La città frammentata. Geografia sociale di una metropoli in crisi

di Thomas Pfirsch

Scienziati e viaggiatori hanno spesso descritto Napoli come un mondo a parte, irriducibile ai modelli classici della città europea e ai margini delle grandi evoluzioni delle metropoli contemporanee[1]. Questo vale in particolare per l’organizzazione socio-spaziale della città, che ha colpito gli osservatori per la sua storica inerzia. Napoli sarebbe una città porosa[2], caratterizzata da rapporti sociali profondamente iscritti nelle forme urbane, che avrebbero favorito l’inedita permanenza di una struttura sociale arcaica nel cuore di una metropoli post-industriale. Napoli sarebbe quindi una città duale, con una ridotta classe media, in cui un’élite tradizionale (che ha fondato la sua fortuna sui patrimoni immobiliari, le professioni liberali o le aziende legate al finanziamento pubblico) si fronteggia con una plebe numerosa, composta meno da operai e salariati che da classi popolari che vivono di mestieri informali. A questa forte polarizzazione sociale corrisponderebbe una debole segregazione residenziale[3], con ricchi e poveri insediati negli stessi edifici (bassi e piani inferiori popolari, piani superiori nobili) o in strade adiacenti (borghesi e aristocratici nei larghi viali, classi popolari in stradine e vicoli perpendicolari a queste[4].

Questa struttura socio-spaziale è ancora visibile in certe parti del centro storico, per esempio nei Quartieri Spagnoli o a Montedidio, ma questi spazi non rappresentano oggi che una piccola parte di un vasto agglomerato di più di tre milioni di abitanti che si estende ben oltre i limiti amministrativi del comune di Napoli. La grande espansione territoriale successiva al 1945 ha determinato una redistribuzione delle classi sociali nello spazio e l’emergere di quartieri più omogenei. In contraddizione con la sua immagine di città mediterranea poco segregata, Napoli presenta oggi gli indici di segregazione residenziale più elevati tra le grandi città italiane[5]. A lungo gli studi sulla città si sono limitati ai confini comunali, e soprattutto al centro storico, perpetuando un’immagine duale e schematica che sottostimava l’importanza delle classi medie e l’ampiezza dei processi di segregazione in periferia, su scala provinciale.

In effetti, come tutte le grandi città italiane, Napoli oggi è popolata in maggioranza da classi medie, che rappresentano il 51% della popolazione comunale e quasi la metà di quella provinciale nel 2001. Uscendo dai confini comunali vogliamo presentare la diversità degli spazi sociali napoletani, mostrando l’importanza dei processi segregativi che, piuttosto che rendere Napoli singolare nel contesto europeo, ne fanno un laboratorio della frammentazione urbana che ha accompagna la globalizzazione finanziaria e le politiche neoliberali ormai da una quarantina d’anni.

Spazi popolari e concentrazione della povertà

Città di classi medie, Napoli comprende però, come tutte le grandi città europee, dei quartieri dove si concentra la povertà, dove le classi popolari sono più rappresentate in rapporto al loro peso nelle medie provinciali. Questi spazi hanno due localizzazioni principali[6]. Da una parte i quartieri del centro storico (Pendino, Mercato, Vicaria, Sanità, San Lorenzo, Montecalvario), il famoso ventre di Napoli. Come in altre grandi città portuali mediterranee, questi quartieri centrali sono aree di approdo per i neo-cittadini ; la loro popolazione si è rinnovata per la partenza del ceto medio e soprattutto per l’arrivo di popolazioni immigrate dagli anni Novanta in poi, che spesso sono andate a insediarsi nei bassi sul fronte strada. Ma questi quartieri non sono oggi i più poveri della città. L’esistenza di reti di solidarietà locale (etniche, parrocchiali, ecc.), come di importanti mercati (per esempio, quello di Porta Nolana), in questi quartieri prossimi alla stazione e al porto, frequentati da diversi tipi di city users, limitano la povertà fornendo reti di autoaiuto e impieghi informali nel commercio o nei servizi alla persona.

