfr. “I Verdi: nessun regalo all’Ilva”, Napolinotte, 08/01/1996.

[30] Il piano di risanamento dell’area di Bagnoli, approvato il 21/12/1995 dal ministero dell’ambiente, stabiliva che l’Iri ripristinasse condizioni utili per un generico uso industriale, mentre l’ulteriore intervento statale avrebbe consentito il pieno riuso del sito per la fruizione pubblica. Tale artificio ha consentito all’Iri di sgravarsi delle sue responsabilità.

[31] Cfr. il rapporto della Corte dei Conti sul Piano di completamento della bonifica e del recupero ambientale dell’area industriale di Bagnoli, dicembre 2003, p. 29.

[32]  ibidem, pp. 29-36.

[33] “Bagnoli, la vera bonifica non è mai partita”, Corriere del Mezzogiorno, 22/05/2002.

[34] Il Pua di Coroglio-Bagnoli viene proposto dalla giunta nel dicembre 2000 al consiglio comunale, che nel 2003 lo adotta e nel 2005 lo approva con alcune modifiche; altre modifiche saranno apportate nel 2010 con delibera di giunta comunale per aumentare le cubature residenziali.

[35] Ai 75mln di euro della 388/2000 se ne aggiungono 44 per rimuovere la colmata (provvede l’Autorità Portuale di Napoli, con fondi statali), 17,3 per recuperare l’archeologia industriale (provvede Bagnolifutura, con project financing) e 15 per porre a discarica i rifiuti di bonifica (provvede il Commissario di governo per l’emergenza rifiuti e bonifiche, con fondi Por). Qualora l’Autorità portuale fosse inadempiente, il commissariato di governo rimuoverà la colmata, anche in danno dei concessionari: la spesa prevista è di 38,5mln, di cui 32,5 a carico dello stato (include i 25mld della 582/96) e 6 di Bagnolifutura. Gli impegni degli enti sono fissati nell’accordo di programma del 30/07/2003.

[36] Nelle prime trattative del 1995 col governo centrale, il comune di Napoli aveva chiesto la cessione gratuita, contestando le stime dell’Iri sul valore dei suoli (220mld di lire) e rilevando che solo la bonifica ne avrebbe elevato il valore da zero a 110mld. La stima effettuata nel 2001 dall’Ute (circa 318mld) confermano che il valore dell’area è minore della somma dei due finanziamenti statali per la bonifica, quindi che tutta l’operazione è in perdita e presuppone un massiccio intervento pubblico a fondo perduto; questa conclusione è rafforzata dal mancato computo dei costi per bonificare il litorale e i fondali marini, la cui caratterizzazione era all’epoca ancora in corso.

[37] La stima Ute era di 389mld di lire, da cui andava detratto il valore di attualizzazione per tre anni di lavori, i costi per completare la bonifica (169mld), lo sconto previsto per il comune: si arrivava a 79mld. La stima Iri, che riconosceva solo l’ultima detrazione, era di 320mld. Cfr. “Suoli di Bagnoli, Cimi Montubi al contrattacco”, Il Mattino, 05/12/2001.

[38] L’accordo del 2005, che prevede la corresponsione di una quota dei suoli dove edificare un 7-10% delle cubature totali, salta per mancanza di garanzie bancarie. Il patto siglato nel 2006 stabilisce un importo differito in denaro, garantito da ipoteca sui suoli dell’area tematica 4. Bagnolifutura verserà 15mln in acconto, restando in debito di 59mln.

[39] Una valutazione preliminare del danno ambientale, effettuata dall’Ispra sulle aree del Sin di Bagnoli, fornisce cifre vertiginose: oltre 456mln per le aree di Fintecna, 250mln per quelle dell’Idis, circa 242mln per quelle della Cementir. In totale, quasi 1 miliardo di euro! Cfr. Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti, Relazione sulle bonifiche dei siti contaminati in Italia: i ritardi nell’attuazione degli interventi e i profili di illegalità, dicembre 2012, pp. 361-362.

