Il peso del patrimonio. Centro storico Unesco vent’anni dopo

di Cristina Mattiucci

 

Il centro storico di Napoli è iscritto nella lista del patrimonio mondiale Unesco dal 1995. Nella scheda n. 726[1] – redatta in occasione della candidatura – viene definito il perimetro, ne sono descritti i caratteri e illustrate le motivazioni per considerarlo “di eccezionale valore”. “Si tratta di una delle più antiche città d’Europa, il cui tessuto urbano contemporaneo conserva gli elementi della sua storia ricca di avvenimenti. I tracciati delle sue strade, la ricchezza dei suoi edifici storici caratterizzanti epoche diverse, conferiscono al sito un valore universale senza uguali, che ha esercitato una profonda influenza su gran parte dell’Europa e al di là dei confini di questa”.

La stratificazione dei periodi storici, che strade e palazzi testimoniano, ha ottenuto in questo modo una sorta di certificazione – ormai venti anni fa –, la cui natura, per certi versi cristallizzante, è quasi un paradosso, considerato il ritmo con cui la città stessa cambia, perpetuando quel processo di sedimentazione storica – di cui il contemporaneo è parte indissolubile – su cui l’Unesco fonda il suo riconoscimento.

Il sito entrato nella lista Unesco faceva riferimento all’estensione del centro storico inserita nel piano regolatore del 1972, che identificava un’area tutelata dall’allora Soprintendenza ai beni architettonici e ambientali, su cui insistevano diverse normative di scala nazionale, regionale e comunale per il controllo della pianificazione e per la tutela e valorizzazione del patrimonio. Attualmente esso comprende una perimetrazione più ampia, con l’identificazione di una zona “cuscinetto”, estesa dalla stazione centrale alla costa, fino a Nisida, inclusa nell’aggiornamento della scheda n. 726 nel 2011[2].

Entro le possibilità fisiche e spaziali di uno dei centri storici più grandi d’Europa, l’inclusione del singolo oggetto o monumento ne definisce in qualche modo la sorte ed è dunque comprensibile quanto sia stata dirimente l’inclusione (o meno) in quel perimetro, determinando (o meno) attribuzioni di valore e producendo da un lato sottili processi di depauperamento di certi luoghi esclusi da quell’eccezionalità riconosciuta, dall’altro la trasformazione di altri luoghi a finalità prevalentemente turistica, attraverso la promozione di un’immagine favorevole alla commercializzazione. Del resto, il concetto di valore contiene più di una sfumatura ambigua. E la città tende a trasformarsi entro un processo di standardizzazione, sicuramente più utile a una fruizione di massa, che però smussa quei caratteri assolutamente peculiari che sono stati riconosciuti a fondamento di una qualità.

È singolare che gli esperti dell’Icomos – l’organismo non governativo consulente mondiale per Unesco –, sempre nella scheda 726, riconoscano la difficoltà di identificare città con cui comparare Napoli, “essendo le sue radici culturali completamente differenti da ogni altra città italiana”; fino ad affermare che “l’unicità è una qualità difficile da definire, ma Napoli sembra effettivamente molto vicina a possederla, comunque la si voglia definire”.

Risorse e stato degli interventi

Dal 1995 dunque, il centro storico di Napoli è sotto i riflettori di un organismo di valorizzazione e controllo, e spesso al centro di campagne mediatiche che di volta in volta ne fanno il manifesto di campagne pubblicitarie e turistiche, oppure il simbolo di sprechi e incuria. Uno dei motivi ricorrenti di tali campagne è quello del tempo che passa, con il rischio di perdere i finanziamenti per la riqualificazione annunciata: un argomento si fonda su cifre, date e luoghi che diventano veri o falsi a seconda delle letture.