Lontano dal centro storico, nella periferia nord ed est si concentra oggi gran parte della povertà cittadina, nei grandi lotti di edilizia popolare di Scampia o Ponticelli, come nei quartieri abusivi della zona rossa vesuviana. Questi luoghi, che non beneficiano delle reti di aiuto dei quartieri centrali, sembrano dimenticati dalle politiche urbane e sono sempre più controllati dalla criminalità organizzata che si è espansa verso la periferia a partire dagli anni Ottanta. Sono questi i quartieri più segregati della città. Vi possiamo rintracciare gli stessi effetti osservati nei ghetti nord-americani, con la concentrazione di una popolazione povera ed esposta a una prolungata disoccupazione. A Napoli, come nella maggior parte delle città europee, questa segregazione resta comunque relativa e non raggiunge mai i livelli nord-americani. Se le classi superiori, per esempio, sono quasi assenti da Scampia (4% della popolazione attiva), il ceto medio dei grandi parchi privati rappresenta pur sempre il 35% della popolazione attiva.

La proliferazione dei parchi, o l’esilio interiore delle classi medie

Maggioritarie su scala metropolitana, le classi medie sono presenti in tutti i quartieri della città, sia quelli ricchi che quelli poveri. Ritroviamo a Napoli la curva a J degli indici di segregazione residenziale osservati nella maggior parte delle città occidentali: la segregazione è più alta alle due estremità della scala sociale, mentre le classi medie sono molto più disperse nello spazio urbano. Esistono peraltro spazi napoletani dove le classi medie sono più rappresentate rispetto al loro peso provinciale. Si tratta dei quartieri collinari come Vomero, Arenella, Colli Aminei, o le zone residenziali della periferia flegrea (lungo la Domitiana o Arco Felice a Pozzuoli). All’Arenella le classi medie rappresentano il 72% della popolazione attiva nel 2001, contro il 14% delle classi popolari (e il 9% degli operai). In effetti, le classi medie hanno lasciato in massa il centro storico per insediarsi in questi quartieri durante gli anni della speculazione immobiliare (1950-70).

In molti casi parliamo di un tipo di insediamento che caratterizza le classi medie napoletane, il modello del parco, insieme di condomini raggruppati intorno a spazi comuni (giardini, parcheggi, più raramente impainti sportivi), spesso chiusi e riuniti sotto lo stesso statuto giuridico della comproprietà. Se in certi paesi la crescita urbana del dopoguerra si è basata sull’abitazione individuale (come nel Regno Unito), o sui grandi complessi pianificati dallo stato (come in Scandinavia), in Italia i grandi complessi abitativi privati hanno permesso alle classi medie di insediarsi anche in contesti non accoglienti[7]. Come nelle altre grandi città italiane, le periferie napoletane sono oggi caratterizzate da questi vasti condomini residenziali costruiti negli anni Sessanta e Settanta. La specificità di Napoli viene dal fatto che queste comproprietà sono spesso chiuse, con un proliferare di barriere e talvolta di sistemi di videosorveglianza o di guardie giurate di società private. Variabili per la loro taglia (molti ettari e decine di edifici per il parco Cuma a Pozzuoli, più spesso solo quattro o cinque edifici), queste gated comunities napoletane si distinguono dagli omologhi nord-americani per la dimensione più ridotta, e soprattutto per il fatto che non si abbinano a un’autonomia amministrativa. Esse rinviano a dinamiche securitarie in una città segnata da un’elevata criminalità, ma sono anche una risposta al malgoverno, attraverso il ricorso a servizi privati di sicurezza o di pulizia che permettono di compensare le disfunzioni dei sevizi pubblici. Infine, è evidente che questa chiusura residenziale rappresenta anche un fattore di distinzione sociale per le classi medie, in particolare quando queste abitano in un quartiere popolare. Così, il modello di fuga delle classi medie[8] si applica con difficoltà a Napoli: queste non hanno abbandonato totalmente il centro storico e non evitano del tutto i quartieri poveri, ma si rifugiano piuttosto in un esilio interiore, all’interno degli innumerevoli parchi dispersi nella città.

