La salute mentale

di Dario Stefano Dell'Aquila

Il 6 novembre 2014, durante uno sfratto a Via Janfolla, nel quartiere Miano, viene scoperta la storia di Rossella, una donna di 31 anni, laureata, chiusa in casa da oltre nove anni. La ragazza vive segregata in una casa piena di oggetti e rifiuti, dalla mamma che, in questo modo, intende proteggerla dai pericoli. La madre viene sottoposta a trattamento sanitario obbligatorio.

Il 15 maggio 2015, a Secondigliano, l’infermiere Giulio Murolo, per un banale litigio condominiale, impugna un fucile da caccia e spara decine di colpi, uccidendo il fratello e la cognata; poi comincia a fare fuoco dal balcone uccidendo un passante e un vigile urbano. Una quinta vittima, un altro vigile urbano, muore un paio di mesi dopo per le ferite riportate. Nonostante l’uomo non fosse in cura presso i servizi di salute mentale, né avesse dato segni di disagio, i giornali parlano di “strage della follia” e il suo avvocato annuncia che chiederà una perizia psichiatrica.

Il 16 luglio 2015, a San Giovanni a Teduccio, vengono scoperti dai familiari i corpi senza vita di una donna e del proprio figlio. Secondo una prima ricostruzione sarebbero stati uccisi dal marito, già in cura per problemi psichici, con una pistola legalmente detenuta dall’uomo che pure si è tolto la vita.

È questa una breve selezione di episodi che quando emergono in cronaca sono sempre accompagnati da titoli come “dramma della follia” e simili, con toni che oscillano dalla preoccupazione che “pazzi criminali” vadano in giro indisturbati, alla pietistica solidarietà per casi di abbandono e violenza istituzionale. Episodi che così raccontati contribuiscono a formare un senso comune di paura e sospetto, ma che non aiutano a cogliere il fenomeno nella sua esatta dimensione. E, probabilmente, tale responsabilità non è nemmeno da attribuire tutta agli organi di informazione, se per contro è davvero difficile disporre di una base statistica aggiornata e pubblica, che consenta almeno una visione d’insieme. In questo senso, anche i documenti di programmazione istituzionale sembrano tracciare strategie che non hanno alcuna base statistica.

Le cifre sul disagio mentale

Può apparire incredibile, ma ancora oggi è difficile avere dati certi e recenti sul tema della salute mentale. Questo nonostante i ripetuti annunci di sistemi informativi nazionali e, in ultimo – nell’ottobre del 2010 –, l’istituzione del sistema informativo per la salute mentale, che non ha ancora prodotto statistiche. Tutto ciò non  impedisce, con i dati a disposizione, di affermare che la sofferenza psichica è una questione che interessa la vita di migliaia di persone. Secondo il Rapporto 2011 sulla situazione sanitaria nel paese, curato dal ministero della salute, “dati più recenti, quelli dell’indagine multiscopo dell’Istat relativi agli anni 2009 e 2010, evidenziano una prevalenza  ‘riferita’ di disturbi mentali (classificati come disturbi nervosi) intorno al 4,4% per la popolazione totale e al 9,8% per gli ultra-sessantacinquenni. Le donne registrano in genere un rischio più alto, quasi il doppio di quello maschile[1]”.

Per quanto riguarda l’impiego dei farmaci, “i dati dell’Osservatorio nazionale sull’impiego dei medicinali evidenziano che il consumo di antidepressivi in Italia nell’ultimo decennio (2003-2012) ha avuto un incremento medio annuo del 5,1%[2]”. I ricoveri ordinari per cause psichiatriche sono stati 116.874. Colpisce il dato dei ricoveri ripetuti (39.156) che determina invece un tasso tra i più elevati tra tutte le discipline sanitarie, quasi il 34%.

Per completare questo rapido quadro d’insieme, sono sufficienti due dati. Il primo lo fornisce una ricerca finanziata dal ministero della salute (Progress CSM) condotta sui centri di salute mentale, secondo la quale “nel corso del trimestre del 2005, in cui vi è stata la raccolta di informazioni del Progress CSM, oltre mezzo milione di persone, circa 520 mila, sono state in contatto con almeno un centro di salute mentale. Le persone in contatto con i CSM sono state 457.146, ma un centinaio di CSM (125) non ha fornito le informazioni richieste sulla numerosità dell’utenza per cui il dato è stato stimato[3]”.

