Il neomelodico in via di estinzione

di Riccardo Rosa

Aprile 2014. Nei negozi di dischi, ma soprattutto in internet, parallelamente a un’efficace campagna pubblicitaria via social network, esce Start, disco di Nico e i suoi Desideri, prodotto dall’etichetta napoletana Ders. Nico Desideri è un noto cantante neomelodico, che da qualche anno ha gradualmente coinvolto i due figli, Salvatore e Giuliano, nei suoi lavori. L’album costituisce l’ultimo grande successo del genere e testimonia i cambiamenti che hanno coinvolto questa scena musicale negli ultimi anni. Il pezzo di apertura è Made in Napoli, un brano che unisce dance e rap, e tiene assieme tre generazioni di cantanti lontani tra loro, non solo dal punto di vista anagrafico. Nel videoclip, i primi a comparire sono i due Desideri jr., vestiti come star del rap americano: annunciano la necessità di una canzone “fuori dal normale”, che parli di Napoli, su cui “è stato già detto tutto”. Poi il microfono passa a Clementino, il rapper partenopeo più famoso in Italia, che rima su un beat da discoteca, mentre il protagonista (o quantomeno padre spirituale) dell’operazione lo osserva compiaciuto. Prima di “entrare” nella canzone, Nico Desideri annuisce da un trono-poltrona, osservando i tre ragazzi cantare, vestito in maniera elegante (completo scuro e cravatta color crema) e con un taglio di capelli a spazzola lontanissimo dalla zazzera gelatinata che lo caratterizzava negli anni Novanta. Desideri interviene nel brano (tra succinte ballerine, gli intermezzi dei figli e del rapper nolano) con un ritornello che diventerà in breve tempo una hit cittadina.

Ascoltando il brano e guardando il video, è evidente come sia stato proprio papà Nico ad avvicinarsi allo stile proto-nazionale di Salvatore e Giuliano (pur non rinunciando al forte accento napoletano e alle sonorità tipiche della musica neomelodica, che contrastano la dizione curata e lo stile pop dei due giovani), un po’ conscio della necessità di rinnovare la sua immagine, un po’ per inserirsi in un filone che negli ultimi anni si è rivelato molto in voga. Va ricordato che gli stessi Salvatore e Giuliano sono stati a loro volta protagonisti di un restyling, avendo fin da giovanissimi accompagnato il padre in brani neomelodici in senso stretto, come il successo Un padre per metà, cantata da Nico e Giuliano. Il vecchio stile non viene però del tutto abbandonato neppure in alcune tracce di Start, come Lazzari Felici, scritta per il trio da Ciro Rigione. Il pezzo principe del disco, in ogni caso, resta il discusso (soprattutto dai puristi del genere hip hop) duetto con Clementino, che nel solo primo anno di uscita ha fatto registrare su youtube oltre dodici milioni di visualizzazioni.

Involuzione tra pop e rap

Il caso in questione è solo il più emblematico della tendenza dominante nel filone tardo-neomelodico o addirittura post-neomelodico, che cerca disperatamente di avvicinarsi alla musica nazional-popolare e ai giovani cantanti dei talent show delle tv nazionali. Di questo modello, i neomelodici delle ultime generazioni hanno provato a far propri alcuni elementi, a cominciare dal look (abbigliamento e pettinature) passando per le musiche, sempre più orientate verso un pop molto dozzinale e un rap poco significativo per liriche e metrica. Coscienti di non poter competere con i più pubblicizzati omologhi del resto del paese, i giovani neomelodici non hanno abbandonato, tuttavia, alcune caratteristiche tipiche del vecchio genere: l’uso del dialetto, una marcata mimica corporale e facciale, il prolungamento di note e parole, spesso motivo d’ironia nei loro confronti. Il risultato di questo mix è, purtroppo, abbastanza desolante.

La scena neomelodica sembra subire un’involuzione. Dal punto di vista musicale si assiste al proliferare di campionamenti che avrebbero avuto un senso, forse, vent’anni fa, e a un livellamento verso il basso della composizione, sempre meno affidata agli scrittori di musiche e parole che hanno fatto la storia del genere, bensì a volti nuovi che si limitano a riprodurre schemi base poi elaborati in fase di post-produzione. È la caratteristica delle hit più vendute nella seconda metà degli anni Duemila, pezzi come Scivola quel jeans di Raffaello, Ma si vene stasera di Alessio, Esplosione d’amore di Piccolo Anthony.

