Napoli e provincia. Profilo demografico

di Fabio Amato

L’evoluzione dell’assetto urbano della Campania è stata a lungo descritta attraverso la contrapposizione tra la costa e l’interno (“l’osso e la polpa” di Manlio Rossi Doria), destinando all’area napoletana una grande capacità di polarizzazione. Un ruolo che però, ancora negli anni Settanta, veniva descritto come sovra-urbanizzazione in termini solo quantitativi: una crescita canalizzata lungo le direttrici di una “raggiera povera”, fortemente centrata sul comune capoluogo e contraddistinta da un processo di densificazione incoerente che ha proceduto per tracimazione del continuum edilizio-abitativo[1].

In realtà, lo squilibrio più forte lo si legge attraverso il triangolo che ha come estremi Napoli, Caserta e Salerno: un significativo addensamento di popolazione che corrisponde a una tradizionale idea di area metropolitana. Gli spunti di riequilibrio della regione hanno interessato alcuni nuclei delle aree interne e assi di penetrazione distanti dal capoluogo; tuttavia, se si esclude il corridoio che dal salernitano raggiunge Caserta, l’area napoletana conserva la sua capacità attrattiva a scala regionale ed extra-regionale[2]. Se si considera anche la scelta di far corrispondere la neonata città metropolitana con il limite amministrativo della provincia di Napoli, la seguente ricostruzione sintetica dell’andamento demografico sarà più coerentemente limitata all’interno di questo perimetro.

Prima di analizzare i dati, è utile avere uno sguardo d’insieme. L’area, infatti, sia che la si attraversi a raso (senza utilizzare le reti di mobilità veloce), sia che la si guardi da una prospettiva zenitale, magari tramite Google Earth, evidenzia subito elementi di saturazione nel consumo del suolo e nella densificazione del tessuto edilizio-abitativo: partendo dal comune capoluogo è possibile scorgere un’assenza di soluzione di continuità che dai Campi Flegrei raggiunge, lungo la fascia costiera, Castellammare di Stabia e interessa la prima cintura di comuni limitrofi al capoluogo in tutte le direzioni. Linee di addensamento, infine, si leggono nel quadrante orientale, da Pomigliano verso Baiano, passando per Nola. Nonostante questi aspetti, si possono leggere ancora discontinuità marcate in corrispondenza del Vesuvio e della penisola sorrentina e, in maniera più puntiforme, nell’area agricola del giuglianese.

La permanenza e il cambiamento

La Campania al 2015 è ancora la regione più densamente abitata (429 ab/kmq), collocandosi dietro alla Lombardia e al Lazio per numero di abitanti (5.861.000). Il contributo della provincia di Napoli è decisivo poiché i suoi 92 comuni ospitano 3.118.149 abitanti, con una densità da record anche per altri contesti internazionali (2.644 ab/kmq).

I valori di densità assoluta sono puramente indicativi perché si dovrebbero espungere dalle superfici le aree occupate da elementi naturali e antropici che non consentono l’insediamento (dal corso di un fiume al raccordo autostradale), tuttavia in alcuni casi già bastano a fornire prime indicazioni: sono 35 i comuni che superano la media provinciale (cfr. Tabella 1). In particolare, Casavatore, Portici e San Giorgio a Cremano; questi ultimi, contesti di ridotte dimensioni e in sostanziale declino demografico negli ultimi trent’anni, superano gli 11 mila abitanti per kmq; infine, sono ben 16 i comuni che vanno oltre i 4 mila ab/kmq, incluso il capoluogo (8.220 ab/kmq). Oltre metà dei comuni (57) si collocano al di sotto della media provinciale, mentre sono ben sedici le municipalità con una densità più che doppia rispetto alla media. In questo raggruppamento, oltre al capoluogo e ai tre comuni dai valori estremi prima descritti, si distinguono tra i comuni più popolati Melito di Napoli (che sfiora i 10 mila ab/kmq), Arzano, Mugnano di Napoli, Casoria, Torre Annunziata e Frattamaggiore.

Se la taglia demografica può essere interpretata come misura dell’urbano, partendo dall’analisi dello stock demografico, in un contesto così densamente abitato, una prima utile indicazione è fornita dall’elevato numero di comuni che superano la soglia dei 20 mila abitanti (38), mentre al di sotto delle 10 mila presenze sono solo 29. Nonostante il progressivo declino di residenti, il comune di Napoli resta, anche a scala del Mezzogiorno, il centro più popolato (978.221 al gennaio 2015), seguito a distanza da Giugliano in Campania che ha ormai superato la soglia di 120 mila. Nella fascia tra i 20 mila e i 100 mila si registra negli ultimi decenni il più significativo cambiamento nella provincia.