Il secondo è un dato fornito dall’Istat nel 2006 (ma l’anno di indagine è il 1999), che, sulla base delle schede di ricovero, ha contato circa 340 mila dimissioni con diagnosi di disturbo psichico. I dati vanno letti con cautela e sono con molta probabilità sottostimati, perché studi recenti dimostrano che molte persone con un disagio psichico non si rivolgono al sistema sanitario pubblico, ma preferiscono rivolgersi all’assistenza privata. Tuttavia, pur nella loro frammentarietà, tali dati indicano le grandi dimensioni del fenomeno.

Alla difficoltà di disporre di dati nazionali corrisponde la difficoltà di ottenere dati su base regionale. Con fatica (esiste solo un’edizione cartacea, stampata ma non distribuita), abbiamo recuperato i dati che di seguito riportiamo. Sono tratti da La salute mentale in Campania. Relazione dell’Agenzia regionale sanitaria sull’assistenza psichiatrica. Purtroppo il lavoro risale al 2007 e non è stato più aggiornato o almeno i risultati non sono stati resi pubblici. I dati che presentiamo sono integrati con dati più recenti resi disponibili dall’Agenzia regionale della sanità[4].

La struttura dei servizi

La legge che ha sancito la chiusura dei manicomi, la n. 180 del 13 maggio 1978 (“Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori”), assieme alla legge del 23 dicembre 1978, “Istituzione del servizio sanitario nazionale”, ha organizzato i servizi di salute mentale secondo una strutturazione dipartimentale e con l’istituzione dei servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC).

Attualmente, l’assetto dei servizi è strutturato attraverso i dipartimenti di salute mentale (DSM), istituiti presso ciascuna Asl, che offrono servizi per l’assistenza diurna con centri di salute mentale (CSM), servizi semi-residenziali e residenziali. Il CSM è il riferimento principale, in cui dovrebbe operare (il condizionale è d’obbligo) l’equipe multidisciplinare costituita da medici, infermieri e operatori sociali. Le strutture residenziali sono differenziate in base all’intensità di assistenza sanitaria con un massimo di 20 posti. Una buona parte dei servizi residenziali (residenze riabilitative, in genere) sono affidati ai privati. Completano il quadro i servizi SPDC, dove vengono effettuati i ricoveri ospedalieri, inclusi i trattamenti sanitari obbligatori. Questi reparti, che non dovrebbero ospitare più di 16 persone, fanno comunque capo ai dipartimenti.

Sono 18 gli SPDC sul territorio regionale, per complessivi 175 posti. Sono 67 i CSM, mentre sono 44 le strutture residenziali gestite dai dipartimenti (per 622 posti) e sono 15 quelle convenzionate (per 236 posti). Sono circa 3.400 le figure professionali impegnate nel sistema dei servizi di salute mentale, circa 500 psichiatri e 1600 infermieri.

Quante sono allora le persone che hanno bisogno di assistenza? Anche qui non è facile rispondere, perché, come detto, non disponiamo di dati sufficienti e perché non tutte le persone con disagio si rivolgono ai servizi di salute mentale. Se dovessimo fare delle stime in base alle proiezioni nazionali, potremmo ritenere che sui 5.869.029 abitanti della Campania, almeno 258 mila persone (pari al 4,4%) hanno sofferto o soffrono di un disturbo nervoso. In ogni caso, l’attività di assistenza territoriale dei dipartimenti (visite psichiatriche, colloqui psicologici, psicoterapia individuale, somministrazione farmaci) mostra valori molto alti. In media a Napoli si effettuano 48 visite psichiatriche ogni mille abitanti. In termini assoluti il dato è impressionante: si traduce in 161.118 visite psichiatriche. Altrettanto estesa sembra essere la somministrazione di farmaci, mentre si attesta su numeri decisamente inferiori l’attività che riguarda i colloqui psicologici.

Ricoveri e trattamenti sanitari obbligatori

Secondo la Relazione dell’Agenzia regionale sanitaria, nel 2007 vi sono stati in Campania 18.645 ricoveri con diagnosi psichiatrica. Altri 2.572 ricoveri hanno interessato cittadini campani ricoverati in strutture fuori regione. Sono 12.858 le persone che hanno avuto almeno un ricovero. Il tasso di ospedalizzazione (numero di ricoveri per 100.000 abitanti) oscilla a secondo del territorio. Il valore medio è di 333 ricoveri per 100.000 abitanti, compreso tra i valori 201 e 404. Non tutti i ricoveri avvengono in reparti psichiatrici, almeno uno su quattro è effettuato in reparti diversi.