Con il passare del tempo i brani sono diventati sempre più simili tra loro, negli accordi e nelle tematiche. Le storie dei vicoli, che hanno costituito per anni uno dei più efficaci racconti della città, sono sostituite oggi da testi, cantati sì in napoletano, ma che nella maggior parte dei casi potrebbero essere la narrazione di qualcosa che accade anche a Gela, Chieti, Genova o Torino. Perdono progressivamente spazio e qualità i racconti sulle sofferenze causate dalla perdita della libertà o dai rischi di una vita oltre la legalità (non c’è in giro nulla di paragonabile ai classici ‘E guagliune ‘e miez’a via di Ciro Rigione o ‘E contrabbandieri di Nello Amato); quelli sull’eterogeneità sociale nei quartieri più popolari (la cui canzone-manifesto è Chi nasce ‘cca, cantata da Amedeo Remi); sulla crescita, negli stessi quartieri, di napoletani dalla pelle scura o con gli “occhi a cinesina” (Diva, di Diego De Luca), fino alla formazione di giovanissime famiglie in cui quindicenni in dolce attesa imparano a “esser pronte” (Sposa Ragazzina, di Gigi D’Alessio) sul modello delle loro mamme.

Insieme all’abbassamento del livello qualitativo, va evidenziato come molti cantanti abbiano provato, con risultati infelici, a cimentarsi in pezzi che tendono a una sorta di inquietante melò-rap: dai casi grotteschi come quello dell’ex Piccolo Lucio (il ragazzino grassoccio che cantava ‘A me me piace ‘a nutella, che oggi rappa con il nome di Lucio Vario Per amore, in un video HD in cui assume arie da Snoop Dogg, con tanto di canotta dei Lakers) fino alle decine di cantanti, giovani e meno giovani (da Gianni Fiorellino e Stefania Lay fino a Nancy), che duettano con il rapper Doppia B, fondendo i loro pezzi alle sue rime, quasi sempre inconsistenti. Ibridi che non riescono mai a produrre un efficace processo di contaminazione, ma che mortificano tanto il primo quanto il secondo genere.

Alcune eccezioni

I cambiamenti descritti valgono per gli artisti di maggior successo, o per quelli che continuano a serbare velleità di scalata nazionale, seguendo un percorso che visto a posteriori risulta irrimediabilmente a perdere. La tradizione del genere neomelodico rimane così tristemente affidata ai meno bravi, quelli che costruiscono il proprio pubblico nemmeno più attorno al quartiere, ma attorno al vicolo o alla palazzina, e che si consacrano come eredi poco degni degli interpreti che tra la fine degli anni Ottanta e per tutti i Novanta avevano dato una vernice artistica al fenomeno; loro (i Natale Galletta e i Mauro Nardi, i Ciro Rigione e i Franco Moreno, i Tommy Riccio e i Gianni Celeste, o ancora le Ida Rendano e le Emiliana Cantone) hanno continuato a cantare e talvolta a scrivere canzoni spesso interessanti, ma alle loro spalle non c’è nessuno, o quasi, capace di raccogliere i frutti di quanto fatto in questi anni. I giovani di maggior successo (Alessio e Raffaello, Anthony e Pino Giordano, Mary Marino e Gianni Savio, Gino Coppola e Enzo Ilardi) hanno toccato vette di popolarità molto alte, ma altrettanto rapidamente hanno iniziato una discesa che li ha quasi sempre riportati alla dimensione iper-locale di cui sopra.

Esistono tuttavia – meritevoli di essere citate come rilevanti eccezioni – delle belle voci che hanno raggiunto un successo (tuttora stabile) fin dai primi anni del Duemila. Le migliori sono quelle di Tony Colombo e Rosario Miraggio. Anche nel loro caso l’operazione di rinnovamento è stata forte, ma più graduale, coadiuvata dall’apporto di persone competenti, capaci di lavorare con cura sull’impatto mediatico dei loro personaggi.