Il ruolo di centro gerarchico del capoluogo, pertanto, si conferma ancora in considerazione dell’ampia distanza in termini demografici della seconda città regionale, Salerno (oltre 135 mila abitanti). Nondimeno, seguendo l’evoluzione del numero degli abitanti, si registra anche per Napoli, come per tutte le grandi metropoli europee, una visibile riduzione del numero di residenti: al censimento del 1971 si segnalavano 1.226.594 abitanti, valore che, decennio dopo decennio, si è decurtato fino alla formalizzazione, in occasione del censimento del 2011, della fuoriuscita del comune dal gruppo delle million-city (962.003).

A una scala numerica più contenuta, le dinamiche dell’hinterland sembrano delle spie interessanti delle trasformazioni in atto. Il quadrante occidentale appare in continua crescita negli ultimi anni, una scelta residenziale tipica dei nuclei familiari in uscita dal centro. In particolare, come detto, Giugliano è rapidamente divenuto il terzo comune regionale per numero di abitanti facendo registrare un preciso raddoppio della popolazione in 25 anni[3]: al censimento del 1991 erano segnalate 60.096 persone, divenute già nel 2011 108.793. Sempre nel quadrante occidentale della provincia troviamo l’altro comune in crescita: Pozzuoli. La cittadina flegrea nel corso dei decenni non ha mai fatto registrare battute d’arresto, crescendo censimento dopo censimento, fino a raggiungere la soglia delle 80 mila presenze nel 2011 e divenire il quarto comune della provincia per consistenza nel gennaio 2015 (81.828 ab.).

Il grande dinamismo dell’area nord-occidentale è confermato anche da Marano di Napoli (59.609 ab. al 2015) che, dal sisma del 1980 in poi, segnala una rapida densificazione superando la soglia delle 50 mila presenze già nel censimento del 2001 (57.448 ab.). Sempre nella cintura che circonda il capoluogo, troviamo altri tre comuni in crescita: Afragola, in costante crescita negli ultimi decenni (65.290 ab. al 2015 contro i 57.367 del 1981); Acerra, entrato negli over 50 mila in poco tempo (dai 45.688 del 2001 agli attuali 59.608); Casalnuovo di Napoli, terra di edilizia pubblica e privata dal terremoto in poi, che è passato dai 21.033 del 1981 ai 50.046 del 2015.

Valori significativi si continuano a registrare nei comuni della prima sub-urbanizzazione di Napoli: la prima corona e la linea litoranea orientale. Si tratta, però, di contesti che appaiono in continuo declino demografico. In particolare, lungo la costa si segnala Torre del Greco, che oggi ha 86.893 abitanti ma al censimento del 1991, con 101.361 residenti, rappresentava il terzo comune della regione. Sulla stessa falsariga si muovono Torre Annunziata (passato dai 60.533 abitanti del 1981 ai 42.868 del 2015) e Castellammare di Stabia, anche esso in pieno declino industriale, ma con oscillazioni molto più contenute: partendo dai 70.685 censiti nel 1981 oggi ne segnala 66.681. Questo quadrante è stato a lungo considerato l’esempio di una rapida, caotica e ragguardevole densificazione; per parecchio tempo, nella vulgata comune, si è descritta la città di Portici come una delle più densamente abitate del mondo, a causa della superficie comunale ridotta; i 55.537 abitanti del 2015 fanno ancora una massa critica ragguardevole, ma siamo lontani dagli 80.410 registrati nel 1981. Destino simile per i comuni limitrofi: Ercolano (passato dai 61.223 del 1991 ai 53.972 del 2015) e, con un declino ancor più evidente nello stesso intervallo, San Giorgio a Cremano (dai 62.258 ab. ai 45.779).

Un andamento più altalenate, infine, lo registra Casoria, sede della prima industrializzazione periferica di Napoli, che pur avendo i caratteri del declino industriale delle realtà costiere, grazie anche al rilevante impatto del commercio all’ingrosso non ha conosciuto il declino continuo dal punto di vista demografico: dopo una rapida crescita aveva raggiunto i 68.321 abitanti nel 1981, per poi raggiungere gli 81.888 residenti nel 2001, attestandosi sui 77.874 dell’ultimo dato disponibile.

Un capoluogo che invecchia

La composizione della popolazione può essere letta anche attraverso alcuni indicatori relativi alla struttura per età che sono significativi segnali dell’impatto sul sistema sociale. L’intera provincia sembra seguire la tendenza nazionale di un progressivo contenimento della natalità e un conseguente invecchiamento, benché l’età media al 2015 sia di 40 anni, e dunque ancora inferiore a quella nazionale (43,9 anni). Questo processo è leggibile attraverso l’indice di vecchiaia[4] che ha raggiunto il pareggio tra cittadini over 65 e under 14, entrambi pari al 16,4% dell’insieme della popolazione. Questo aspetto enfatizza il carico sociale ed economico sulla popolazione attiva che, secondo l’indice di dipendenza strutturale, ha raggiunto il 48,8[5].