[40] Un vecchio boiardo di stato affermò icasticamente che l’Iri, ben dotata di soldi, aveva affibbiato al comune di Napoli un solenne “scartiloffio”, a cui lo stesso avrebbe dovuto decisamente opporsi: “Grazie, ma tieniti i suoli, risanali perché tu li hai inquinati e tuoi sono i 500 caschi gialli ancora in circolazione e quando tutto ciò sarà avvenuto sarà il parlamento a trasferire con una legge quei suoli gratuitamente. Questo avrebbe dovuto dire la classe politica. Invece si consentì all’Iri di sottrarsi al suo dovere e si caricò la città di altri oneri dopo averla messa in ginocchio”; Paolo Cirino Pomicino, “La mia verità su Bagnoli”, Corriere del Mezzogiorno, 27/12/2002.

[41] “Bagnoli, i privati nella bonifica”, Corriere del Mezzogiorno, 17/09/1999. La discrezionalità nell’affidamento degli appalti tramite licitazione privata, con forti levitazioni dei prezzi e sospetto frazionamento dei lavori per eludere la soglia oltre la quale è obbligatorio procedere a gara di evidenza pubblica, è stata dapprima rilevata dalla commissione di esperti che coadiuvava il comitato di alta vigilanza sulla bonifica, quindi oggetto di indagine da parte di diversi organi statali, dalla Commissione ambiente del Senato all’Authority sui lavori pubblici, fino alla procura di Napoli (che aprì nel 2003 un’inchiesta i cui esiti sono rimasti ignoti).

[42] Nel corso degli anni Novanta l’Iri ha venduto gran parte delle sue società, trasferendo quelle residue al Tesoro (nel 1995 l’Ilva cede a Lucchini gli impianti di Cornigliano e a Riva quelli di Taranto); posta in liquidazione nel 2000, nel 2002 è stata incorporata dalla sua ex controllata Fintecna.

[43] Nel citato rapporto 2003 della Corte dei Conti, si rileva che “come la stessa Amministrazione ha riconosciuto, l’alto numero di lavoratori assunti dalla suddetta società – che aveva assorbito per obbligo di legge (art. 1, comma 2 della citata legge 582/1996) – una consistente parte del personale occupato nell’Ilva, la scarsa competenza specifica, le necessità di riqualificazione tramite corsi professionali, hanno rallentato i tempi dell’operazione”; ibidem, p. 41.

[44] Cfr. Cuozzo P., “Bagnoli: Comune e Fintecna riprendono a trattare sui suoli”, Corriere del Mezzogiorno, 24/05/2005. Nel 1995 era in corso sul Centro Direzionale una dura trattativa del comune con la Mededil in liquidazione. Nel 2002 Fintecna acquisisce dall’Agenzia del Demanio la Manifattura Tabacchi, su cui si prevedeva di realizzare la Cittadella della Polizia. Fintecna è anche proprietaria dell’area ex ICM, dove nel 2005 viene proposto un progetto di re-industriaizzazione di Whirlpool/consorzio Genesis. Anche nell’area occidentale Fintecna possiede diversi terreni, tra cui un’area edificabile a ridosso dell’ex caserma Cesare Battisti, inclusa nel Pua per Bagnoli-Coroglio.

[45] Il WWF presenta nel 1995 un esposto alla procura di Napoli contro l’Ilva, sollecitando al comune di promuovere un’azione per danno ambientale ai sensi della 349/1986. La proposta è portata in consiglio comunale ma la giunta ne chiede il ritiro. Vezio De Lucia dirà: “Ben venga nel decreto del governo la restituzione dell’investimento statale attraverso i suoli da dare al comune. Assurdo, però, fare con la via giudiziaria un processo alla storia industriale della città”; “Si ricomincia da Bagnoli”, Il Mattino, 08/01/1996. Il giorno dopo si terrà a Roma una manifestazione di 400 operai Italsider che chiedono la proroga della cassa integrazione e il loro reimpiego nella bonifica. La trattativa con governo e Iri non riguarda solo i suoli di Bagnoli; altre poste hanno il loro peso nel determinarne gli esiti complessivi.