L’esclusività degli spazi elitari

Se le classi medie hanno scelto l’esilio interiore, le élite napoletane tendono a raggrupparsi sempre più nei loro quartieri tradizionali, l’esclusività dei quali si è rinforzata negli ultimi anni. Possiamo identificare tre tipi di spazi dove le classi superiori sono sovrarappresentate[9]. La parte occidentale del centro storico, in prossimità dell’università e dei centri del potere (San Giuseppe, Porto e San Ferdinando). In questi antichi quartieri le élite si concentrano in poche strade prestigiose punteggiate di palazzi aristocratici, che talvolta ospitano ancora le famiglie dei loro primi proprietari. Infatti, se la borghesia e l’aristocrazia della città hanno lasciato il centro storico a partire dagli anni Cinquanta, questo abbandono non è stato totale. Si è anzi osservato un movimento di ritorno delle élite locali verso il centro, in coincidenza con le operazioni di riqualificazione urbanistica avviate negli anni a cavallo del nuovo secolo. Ma si tratta di un modello di ritorno differente da quello classico della gentrification. In effetti, il centro storico sta progressivamente modificando il suo tessuto commerciale attirando una tipologia di city users più agiati (studenti, turisti), ma la struttura della popolazione residente non è stata modificata più di tanto verso l’alto da queste trasformazioni. Alcune aree del centro storico hanno registrato l’arrivo di immigrati poveri, e in generale il profilo dei neo-residenti non corrisponde al modello londinese o parigino di new middle class con poco patrimonio ma alti salari. Si tratta piuttosto di giovani adulti della borghesia locale, con importanti patrimoni ma una situazione precaria dal punto di vista lavorativo, che utilizzano canali familiari per trovare alloggi a basso prezzo in quartieri che sono sempre stati signorili[10]. Napoli è una città in crisi dove gli impieghi nel terziario altamente qualificato sono troppo poco sviluppati per attirare le popolazioni classiche della gentrificazione. Siamo piuttosto di fronte a un timido processo di reimborghesimento.

All’opposto, la proporzione di classi superiori è nettamente aumentata nei quartieri migliori della città, costruiti durante l’epoca liberale, tra il 1865 e il 1914. Si tratta in questo caso di un secondo tipo di spazio elitario, che Napoli condivide con altre città italiane che hanno conosciuto dopo l’Unità operazioni di ampliamento per costruire quartieri confacenti alle esigenze della nuova borghesia (larghi viali, architettura liberty, parchi urbani, teatri, ecc.). Questa Napoli bene corrisponde amministrativamente ai quartieri di Chiaia, Posillipo e alla parte bassa del Vomero. Così Chiaia contava più del 22% di classi superiori nella sua popolazione attiva nel 2001, due volte più che la media comunale (9%). E tra queste classi superiori che gli indici di segregazione cittadini sono più elevati. Certo, a Napoli la segregazione residenziale resta relativa e anche questi quartieri hanno le loro enclave di povertà, come il Casale a Posillipo[11]. Ma la popolazione tende a essere sempre più agiata: su scala comunale, a Chiaia la proporzione di classi superiori è quella che è più aumentata dal 1991 al 2001. Allo stesso modo gli spazi pubblici di questi quartieri sono sempre più controllati simbolicamente dalle élite cittadine. La riqualificazione che ha riguardato Chiaia negli anni Duemila (nuove istituzioni culturali come il Pan, rifacimenti di piazze, pedonalizzazioni) è stata accompagnata dalla ridefinizione del corretto uso degli spazi pubblici a detrimento delle classi popolari del quartiere (lotta contro le bancarelle abusive, ecc.) e fa parte di un tentativo di riprendere il controllo sui suoi spazi tradizionali da parte della élite napoletana. Infine, anche le classi superiori hanno i loro parchi chiusi, che costituiscono un terzo spazio elitario napoletano, molto frequente nella parte alta del quartiere Chiaia e in periferia. I parchi borghesi sono d’altronde molto più antichi di quelli del ceto medio, e sono serviti loro da modello. Le élite napoletane si tengono alla larga dalle periferie, ma nel caso vi abitino, il parco chiuso è uno dei loro modi di abitare privilegiati.

Laboratorio di frammentazione urbana

Questo panorama della geografia sociale napoletana restituisce il ritratto di una città frammentata, o piuttosto in corso di frammentazione, dove la segregazione è ancora relativa ma si va accentuando perché alcune classi sociali tendono a concentrarsi in spazi sempre più esclusivi e secondo logiche di separazione. Le classi popolari sono diffuse ovunque in città, ma sono sorti negli ultimi decenni dei quartieri periferici dove si concentra la povertà. Anche le classi medie sono presenti in tutti i quartieri ma si rifugiano nell’esilio interiore dei parchi, mentre le élite si concentrano sempre più nei loro spazi tradizionali, l’eslusività dei quali si va rafforzando. Napoli è nel pieno dei processi di frammentazione socio-spaziale tipici delle città globali[12].