I finanziamenti, diretti e indiretti, che sono arrivati in città per la riqualificazione del centro storico hanno molteplici fonti e ratio. Una buona parte, quelli legati agli interventi di valorizzazione del sito Unesco, sono finanziamenti europei che sarebbero arrivati in Campania già per altri interventi, come il Programma Operativo Regionale (POR) Campania – Fondo Sociale Europeo 2007-2013; dunque è difficile fare un bilancio di quello che si teme sia stato perso, quello che invece è già stato consumato e quello che dovrà essere portato a conclusione nel prossimo biennio. Si può comunque provare a ragionare su almeno due questioni: la competizione tra i siti Unesco per conservare il primato (e i finanziamenti che ne verranno), l’elaborazione di politiche di marketing urbano entro le quali orientare gli interventi di riqualificazione.

Una delle chiavi interpretative risiede nei lavori attualmente in corso per l’attuazione del cosiddetto Grande Progetto Unesco. Essi appaiono come la manifestazione più evidente della certificazione Unesco e allo stesso tempo come un’occasione concreta per cominciare a riqualificare il centro storico. Tuttavia, l’estensione spaziale del patrimonio che l’Unesco ha individuato nel ‘95 e la puntualità dei cantieri previsti e parzialmente operativi nel 2015 non sono commensurabili. Troppo esteso il primo, troppo limitati i secondi. Per quanto si possa enfatizzare il potenziale catalizzatore degli interventi previsti sui complessi monumentali e sulle aree da restaurare e trasformare, è dunque necessario riconoscerne la natura circoscritta, anche per poterli interpretare criticamente. I cantieri, infatti, sono una parte minuta di quella più complessa riqualificazione del centro storico che deve operare “sia sul tessuto urbanistico ed edilizio, sia su quello sociale, ambientale e delle attività artigianali legate alla tradizione partenopea”, così come auspicato dall’amministrazione comunale.

Nel 2012, al progetto per il centro storico vengono destinati 100 milioni di euro quale quota-parte del POR Campania, con la delibera dalla giunta regionale n. 202/2012, insieme ad altri interventi sostenuti dal Fondo Sociale Europeo 2007-2013, come la riqualificazione e recupero del fiume Sarno o la realizzazione di interventi per Bagnoli. Le istituzioni coinvolte – o come proprietarie dei beni o come postazioni operative o come beneficiarie dei fondi – condividono di conseguenza un protocollo d’intesa, firmato il 29 maggio 2012 da amministrazione regionale, Comune, arcidiocesi di Napoli, ministero per i beni e le attività culturali e del turismo e provveditorato interregionale per le opere pubbliche di Campania e Molise, in cui si definiscono le responsabilità istituzionali per la realizzazione effettiva del progetto. Tale realizzazione, fatta di delibere, elaborazione dei progetti definitivi, gare d’appalto si è protratta per alcuni anni. I bandi di gara per la realizzazione dei lavori sono stati aperti nel febbraio 2015. E se da un lato la scelta di operare prevalentemente in house da parte delle istituzioni è stata oggetto di critiche, a causa della presunta lentezza della cosiddetta macchina statale, è vero anche che questa ha permesso una minuta e costante attività di gestione e progettazione con finalità pubblica di tutte le fasi del processo, e quasi a costo zero, costituendo, soprattutto nelle fasi precedenti all’assegnazione dei fondi, il presupposto per la fattibilità dei progetti stessi.

L’elenco definitivo degli interventi previsti è stato pubblicato con delibera comunale nel 2012[3]. Esso comprende, con la relativa voce di spesa, sia i monumenti oggetto di interventi ancora in attesa di una definizione progettuale[4] che quelli definitivi. Tra i lavori previsti vi sono[5] il recupero di parte delle mura aragonesi di Porta Capuana; la riqualificazione e ri-funzionalizzazione di Castel Capuano e dei complessi monumentali dell’ex ospedale di Santa Maria della Pace, di Santa Maria della Colonna, dei Girolamini, di parte di quello di San Lorenzo Maggiore, di San Gregorio Armeno e dell’ex Asilo Filangieri (con l’area archeologica), dei SS. Severino e Sossio e delle chiese di San Pietro a Majella, del Monte dei Poveri, di San Pietro Martire, dei SS. Cosma e Damiano, del Tempio della Scorziata, della Cappella Pignatelli; il recupero di alcuni ambienti e il miglioramento della fruibilità dell’Insula del Duomo; il restauro di alcune parti dei complessi di San Paolo Maggiore, di Santa Maria Maggiore con la Cappella Pontano, degli ospedali dell’Annunziata e dell’Ascalesi; gli interventi di recupero di aree archeologiche presenti nell’Insula del Duomo, nel Complesso di San Lorenzo Maggiore, nel Teatro Antico di Neapolis.