Il sistema della salute mentale, come l’intero sistema sanitario regionale, è un misto pubblico-privato con marcate differenze territoriali. È un dato su cui occorre riflettere, perché spiega alcune interessanti anomalie. Se si prendono in considerazione solo i ricoveri appropriati, quelli cioè avvenuti nei servizi psichiatrici di diagnosi e cura (SPDC) e nelle case di cura neuropsichiatriche (strutture private provvisoriamente accreditate) il numero è di 11.775 ricoveri, oltre la metà dei quali (52%) avviene nelle strutture private. La durata media del ricovero nelle strutture private è quattro volte maggiore di quello in SPDC, così come il costo per ricovero è circa tre volte superiore a quello nella struttura pubblica.

Il numero dei trattamenti sanitari obbligatori (TSO) è pari alla percentuale del 9% di quelli “appropriati”. Ma se si considera solo il numero dei ricoveri in SPDC (5.570) allora questa percentuale raggiunge il 19%. Un ricovero su cinque è dunque un ricovero obbligatorio. Questo dato appare confermato dai dati comunque parziali di cui disponiamo per il 2013, che riportano un totale di 4.770 ricoveri in SPDC e un totale di 1.009 TSO, pari al 21% dei ricoveri.

Analizzati secondo le categorie diagnostiche, possiamo dire che circa un terzo dei ricoveri avviene sulla base di una diagnosi di schizofrenia, un quinto per nevrosi e disturbi psicosomatici, mentre uno su dieci avviene per abuso di sostanze stupefacenti, un dato che cresce molto nell’area di Napoli e provincia.

La spesa del sistema sanitario per le prestazioni di ricovero (un costo giornaliero medio di 147,45 euro al giorno) ammonta a oltre 54 milioni di euro (54.328.947).

Conclusioni

A questi dati possiamo incrociare alcune considerazioni che sono il frutto di interviste e colloqui con operatori, che non hanno pretesa di scientificità ma lasciano comunque intravedere le tendenze attuali. Come tutti i servizi pubblici, i servizi di salute mentale soffrono della progressiva riduzione di risorse destinate al sistema sanitario pubblico e dei tagli lineari di spesa. Il commissariamento della Campania in materia di spesa sanitaria è cominciato anche prima di queste politiche e dura da oltre cinque anni. L’esigenza di rientro del deficit sanitario ha privilegiato una politica unicamente incentrata sulla riduzione dei costi e non sulla qualità dei servizi. Pertanto non si garantisce l’apertura dei servizi H24, non si provvede alla sostituzione del personale che va in pensione, si riducono gli spazi di assistenza domiciliare, si fronteggia l’emergenza solo – o quasi esclusivamente – sul piano farmacologico.

Nell’ambito della salute mentale, in caso di crisi acuta l’intervento d’emergenza degli operatori è effettuato dal 118 (personale non specializzato) e si traduce inevitabilmente in un trattamento sanitario obbligatorio. L’uso della contenzione – legare il paziente al letto per tutta la durata del ricovero, che può protrarsi per settimane – è comune e praticato senza limiti o specifici protocolli operativi. Non esiste alcun dato sull’uso della contenzione, ma, come è emerso anche nel processo per la morte di Francesco Mastrogiovanni (morto durante un TSO a Vallo della Lucania), viene praticata indifferentemente su tutti i ricoverati (o almeno su larga parte di essi).

In questo scenario critico, non mancano esperienze interessanti, come quella dei programmi terapeutici riabilitativi individualizzati, realizzati non in strutture sanitarie convenzionate, ma in fattorie o luoghi aperti affidati a cooperative sociali. Un tentativo di ridurre la costante “sanitarizzazione” del paziente, preferendo politiche di inclusione a interventi esclusivamente medici e farmacologici. Ma a fronte di una così ampia fascia di bisogno, che ha anche connessioni dirette con l’abuso di alcol e sostanze, le politiche di austerità non potranno che ridurre ulteriormente la capacità dei servizi pubblici di farsi carico del disagio psichico e di offrire risposte che non siano sul piano della semplice contenzione.

[1] Ministero della salute, Relazione sullo stato sanitario del paese, 2011, pag. 95.

[2] Ministero della salute, Relazione sullo stato sanitario del paese, 2012-2013, pag. 108.

[3] Bracco R., Dell’Acqua P., “I numeri dei servizi di salute mentale in Italia”, in Italianieuropei n. 2/2009,  disponibile su www.deistituzionalizzazione-trieste.it.

[4] www.arsan.it.