[46] La Bagnolifutura, già messa in liquidazione dal comune il 13/02/2014, viene dichiarata fallita dal tribunale di Napoli il 29/05/2014, su istanza di alcuni creditori (tra i quali campeggia Fintecna)

[47] Il presidente dell’Autorità, Francesco Nerli, appoggiò la realizzazione sulla colmata del porto turistico, suscitando il sospetto che i ritardi di attuazione dell’accordo del 2003 non fossero solo di natura tecnica.

[48] Il nuovo piano, basandosi sulle indicazioni di destinazione d’uso stabilite dal Pua approvato nel 2005, differenziava l’intensità della bonifica secondo la destinazione d’uso dei suoli: le aree per verde e residenza richiedevano valori residui di inquinanti più bassi di quelle per attività industriali-commerciali, dove la bonifica poteva essere meno “esigente”. Si riducevano così drasticamente sia la quantità di materiali da trattare per recuperarli che quelli da inviare a discarica come inerti: gran parte dei 600 mila metri cubi di inerti prodotti dalla bonifica si prevedeva infatti di stoccarli sotto la collina di Posillipo, interessata da dissesti, creando un’area di sicurezza e stabilizzazione.

[49] “Dovevamo decidere tra due opzioni – spiegava l’assessore all’urbanistica Rocco Papa –: se affidare alla società un ruolo immobiliare o di valorizzazione dell’area; abbiamo scelto questa seconda soluzione, il che vuol dire che la Stu si occuperà di bonificare, attrezzare l’area e poi metterla sul mercato. Abbiamo escluso l’altra ipotesi, quella immobiliare, perché altrimenti Bagnolifutura avrebbe dovuto dotarsi di società, dipendenti, operai. Il comune preferisce invece uno strumento più snello. […] Carlo Borgomeo, attuale amministratore delegato, ci ha fatto presente che con una Stu immobiliare il comune avrebbe guadagnato molto di più su quelle aree. Ma noi abbiamo tenuto il punto”; “Papa: Bagnoli è così e non si tocca: porto canale e niente lungomare”, Corriere del Mezzogiorno, 16/04/2005. Borgomeo, deluso, si dimetterà di lì a poco. Alle ragioni indicate da Papa va aggiunta la volontà di lasciare una fetta dell’affare agli imprenditori locali, poco coinvolti nei primi anni della giunta Bassolino e ora oggetto di nuove attenzioni;  l’11 aprile 2005 Ambrogio Prezioso, presidente dell’Acen, entra nel cda di Bagnolifutura, suscitando perplessità (Sergio Locoratolo, “Quel costruttore a Bagnolifutura”, Corriere del Mezzogiorno, 15/04/2005). Subito dopo l’approvazione del Pua, il sindaco Jervolino affermerà: “Tra le varie cose di cui si è discusso c’è anche quella di dimensionare le gare in modo da rendere possibile l’intervento degli imprenditori napoletani. Lotti piccoli, dunque, per favorire l’impresa locale”; “Coroglio, corsia preferenziale per i privati”, Il Mattino, 18/05/2005.

[50] Nel marzo 2006 vengono banditi i progetti di Porta del Parco, Parco dello Sport e Turtle Point, per un importo di circa 85mln.