Per alcuni spazi pubblici sono stati programmati interventi di riqualificazione alle diverse scale del tessuto urbano. A chiusura della prima parte del finanziamento, su 27 progetti, ci sono attualmente 4 cantieri aperti e 6 interventi in attesa di progettazione definitiva; il resto degli interventi previsti è oggetto di gare d’appalto in diverse fasi procedurali: talune indette, talune aggiudicate, talune bloccate dai ricorsi avviati da parte dei concorrenti.

A leggere la tempistica si resta effettivamente disorientati dallo scarto temporale tra le operazioni istruttorie, la fase attuativa e quella operativa. Eppure, destinando i fondi praticamente alla fine della loro stagione, è come se una dilatazione temporale fosse da ritenersi endemica e dovesse contenere in sé anche la prospettiva di una loro dilazione. Esiste una lentezza attuativa, e oggi sostanzialmente procedurale, che pesa sulla percezione collettiva dell’efficacia dei progetti stessi. Esiste poi una diffidenza non troppo latente verso l’elaborazione e la gestione in house della maggior parte dei progetti, in primis tra i professionisti locali e tra qualche potenziale archistar, che rende le stesse istituzioni molto vulnerabili nella restituzione mediatica delle cose fatte avendo avuto a disposizione un finanziamento così ingente.

Al di là degli interventi sugli spazi pubblici, i progetti in corso sono prevalentemente di recupero e ri-funzionalizzazione, talvolta parziale, di complessi monumentali, per scopi culturali e sociali. Le categorie delle opere a cui tali interventi fanno riferimento implicano miglioramenti sostanziali, ma non certo totali, dei monumenti, cui sono preliminari opere consistenti di restauro – di sottotetti, di facciate, di parti di monumenti inagibili – che spesso assorbono “invisibilmente” gran parte dei finanziamenti.

Per complessi a lungo chiusi al pubblico, abbandonati o sottoutilizzati, in attesa di restauri da decenni, oltre all’apertura effettiva di nuovi spazi – per cui sarà necessario un adeguamento funzionale –, non ci saranno nuove architetture emergenti nel panorama quotidiano del centro storico. I complessi saranno auspicabilmente trasformati in contenitori culturali e restituiti all’uso della cittadinanza, ma entro la dimensione ordinaria della loro presenza. Dunque, è in questa condizione ordinaria che esiste un potenziale fortissimo, rispetto al quale però il rischio di fallimento è altrettanto forte e impone un’attenzione vigile.

Il futuro possibile

Al di là delle periodiche polemiche sui singoli monumenti, tale attenzione dovrebbe fare riferimento agli obiettivi definiti dal documento di orientamento strategico del Grande Progetto Centro Storico Unesco-Napoli. Obiettivi ambiziosi che dovrebbero travalicare la mera dimensione puntuale degli interventi di riqualificazione. Nella proposta di piano di gestione redatto nel gennaio 2011 e trasmesso al ministero dei beni culturali per il successivo inoltro all’Unesco, sono contenute anche una serie di precisazioni richieste dai membri di Unesco-Icomos, in missione in città nel 2007. Nel documento si sostiene che uno degli obiettivi principali del programma consiste “nel rintracciare (…) attraverso le singole scelte progettuali, il difficile equilibrio tra politiche di conservazione e salvaguardia dei caratteri identitari, tutela e valorizzazione, politiche di sviluppo e modernizzazione, miglioramento delle condizioni di vita degli abitanti, della loro sicurezza, così come della attrattività, anche in termini turistici, dell’area, la quale dovrà ridiventare, per questa via, un centro vitale in grado non solo di ‘consumare’ una propria immagine del passato quanto di realizzare una feconda sintesi tra valori della memoria e progetti per il futuro”.