Nel dettaglio dei comuni (cfr. Tabella 1), il capoluogo segnala un’età media superiore a quella provinciale (41,7 anni), cui fa da contraltare il peso delle generazioni più giovani nei comuni di Giugliano in Campania (36,4). Secondo questo semplice dato è possibile leggere una reale biforcazione dei vari comuni provinciali: i comuni con età media superiore ai 42 anni e quelli che sono al di sotto dei 38. Quindici sono i comuni che registrano un’età media superiore ai 42 anni, quasi tutti nelle isole e nelle aree turistiche, con Capri che raggiunge il valore più alto (45,3 anni). Si segnala in questo raggruppamento, il considerevole declino demografico di Portici e San Giorgio, che si attesta su un’età media di oltre 43 anni. I comuni più giovani sono quelli non riconducibili a precise caratteristiche, interessando tanto la periferia più immediata del capoluogo quanto le piccole realtà di matrice rurale. In particolare, Melito con 35,8 anni è il comune più giovane, seguito da Casandrino (35,9) e Acerra (36,1). Tra i comuni più popolosi, oltre a Giugliano, si segnalano Casalnuovo (36,4), Afragola (36,8), Villaricca, Quarto e Mugnano (tutti oltre i 37 anni). Singolare è la composizione più giovane di piccole realtà distanti dalle aree di densificazione urbana come Pimonte (5.985 abitanti con un’età media di 36,6) e Casola di Napoli (solo 3.883 abitanti con una media di 36,9 anni).

I comuni con le più basse età medie sono dotati delle maggiori percentuali di popolazione fino a 14 anni, ma analizzando il dettaglio si scopre che Melito è al 19,9%, superato da Acerra (21%) e dal piccolo comune di Casola (20,3%). Se si guarda all’andamento dell’indice di vecchiaia nell’arco del ventennio tra i censimenti 1991-2011, cioè alla variazione percentuale del numero di persone residenti di età maggiore o uguale a 65 anni, sono proprio i comuni del quadrante occidentale in maggior crescita demografica a far registrare le variazioni più elevate (Giugliano +201% e Quarto +174%), a riprova di un rapido cambiamento dell’intero profilo demografico di questi contesti.

A fronte di un quadro provinciale in movimento, il capoluogo sembra registrare una tendenza verso il costante declino. Non è particolarmente significativa la variazione percentuale di invecchiamento tra i due censimenti per il comune centrale, che vede aumentare il tasso della popolazione dai 65 anni in su solo del 35%. La città di Napoli, in realtà, porta in eredità dai decenni precedenti un processo di invecchiamento graduale: la quota di giovanissimi si riduce dal già contenuto 17,1% del 2002 al 15,1% del 2015, mentre il raggruppamento di 64 anni e oltre, nello stesso intervallo, è passato dal 15,5% al 18,8% del totale, uno dei valori più alti dell’intera provincia, generando un indice di vecchiaia del 124% nel 2015. A riprova di questo cambiamento del profilo demografico, se si guarda al semplice saldo naturale si segnala che in questo comune dal 2008 la natalità è inferiore alla mortalità e l’indice di dipendenza strutturale raggiunge il 51,3% superiore alla media provinciale.

Il declino demografico della città è stato costante. Gli ultimi anni di questo decennio, invero, segnalano una leggera ripresa ma, secondo il profilo delle metropoli europee, chi risiede in città è solo una delle popolazioni urbane che agiscono quotidianamente e che sfuggono alle fotografie dei censimenti: pendolari, migranti, turisti e city user sono diventati categorie di persone che, in modi e tempi diversi, animano e innervano quotidianamente Napoli.

[1] Coppola P., “La dissipazione urbana. Note sull’area metropolitana di Napoli”, in Viganoni L. (a cura di), Città e metropoli nell’evoluzione del Mezzogiorno, Franco Angeli, Milano, 1991, pp. 91-113; Coppola P., Viganoni L., “Note sull’evoluzione recente dell’area metropolitana di Napoli”, in Citarella F. (a cura di), Studi geografici in onore di Domenico Ruocco, Liguori, Napoli, 1994, pp. 471-486.

[2] Amato F., “Dall’area metropolitana di Napoli alla Campania plurale”, in Viganoni L. (a cura di), Il Mezzogiorno delle città. Tra Europa e Mediterraneo, Franco Angeli, Milano, 2007, pp. 175-220.

[3] Si ricorda che la comparazione tra valori censuari e anagrafici è sempre soggetta all’alea dell’incertezza e alla verifica del censimento che può stravolgere le ipotesi prodotte dalla semplice registrazione, che non segnala con prontezza le rettifiche di iscrizioni e cancellazioni. Nel caso di questo comune, per esempio, al 31 dicembre 2010 si segnalavano 117.963 abitanti, ridotti in sede censuaria l’anno successivo a 108.904.

[4] Rapporto percentuale tra il numero degli ultra-sessantacinquenni e il numero dei giovani fino ai 14 anni.

[5] Dato dal rapporto percentuale della popolazione non attiva (0-14 anni e 65 anni e oltre) su quella attiva (15-64 anni).