[51] Già la Corte dei Conti aveva stigmatizzato l’operato delle istituzioni e in particolare della Bagnolifutura, la cui disinvolta gestione della bonifica e superficialità nell’affidamento degli appalti aveva provocato varianti in fase di progettazione e in corso d’opera, blocco dei lavori e richieste di danni da parte delle imprese, indeterminatezza dei tempi di realizzazione; cfr. Corte dei Conti, Piano di completamento della bonifica e del recupero ambientale dell’ex sito industriale di Bagnoli, novembre 2009, pp. 59-60. Successivamente, l’indagine della procura napoletana affermerà che queste e altre manovre fossero finalizzate a risparmiare sui costi del risanamento, sostituendo attraverso procedimenti illeciti gli obiettivi originari di bonifica con altri meno rigorosi; nonché miscelando i terreni inquinati con quelli a norma per abbattere, in determinate aree, il livello medio di contaminazione; cfr. Tribunale di Napoli sezione GIP, Decreto di sequestro di aree site nell’ex area industriale Italsider di Bagnoli, 08/04/2013, N.13286/07 RGNR PM Napoli e N. 18963/08 RG GIP Napoli.

[52] Il termine per la bonifica fissato dal piano del 2003 era a giugno 2007, poi posticipato a maggio 2010.

[53] Corte dei Conti, Piano di completamento…cit., p. 24, nota 34.

[54] L’incremento di 216 mila metri cubi (circa 700 alloggi), deciso nel 2009, viene approvato nel 2011; l’anno prima si era tentato di aggiungere altri 320 mila mc residenziali, facendo leva sull’applicazione del Piano casa di Berlusconi.

[55] Per collegare porto e alberghi senza collocare questi ultimi sul lungomare, il Pua previde di scavare una darsena nel retroterra di via Coroglio (soluzione impropriamente definita “porto canale”); essa venne però contestata, sia per ragioni paesaggistiche (interruzione della linea di costa e violazione del vincolo del 1999 sulla piana di Coroglio) che tecniche (elevati costi di realizzazione e gestione). Una nuova soluzione (che collocava la darsena a valle di via Coroglio, in adiacenza al pontile nord) fu individuata nel 2009, dopo una lunga serie di conferenze dei servizi.

[56] Il polo tecnologico ambientale è un centro di produzioni high tech promosso da un consorzio tra Camera di Commercio e Amra (società di ricerca partecipata da varie università, Cnr e altri istituti scientifici pubblici), localizzato sulle aree dell’ex direzione Italsider. I 47 imprenditori aderenti avrebbero versato nel 2010 oltre 32mln (inizialmente ne erano previsti 52) a Bagnolifutura per acquisire parte dell’area.

[57] Nel 2010 l’indebitamento di Bagnolifutura raggiungerà i 339mln. “Bagnolifutura, allarme dei revisori: debiti troppo alti”, Corriere del Mezzogiorno, 28/07/2011. Su finanziamenti europei per 148,5mln di euro, al 30/06/2015 risultano erogati solo 19,7mln; cfr. www.opencoesione.gov.it/soggetti/bagnolifutura-spa-07899100635/.

[58] La Regione, conquistata a marzo 2010 dal centrodestra, contesta al comune lo sforamento del patto di stabilità e sospende i finanziamenti per il parco urbano, i Napoli Studios, il parco dello sport e le infrastrutture di sostegno, nonché i collaudi per la porta del parco; “Bagnolifutura, stop al cantiere degli ‘Studios’”, Il Mattino, 24/03/2011.

[59] Nell’agosto 2011, per rilanciare l’immagine di Bagnoli, viene promosso l’uso della colmata per le regate promozionali dell’America’s Cup 2013; l’intervento della magistratura ribadisce l’inquinamento della colmata e costringe a spostare l’iniziativa su via Caracciolo. A capo di Bagnolifutura viene messo il magistrato ambientalista Omero Ambrogi, il quale ripropone la vendita dei suoli e prepara un nuovo progetto che prevede di recuperare la colmata e realizzare strutture commerciali nella Cementir; la società, anziché sciolta, viene ricapitalizzata con le opere di urbanizzazione secondaria finora realizzate, le quali finiranno coinvolte nel successivo fallimento.