In effetti, la prossimità residenziale tra le classi sociali, che ha caratterizzato a lungo il centro della città, era tipica non solo di Napoli ma di tutte le società fortemente ineguali, dove le gerarchie sociali sono percepite come immutabili, e le posizioni sociali non sono dunque minacciate dalla prossimità nello spazio. Con l’industrializzazione e la forte crescita della città negli anni del miracolo economico (1945-1970), è cominciata ad affiorare una segregazione tra i quartieri. La prossimità socio-spaziale è stata percepita con meno favore dalle classi medie in fase di mobilità ascendente, mentre si sviluppavano i quartieri operai nelle periferie in prossimità delle fabbriche. Questa segregazione inclusiva non ha generato necessariamente degli effetti negativi in un contesto di abbondanza di lavoro e di regolazione dello stato sociale, perché le concentrazioni residenziali operaie aumentavano anche il peso elettorale e le capacità di organizzazione collettiva delle classi popolari. A partire dagli anni Ottanta, la deindustrializzazione non compensata dalla crescita del terziario qualificato, ha respinto molti appartenenti alle classi popolari e medie nel settore informale e dell’impiego precario. Ormai la paura del declassamento, così come l’ambizione dell’ascesa sociale, rende la prossimità spaziale dei più poveri meno sopportabile, e apre la via a una segregazione esclusiva, ovvero alla frammentazione. Le cause sono economiche, ma anche politiche. Perché la rarefazione dell’impiego formale è stata accompagnata dallo smantellamento dello stato sociale e da politiche di riqualificazione urbana che – sebbene messe in campo da governi di centrosinistra – rivelano modelli neoliberali, con un approccio culturale e patrimoniale più che sociale. La crisi del 2007-2008 ha accentuato tale processo e gli effetti della crisi sono stati moltiplicati dal malgoverno locale. Se la Napoli duale degli anni Cinquanta poteva rappresentare il passato dell’Europa come una sopravvivenza arcaica, la Napoli frammentata degli anni Duemila prefigura, al contrario, il suo futuro urbano.

[1] Dines N., Tuff City: Urban Change and Contested Space in Central Naples, Berghahn, New York and Oxford, 2012.

[2] Benjamin W., Sens unique (preceduto da) Enfance berlinoise (e seguito da) Paysages urbains, Éditions Maurice Nadeau, Paris, 1924 (edizione francese 1988).

[3] Allum P., Politics and Society in Post-War Naples, UMI, Cambridge, 1973.

[4] Sabelberg E., La struttura della città dell’Italia meridionale, in Bolletino della società geografica italiana, 1987, pp. 179-194.

[5] Barbagli M., Pisati M., Dentro e fuori le murà. Città e gruppi sociali dal 1400 a oggi, Il Mulino, Bologna, 2012.

[6] Morlicchio E., Pratschke J., La dimensione territoriale della povertà a Napoli, in Amaturo E. (a cura di), Profili di povertà e politiche sociali a Napoli, Liguori, Napoli, 2004, pp. 1-29.

[7] De Pieri F., Bonomo B., Caramellino G., Zanfi F. (a cura di), Storie di case. Abitare l’Italia del boom, Donzelli, Roma, 2013.

[8] Donzelot J., “La ville à trois vitesses: relégation, gentrification, périurbanisation”, in Esprit, 03/2004.

[9] Pfirsch T., La localisation résidentielle des classes supérieures dans une ville d’Europe du Sud. Le cas de Naples, in L’espace géographique, n. 4, 2011, pp. 304-318

[10] Pfirsch T., Des territoires familiaux dans la ville. Classes supérieures, relations familiales et espace urbain à Naples, Tesi di dottorato in geografia, Université Paris Ouest Nanterre La Défense, 2008.

[11] Pfirsch T., Dei margini nel cuore dei quartieri buoni? Realtà e rappresentazioni delle enclave popolari nei quartieri agiati di Napoli, in Aru S., Puttilli M. (a cura di), Bollettino della Società Geografica Italiana XIII, volume VII, fasc. 1, gennaio-marzo 2014, pp. 113-129.

[12] Marcuse P., Van Kempen R. (a cura di), Globalizing Cities: A New Spatial Order?, Blackwell, Londra, Cambridge, 2000.