Il percorso artistico di Tony Colombo ricorda un po’ quello di Gigi D’Alessio: nato come cantante neomelodico, scoperto da Mario Merola, anche oggi che canta molto in italiano Colombo ha mantenuto qualcosa dei suoi precedenti vent’anni di carriera. A evolversi, in un’ottica di successo nazionale, è stato il personaggio: nella cura dell’aspetto, più sobrio rispetto agli esordi, nella capacità espressiva, nell’atteggiamento professionale, quasi maniacale, necessario per chi ambisce al difficile “salto di qualità”. Fatto sta che quelli che poco più di tre anni fa potevano sembrare vaneggiamenti su “un grande concerto allo stadio Olimpico o San Siro”, si sono rivelati tutt’altro che tali, considerando anche la sua partecipazione a un importante show andato in onda su Rai Uno per diversi mesi del 2014 in prima serata. Tra le sue canzoni più riuscite degli ultimi anni, non è un caso che ci sia Via: cantata in italiano, il cui video ufficiale è stato girato a Londra, ma che tra musicalità e tematica (la voglia di scappare da una storia fallimentare e riprendersi la propria libertà) ha molto di una canzone neomelodica. D’altronde, l’intero album Solo si compone di canzoni italiane (diverso da “cantate in italiano”) ben assortite con discreti brani neomelodici, tipo ‘Cchiù e me e Si te sbatte ‘o core. Esattamente quello che D’Alessio fece con Portami con te, nel 1999.

Un percorso simile è quello di Rosario Miraggio, lanciato proprio da D’Alessio durante un concerto in una piazza Plebiscito gremita, in cui il più famoso neomelodico nella storia consacrò un giovane paffutello come suo erede, consegnandogli il palco per cantare Male, quello che poi sarebbe diventato il più grande successo nella carriera di Miraggio. Figlio d’arte, dotato di una notevole potenza vocale, Rosario Tassero (questo il suo nome di battesimo) ha sempre cantato e continua a cantare neomelodico, anche quando canta in italiano. Negli ultimi anni, però, oltre a lavorare molto sull’aspetto fisico (oggi è, insieme a Colombo, il divo per eccellenza delle ragazzine dei quartieri popolari), ha provato a strizzare l’occhio ad altri generi, con risultati meno efficaci. I suoi pezzi migliori rimangono quelli neomelodici: da Velina e Cuore rotto (rispettivamente del 2008 e 2010), ai famosissimi Male e Macchina 50 (2007), fino a Si adda fernì fennescene, uscito nel 2014. L’esempio più emblematico delle sperimentazioni di Miraggio è invece il videoclip della canzone Seňorita, in cui duetta con i rapper milanesi Club Dogo, vestito in camicia bianca e cravatta sottilissima, circondato dalle luci di una discoteca e da belle ragazze, cantando in italiano e addirittura in spagnolo. Il risultato è un pezzo banale, in cui testo e musica non dicono nulla, e per di più, in un contesto del genere, lo stesso Miraggio risulta poco credibile.

Graditi, infine, senza eccezioni, a una fascia di pubblico slegata da fattori anagrafici e sociali, sono due cantanti che hanno intrapreso un percorso lungo e impegnativo che li ha portati verso generi altri rispetto alla musica neomelodica, ma attraverso un cammino ragionato, fatto non solo di strategie di marketing ma anche di incontri-confronti musicali e che soprattutto non ha mai rinnegato il passato. Di Franco Ricciardi che duetta con i 99 Posse si è detto e scritto già dieci anni fa, ma quel che è interessante è che lo stesso Ricciardi ha continuato nel frattempo a cimentarsi con rock, elettronica, rap in maniera umile e con l’aiuto di musicisti e autori validi, dando vita a una serie di album (Zoom e Figli e figliastri, solo per citare gli ultimi due) sui quali il giudizio è inequivocabilmente positivo. Stesso discorso vale per Maria Nazionale, la cantante neomelodica per eccellenza, diventata oggi un’artista apprezzata a livello nazionale, che duetta con D’Angelo e De Gregori, canta canzoni scritte da Servillo e Gragnaniello, raccoglie consensi a San Remo, ma ai cui concerti partecipano tanto le signore della borghesia cittadina (che l’hanno sdoganata da poco) quanto le fan della prima ora, direttamente dalle periferie più lontane e dai quartieri popolari del centro di Napoli.

Considerando questo scenario – compresi questi due ultimi casi-limite, il cui successo abbaglia tanti neomelodici quasi mai tecnicamente in grado di percorrere una strada così ambiziosa – è difficile pensare che qualcuno tra i nuovi cantanti più capaci possa inventarsi qualcosa di nuovo senza cancellare la tradizione, e allo stesso tempo che quelli che continueranno a cantare la musica neomelodica “classica”, possano lasciare qualcosa di interessante (soprattutto dal punto di vista di una specificità locale) a un genere che quindi appare prossimo a una scomparsa da qui a pochi anni.