[60] Nel 2013 un incendio doloso distrugge parte degli edifici di Città della Scienza sul litorale; mentre si apre un’indagine giudiziaria (tuttora in corso), l’Idis denuncia oscure manovre per sloggiare la struttura da Coroglio e fa leva sull’emotività dell’opinione pubblica per ottenere la ricostruzione in loco dei fabbricati e un cospicuo finanziamento statale. L’amministrazione comunale manifesta inizialmente il proposito di trasferire tutta la sezione lato mare di Città della Scienza nell’Acciaieria LD, nel rispetto degli strumenti urbanistici; successivamente spinge sul governo per un accordo di programma che garantisca la sostanziale ricostruzione in loco della struttura, congiuntamente al rifinanziamento della bonifica di Bagnoli. L’accordo viene firmato il 14 agosto 2014, per poi essere rigettato dal sindaco dopo l’emanazione dello Sblocca Italia.

[61] Comune di Napoli, Ordinanza ex art.50…, cit. L’ordinanza inoltre impone alla Cementir di provvedere entro 30 giorni alla messa in sicurezza permanente della sua area di Coroglio e alla fondazione Idis di esibire in pari tempo il certificato di bonifica (ovvero provvedere anch’essa alla messa in sicurezza del suo sito). Tuttavia, malgrado sia Cementir che Idis non abbiano adempiuto al disposto del provvedimento, l’amministrazione ha evitato di intraprendere adeguate misure attuative; un atteggiamento simile a quello tenuto verso le concessioni balneari private di Bagnoli-Coroglio, che ben due delibere approvate dal consiglio comunale (una delle quali sostenuta da 13 mila firme raccolte nel 2012 dalla campagna “Una spiaggia per tutti”) impegnavano la giunta a rivedere in sede di Comitato Portuale. Segno che il contrasto ai “poteri forti” che animava le dichiarazioni del sindaco de Magistris è rimasto spesso petizione di principio.

[62] A gennaio 2014 Fintecna chiede il fallimento di Bagnolifutura e denuncia l’accordo del 2006 per la cessione dei suoli, pretendendo il prezzo richiesto all’epoca. “Ora Fintecna vuole 189 milioni”, la Repubblica Napoli, 06/02/2015.

[63] Tra i molti tentativi di commissariare, de facto se non de jure, l’area di Bagnoli, va ricordato quello del secondo governo Berlusconi: l’emendamento Cosentino alla legge finanziaria del 2002 (poi ritirato per dissensi interni ad Alleanza Nazionale) prevedeva che alla trasformazione di Bagnoli si provvedesse tramite accordo di programma tra sei ministeri, definito dal ministro per le attività produttive e quello per l’ambiente. Il prezzo delle aree veniva fortemente rivalutato, accogliendo i rilevi dell’Iri e rendendo di fatto impossibile al comune acquisirli; l’Iri e gli altri proprietari avrebbero quindi conferito i loro suoli a una Spa (con il comune socio di minoranza) e provveduto successivamente a privatizzarli; cfr. “Bagnoli, il Governo entra nella partita”, Corriere del Mezzogiorno, 07/12/2001.

[64] di cui era promotore l’assessore alle finanze, Roberto Barbieri, in opposizione al “pubblicismo” di Vezio De Lucia.

[65] La Commissione comunale di vigilanza su Bagnolifutura ha più volte censurato la reticenza della Stu (che si è anche appellata al suo statuto di Spa per giustificare la propria riservatezza) a fornire informazioni chiare sul proprio operato.

[66] Come proposto dal senatore del PdCI Luigi Marino, che nel 2000 presentò uno specifico emendamento (bocciato per soli tre voti) alla legge di rifinanziamento della bonifica di Bagnoli. “Bonifica, semaforo verde dal Senato”, Il Mattino, 27/07/2000. L’emendamento fu poi riproposto alla Camera dal deputato del PdCI Primo Galdelli, senza miglior esito.

[67] Appena eletto “il sindaco Bassolino fu invitato a sottoscrivere un’intesa già concordata fra governo, Regione Campania, sindacati e Iri […] Si prevedeva di impiantare nuove industrie a Bagnoli, concordando in sede di governo anche il progetto urbanistico, che poi sarebbe stato ratificato dal consiglio comunale. Decidemmo di non sottoscrivere quell’intesa”; De Lucia V., Napoli. Cronache urbanistiche 1994-1997, Baldini&Castoldi, Roma, 1998, p. 91.