La terminologia del documento ricalca le più consolidate retoriche del marketing urbano, i cui propositi possono valere per Napoli come per ogni altrove. Di fatto, però, conseguenze concrete e situate di tali retoriche sono già in corso, mentre pezzi del centro storico adiacenti agli attesi cantieri vengono smontati, lucidati e rimontati. Prima che uno solo dei cantieri sia completato, il “centrostoricounesco” diventa una parola consueta, mettendo in moto – nonostante le allerte dello stesso piano strategico – una sorta di “brandizzazione” di se stesso. D’altra parte, è ancora difficile intravedere una strategia, una visione di città, una politica strutturale che orienti gli “effetti collaterali” del processo in corso.

Nel perimetro Unesco si possono riconoscere i tratti di una potenziale gentrification, molto locale e sottile. Senza rumore, senza dislocazioni forzate, senza troppi conflitti. Una gentrification dolce, che si anima di acquisti, vendite e locazioni di locali destinati in modo massiccio a strutture ricettive o locali per mangiare, e di una sempre più diffusa cessione dei primi piani degli edifici nelle strade commerciali ai grandi marchi commerciali e franchising che concorrono sul mercato con l’artigianato locale, provocando una scomparsa del commercio di prossimità. Un’analisi visuale e comparativa delle insegne comparse negli ultimi cinque anni basta a darne evidenza fenomenologica.

Gli studi urbani non riescono facilmente a definire questi dati entro analisi qualitative e/o quantitative complesse, entro cui dare i nomi alle cose implica anche una revisione delle categorie analitiche: a Napoli non assistiamo agli spostamenti coatti di popolazione che si verificano in altri contesti, eppure, qui come altrove, si va realizzando una sorta di “confezionamento” del paesaggio da consumare, ottenuto ripulendo e reinterpretando la memoria locale e monetizzando i valori culturali che essa esprime. Il problema resta la capacità di vedere e agire oltre l’immediato guadagno, perché tali processi, nemmeno troppo a lungo termine, hanno l’effetto di alterare il mercato immobiliare e mutare di conseguenza gli abitanti e il tessuto sociale. Le forme dell’attenzione pubblica restano necessarie, così come politiche che garantiscano nel centro storico forme di mixitè, al di là dei (buoni) propositi strategici. Innanzitutto per scongiurare la deriva verso un’immagine uguale a quella di tanti altri centri storici e la perdita di quella condizione di abitato ordinario che rende vivibili e sicuri i luoghi oltre l’uso turistico, oltre l’uso temporaneo.

Intendiamoci, la sprovincializzazione è sacra, sentir parlare per strada lingue diverse dal napoletano dà a tutti il brivido di abitare in una metropoli, però le grandi città italiane – le città d’arte pioniere per intenderci, Venezia in primis – dai centri storici disabitati, se non dal flusso di turisti in talune fasce orarie, mostrano con evidenza qual è il rischio che si corre; non fosse altro per non perdere quell’unicità riconosciuta già quindici anni fa dall’Icomos quale tratto caratterizzante della città. Del resto, lo stesso comitato per il patrimonio mondiale Unesco segnalava, nel 2011, “la preoccupazione per il pericolo ricorrente (…) di dare priorità alle prestigiose strutture e centri abitati, a scapito di un tessuto urbano modesto e fragile, del patrimonio immateriale e delle attività economiche tradizionali”; e raccomandava “che lo Stato Parte dovrebbe destinare una parte dei fondi raccolti a ripristinare l’equilibrio”.

[1] http://whc.unesco.org/archive/advisory_body_evaluation/726bis.pdf.

[2] http://whc.unesco.org/document/116239.

[3] Delibera di giunta comunale 875/2012.

[4] Chiesa di S. Croce al Mercato, Cappella di San Tommaso a Capuana, Chiesa di S. Maria del Rifugio (S. Anna), Cappella di San Gennaro a Sedil Capuano, Chiesa di Sant’Andrea a Sedil Capuano, Chiesa di S. Maria alla Sanità, Complesso monumentale di S. Maria La Nova, Complesso del Monte dei Poveri.

[5] Le schede sintetiche dei singoli progetti, aggiornate con lo stato di avanzamento sono pubblicate qui: http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/20747.