[68] Tra queste, la scelta di far prosperare sul lungomare inquinato, per ragioni clientelari e d’immagine, numerose attività turistico-balneari, le cui attività musicali provocano gravi problemi di traffico e inquinamento acustico a Bagnoli, pregiudicando inoltre il previsto recupero a uso pubblico della linea di costa.

[69] L’esempio lampante è la candidatura di Bagnoli nel 2003 a sede dell’America’s World Cup 2007, con cui comune e Regione (entrambi guidati dal centrosinistra) tentarono di accelerare l’intervento sull’area: un progetto “imposto” dalla Regione a Bagnolifutura modificava pesantemente il Pua per installare in mezzo al parco urbano un grande porto turistico con attrezzature ricettive. Il consiglio comunale votò un accordo di programma per cambiare gli strumenti urbanistici, poi affossato dalla bocciatura di Napoli a favore di Valencia.

[70] Come rilevava lucidamente un osservatore  del processo: “Si potrebbe essere tentati di uscire dall’impasse attraverso una prassi fin troppo sperimentata, un doppio binario. Da un lato la difesa a oltranza, di principio, dell’urbanistica ordinaria: dei piani discussi e adottati nelle sedi istituzionali, come Legge prevede. Dall’altro, pragmaticamente, il negoziato non regolato, che risolve con il confronto informale e diretto debolezze della rappresentanza politica e rigidità della prassi urbanistica. […] Quella eventuale doppiezza, però, esclude dalla discussione interi pezzi di città, non rappresentati dai partiti e non configurati come lobbie, e lascia indifesi molti soggetti deboli, che pure compongono l’interesse pubblico”; Lepore D., “Chiarezza sul caso Bagnoli”, Corriere del Mezzogiorno, 27/06/1997.

[71] Su Bagnoli è attivo da vent’anni un articolato fronte civico (associazioni ambientaliste, collettivi e altre realtà di base) che ha promosso numerose iniziative, coinvolgendo pezzi significativi di città (come per la campagna “Una spiaggia per tutti” del 2012). I ripetuti tentativi di verificare forme di collaborazione critica con la nuova amministrazione hanno tuttavia sortito esiti insoddisfacenti, con periodiche rotture.

[72] È occorso un anno solo per individuare commissario e soggetto attuatore, mentre l’articolo 33 dello Sblocca Italia è stato modificato più volte nel tentativo di aggirare i problemi di incostituzionalità e altri ostacoli. Per un’analisi critica del provvedimento, cfr. Articolo 33: come si impone la dittatura del Governo e della speculazione sul quartiere di una metropoli, a cura dell’Assise Cittadina per Bagnoli, agosto 2015 (richiedibile presso [email protected]).

[73] Il 7 novembre 2014 i movimenti cittadini hanno promosso a Bagnoli una manifestazione nazionale di cinquemila persone contro lo Sblocca Italia e l’annunciata visita di Renzi, a cui hanno partecipato l’amministrazione comunale e diversi parlamentari, conclusasi con duri scontri davanti a Città della Scienza. Il comune ha rifiutato di collaborare col governo, predisponendosi a impugnare in sede legale i provvedimenti attuativi del commissariamento.

[74] Per esempio: rinforzare il depotenziato dipartimento di urbanistica comunale; aprire nell’area un urban center dove organizzare stabilmente documentazione, confronti pubblici, esperienze di progettazione partecipata; verificare tecniche biologiche di bonifica meno costose e impattanti per l’ambiente, anche se più lente; valutare per il parco nuove soluzioni progettuali che riducano costi e tempi di realizzazione, accelerandone la fruizione; riconsiderare cubature e funzioni insediabili, anche alla luce dell’inserimento di Bagnoli nella nuova zona rossa flegrea per il rischio vulcanico.